TRANSUMANZA

QUESTO BLOG E' IN VIA DI SUPERAMENTO. NE STIAMO TRASFERENDO I POST MIGLIORI SUL SITO DI VIVEREALTRIMENTI, DOVE SEGUIRANNO GLI AGGIORNAMENTI E DOVE TROVATE ANCHE IL CATALOGO DELLA NOSTRA EDITRICE. BUONA NAVIGAZIONE!

martedì 31 marzo 2009

La comunità della settimana: Osho Campus.

In attesa di avere altri elementi riporto quanto segue dal sito internet www.oshocampus.com

La comunità che gravita attorno al progetto The Campus, affonda le sue radici nell' esperienza diretta di vita di un gruppo di persone che hanno gettato i primi semi di questa realtà alla fine degli anni ottanta.
Il nome è cambiato, parecchi si sono avvicinati, hanno fatto un pezzo di strada assieme e poi hanno proseguito su altre vie. Lungo questo cammino alcuni elementi sono però rimasti costanti: la passione per la ricerca e la nostra onesta intelligenza, supportata dal cuore e dalla visione di Osho dell’' uomo nuovo.
Esistono vari modi per partecipare alla vita della comunità:

-Partecipazione alle meditazioni che vi vengono proposte
-Partecipazione ai gruppi e ai training di crescita integrale
-Partecipazione attraverso il volontariato
-Partecipazione agli eventi sociali e a feste, concerti, serate di musica e danza ed altro.

The Campus è un'associazione di promozione sociale aderente al circuito CONACREIS e la condizione di base per partecipare alle attività del Campus è essere soci CONACREIS.

Associazione di Promozione Sociale Osho Campus
Via Ronchi 40, 37064 Povegliano (VR)
Tel 045 635 0786
E-mail info@oshocampus.com
Sito Internet www.oshocampus.com

domenica 29 marzo 2009

Buon compleanno Bal Ashram.

Come accennato in un precedente post, Viverealtrimenti inizia, questo mese, ad ospitare la newsletter mensile dell'Associazione Anjali i cui fondatori, Lokhnath e Kamala (Lorenzo e Camilla) sono impegnati come volontari a tempo pieno presso il Bal Ashram di Varanasi. Per comprendere quanto scritto nel brano che segue, in cui si da conto del work in progress e del contributo di volontari "part-time", è bene scorrere i post precedenti relativi alle attività del Bal Ashram, segnalati a chiusura del contenuto della newsletter.

Varanasi, Marzo 2009

Cari amici,
quale modo migliore per salutarvi con un caloroso namaste da parte di Vidya. E' oramai un mese che Indra e sorellina sono al Bal Ashram. E' una gioia vederli sorridere e partecipare a tutte le attività dell'ashram. Vidya è un esempio di indipendenza ed autonomia!
La loro salute è buona e Indra (sebbene ancora sotto trattamento) sta molto meglio: è pieno di vitalità e con un po' di aiuto comincia a muovere i primi passi.
Da più di due settimane abbiamo un nuovo “piccolo”ospite al Bal Ashram che sta condividendo tempo pieno la routine dei bimbi del Bal Ashram. Giosuè (di quasi 4 anni) con mamma e papà, Daniel e Caterina.

E' la prima volta che un bimbo dall'Italia si ferma qui così a lungo e l'esperienza ci sembra veramente bella da entrambe le parti. I bimbi lo adorano e come ci aspettavamo la lingua sembra non essere assolutamente un problema.
Daniel e Caterina hanno lavorato moltissimo all'orto del Bal Ashram condividendo la loro esperienza di coltivatori biologici con lo staff dell'ashram ma sopratutto raccontando e mostrando ai bambini alcune piccole-grandi meraviglie della natura.
E' ritornata a trovarci esattamente un anno dopo Margherita, che ancora una volta ha decorato e dipinto le nuove stanze dei bambini con soggetti a richiesta: pavoni, acquari, elefanti. Quelle che prima erano tre stanze per lo staff dell'ashram sono ora le stanze dei bambini. Hanno così uno spazio più piccolo che imparano a gestire da soli, mentre gli adulti dello staff imparano a condividere spazi e tempi dormendo tutti insieme.
Andrea, preziosissima presenza, sta collaborando con Girish (responsabile edile e di manutenzione dell'ashram) con dedizione ed impegno mettendo a disposizione i suoi molti talenti e la sua infaticabile manodopera.
Andrea ha riorganizzato l'armadio per gli utensili, costruito il pannello protettivo dell'impianto elettrico e del nuovo filtro per l'acqua potabile (appena acquistato grazie al contributo degli amici dell'associazione Contatto), nonchè il box per l'insonorizzazione del nuovo generatore.
Il progetto all'orfanotrofio governativo di Ramnagar prosegue. Regolarmente ogni domenica ci rechiamo all'orfanotrofio e spendiamo con i bambini due ore. Possono scegliere se giocare a calcio o altre attività all'aperto oppure disegnare ed attività creative. Sono poche ore ma speciali; i bambini dell'ashram ci accompagnano in gruppi diversi ogni volta e condividono con gli altri bambini le attività proposte. Non potete immaginare la loro contentezza ogni qual volta la macchina varca il loro cancello. Alcuni di loro non hanno mai avuto la possibilità di disegnare e la vista dei colori li fa sobbalzare dall'emozione.
Ringraziamo gli amici Mario e Mara che ci hanno fatto arrivare più di settanta divise sportive (pantaloncini, t-shirt e cappellini). Ogni bimbo ne ha ricevuta una; ed ogni domenica indipendentemente dal fatto che scendano in campo o disegnino, la indossano, orgogliosi.
Il 4 marzo abbiamo celebrato il 9° anniversario della fondazione dell'ashram.

Nella foto i bambini con Tivariji, l'insegnante di musica. Ci hanno regalato una perfetta esecuzione di mantra e bhajan tradizionali, tanto che ora ci sarebbe il progetto di realizzare un cd tutto registrato con i bambini.
E' stata una giornata molto toccante e sentita; Baba Harihar Ramji ha ripercorso la storia del Bal Ashram, ricordando le mete raggiunte ed inspirando tutti i presenti a continuare a lavorare al meglio delle proprie potenzialità per far crescere tutti i progetti presenti. Questa giornata di festa è stata utile soprattutto per focalizzare gli obbiettivi e le priorità future. Nelle parole di Babaji: “l’ashram è un luogo di rifugio dal calore della vita”. Come un albero rigoglioso fornisce per sua natura riparo, conforto, guida ed ispirazione così dovrebbe essere per chiunque varchi il cancello dell'ashram.
L'immagine dell'albero è stata così riprodotta da Margherita vicino all'entrata dell'ashram. A gennaio parlavamo di semi per l'anno nuovo ma a marzo abbiamo già un albero con diversi rami:
Ed è dei frutti dell'Anjali school che siamo in questo momento particolarmente entusiasti. Negli ultimi mesi abbiamo discusso molto riguardo la possibilità di dare un sito permanente ed indipendente alla scuola e di ampliarla aggiungendo almeno due classi. Mentre si vagliavano le varie possibilità di come ricavare nuovi spazi, un appezzamento di terra adiacente all'ashram è stato messo in vendita. Ci siamo subito attivati per poter ottenere un prestito e poter procedere con l'acquisto della terra.
Presto vi aggiorneremo nei dettagli delle spese e dei progetti di costruzione per i quali servono aiuto e sostegno. Intanto il lavoro di squadra si è subito messo in moto con tanto entusiasmo e fervore.
Più di 20 camion carichi di terra sono arrivati in pochi giorni per livellare il terreno e poter procedere con la costruzione delle aule. Studenti dell'Anjali school e bambini del Bal Ashram: un team volenteroso pieno di iniziativa. I bambini si sono divertiti a ripulire la terra dalla plastica presente, smantellare i muretti preesistenti e riutilizzare i mattoni per nuove costruzioni.

A presto dal Bal Ashram – Camilla e Lorenzo


Articoli correlati:

Alfabetizzazione ed ecologia al Bal Ashram
Un albero rigoglioso per anime pure ed impure

venerdì 27 marzo 2009

Riflessioni per il giorno della luna nuova, 25 marzo 2009.

Con un po’ di ritardo ho il piacere di condividere con i lettori di Viverealtrimenti queste riflessioni dal monastero Santacittarama (letteralmente “Il Giardino del cuore sereno”) di Frasso Sabino, in provincia di Rieti. Il monastero è di tradizione Buddista Theravada — la più antica (il termine pali theravada significa difatti “insegnamento degli anziani”), oggi particolarmente radicata in Sri Lanka e nel sud-est asiatico — ed è legato al Lignaggio della Foresta Tailandese. È aperto a visite giornaliere e a soggiorni di alcuni giorni. Il tutto, è quasi superfluo dirlo, compatibilmente con le esigenze dei monaci. Si consiglia, pertanto, di telefonare in anticipo.

Un rinunciante
non tiranneggia nessuno.
La paziente tolleranza
è il vertice dell'ascesi.
Suprema meta
dicono i Buddha
è la profonda liberazione.

Dhammapada strofa 184


E’ sempre bene ricordarsi di quanto siano universali gli insegnamenti
del Buddha. Non tiranneggiare nessuno significa che siamo accurati in
tutte le nostre relazioni, compresa quella con noi stessi. Può succede
che coltiviamo la gentilezza verso gli altri mentre trattiamo noi
stessi in modi terribili. Quando insegnava la gentilezza amorevole, il
Buddha dava l’istruzione di iniziare dirigendo una grande quantità di
gentilezza interiormente. Se non sentiamo affetto per noi stessi,
allora dimostriamo gentilezza proprio verso questo essere: quello che
si sforza di provare un po’ di bene per se stesso.
Per alcuni ci può volere molto tempo per trovare una via attraverso i
vari strati di auto-giudizio e di disprezzo di sé e dunque esercitiamo
la pazienza; un’infinita pazienza. La ‘paziente tolleranza’ insegnata
dal Buddha è molto diversa dalla ‘sopportazione amara’ del rassegnarsi
a malincuore a qualcosa. Quella a cui miriamo è una pazienza imbevuta
di gentilezza.
Notate, inoltre, come questa pratica sia definita come il supremo
esercizio spirituale. Rifletto spesso su come tutti i maestri di vero
valore indichino la pazienza come una caratteristica essenziale per
chi percorre il cammino verso la meta suprema; ma nello stesso tempo,
non c’è modo di sviluppare questa virtù quando siamo in un bel
periodo. Quando invece le cose si mettono male, è lo spazio perfetto,
anzi, l’unico spazio, per coltivare la tolleranza paziente. Se avete
notato, questa strofa fa riferimento ai Buddha, al plurale, perché
tutti i Buddha hanno dato insegnamenti identici, nel corso del tempo.
Un bell’incoraggiamento!

Con Metta

Bhikkhu Munindo

(Ringraziamenti a Chandra per la traduzione)

° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° °

Santacittarama
Monastero Buddhista
02030 Frasso Sabino (RI) Italy

Tel: (+39) 0765 872 186 (7:30-8:30, tutti i giorni eccetto lunedì)
Fax: (+39) 06 233 238 629

sangha@santacittarama.org
(alternativa): santa_news@libero.it

www.santacittarama.org

www.forestsangha.org (portal to wider community of monasteries)
www.fsnewsletter (newsletter in English)
www.dhammatalks.org.uk (audio files)

mercoledì 25 marzo 2009

La comunità della settimana: Nomadelfia.

Giocando con la fantasia scrivo in un articolo che, convinto che Gesù sia da tempo tornato -in incognito- tra noi, lo vado a cercare a Nomadelfia (letteralmente legge della fraternità), “dove i bambini possono esprimere liberamente la propria tenera irrequietezza, i beni sono tutti in comune e vige la legge del perdono”.
Nomadelfia è la più rilevante esperienza comunitaria, in Italia, “a vocazione gerosolimitana” (che si richiama, cioe', al modello comunistico della prima comunità cristiana a Gerusalemme, fondata da Giacomo il giusto poco dopo la morte di Gesù).
Il fondatore è il sacerdote Don Zeno Saltini -classe 1900- che, poco dopo aver preso i voti, dà prova di una spiccata sensibilità sociale adottando un ragazzo appena uscito di galera e poi creando vere e proprie famiglie di bambini abbandonati organizzate attorno ai mamo, giovani più maturi.
L’esperienza comunitaria vera e propria inizia nel 1947, con l’occupazione dell’ex campo di concentramento nel paese natio di Don Zeno, Fossoli di Carpi, in provincia di Modena.
Nel febbraio ’48 verrà sottoscritta una costituzione e questo sancirà la nascita, formale, di Nomadelfia.
Dopo tre anni i nomadelfi arrivano ad essere più di mille (molti i minori adottati da famiglie che hanno aderito al progetto o dalle “mamme per vocazione”, che rinunciano al matrimonio e si dedicano integralmente a ragazzi orfani o abbandonati). A questo momento di successo fà presto seguito una fase drammatica in cui don Zeno -che nel frattempo si è indebitato per comprare terreni su cui far espandere la comunità- viene processato (poi assolto) per truffa e millantato credito.
Nomadelfia viene dunque smantellata ed i minori tolti alle famiglie adottive.
Nel 1954, tuttavia, don Zeno (che ottiene da Pio XII di laicizzarsi) torna a dirigere la comunità, questa volta nella tenuta Rossellana, in Maremma.
Le condizioni sono particolarmente difficili, segnate da miseria e diffidenza da parte della pubblica opinione.
In questo periodo vengono creati i gruppi familiari, ancora presenti nell’attuale struttura della comunità; vengono cioè accorpati tre, quattro o cinque nuclei sotto uno stesso tetto.
Il modello non è particolarmente diverso da quello damanhuriano o di MCF se non per il fatto che oggi le singole famiglie nomadelfe hanno la propria zona-notte in casette, prefabbricate, separate.
Nel 1961 viene approvata una nuova costituzione e Giovanni XXIII, papa notoriamente liberale, riconosce Nomadelfia (costituitasi nel frattempo in associazione civile) come popolo di volontari cattolici e prima ed unica parrocchia comunitaria al mondo di cui don Zeno, ripreso il sacerdozio, diviene parroco.
Nel maggio ’89 Papa Wojtyla visita Nomadelfia ed ha esplicite parole di elogio e nel 2000 la S.Sede approva la nuova costituzione considerando la comunità un’associazione privata tra fedeli (mentre per lo stato italiano Nomadelfia è un’associazione civile, una cooperativa di lavoro ed una fondazione).
Attualmente sono circa 320 i nomadelfi effettivi, in un territorio comunitario di circa 4 chilometri quadrati.
I gruppi familiari non sono permanenti e vengono ricomposti, con cadenza triennale, per consentire la massima fraternizzazione possibile tra tutti i membri.
In ciascuno di essi i ragazzi mangiano e studiano insieme, hanno i panni lavati e stirati dalla mamma dell’uno o dell’altro, senza differenza.
Anche a Nomadelfia (come nella già considerata esperienza di MCF) il ruolo della donna tende ad essere soprattutto domestico (quando sono stato in visita un bambino, stupito della mia disponibilità a lavare i piatti che avevo appena utilizzato, mi ha detto: ma guarda che questo è un lavoro da donne!) mentre le famiglie si impegnano ad essere “solidali nell’educazione”.
La vita sociale della comunità è governata da dieci “organi costituzionali” ma su questi aspetti tecnici preferisco non soffermarmi in questa sede, invitando chi volesse saperne di più ad approfondire sul sito della comunità.
L’unica cosa che credo meriti di essere segnalata è che le “infrazioni alle leggi” nell’ambito del territorio comunitario vengono esaminate dal Consiglio dei Giudici.
Questi, nella maggior parte dei casi, qualora chi avesse sbagliato lo riconosca sinceramente, applicano il provvedimento del perdono.
A Nomadelfia la dimensione produttiva prevede lavori specializzati nelle aziende della comunità (ad esempio l’azienda agricola biologica, con annessi cantina, frantoio e caseificio) e lavori di massa, considerati pesanti o ripetitivi e dunque svolti dalla generalità dei membri validi (ad esempio lavori di vendemmia e di spietramento dei campi).
Nella comunità non circola denaro, dunque non esistono stipendi ma ciascuno ha diritto di utilizzare i beni prodotti, mentre per le spese esterne (che si cerca comunque di ridurre all’essenziale) ci si può rivolgere all’economo ed ottenere la liquidità necessaria dal fondo comune, alimentato soprattutto da donazioni e da pensioni e rendite di singoli nomadelfi.
I ragazzi che crescono a Nomadelfia -e vengono educati in una scuola interna con obbligo fino a 18 anni- non sono membri effettivi della comunità fin tanto che non lo scelgano deliberatamente, a 21 anni.
A quel punto, impegnandosi a professare la religione cattolica e rinunciare a possedere beni propri di qualunque natura, accettando di avere solo il necessario ad una vita dignitosa, devono sottoporsi ad un periodo, almeno triennale, di prova.
Vivere a Nomadelfia è piuttosto duro per gli adolescenti che, particolarmente penalizzati da un punto di vista economico (hanno diritto, il sabato, ad una paghetta di 5 euro), non possono avere accesso, al pari dei loro coetanei, a molti svaghi e diversivi.
La comunità tenta di ovviare a questo disagio con iniziative interne, ad esempio periodiche proiezioni di films.

Nomadelfia, C.P.176 58041 Grosseto.
Tel. 0564338243
E'mail: visitatori@nomadelfia.
Sito internet: www.nomadelfia.it

giovedì 19 marzo 2009

La comunità della settimana: MCF.

MCF si autodefinisce “un’organizzazione di volontariato per l’autopromozione della famiglia e della persona” e sostiene, da molti anni, esperienze di vita comunitaria tra famiglie e gruppi.
Ha una struttura piuttosto complessa che prevede, accanto alle comunità familiari, gruppi di condivisione, gruppi di servizio e gruppi di lavoro. Considerando specificamente le comunità familiari, l’idea è stata elaborata da Bruno ed Enrica Volpi, a seguito di un “illuminante” viaggio nelle realtà di villaggio africane ed ha avuto come primo esito la fondazione della comunità di Villapizzone, a Milano, nel 1978.
Un elemento interessante ed originale di MCF sta nell’aver concepito e realizzato una complementarità tra la dimensione familiare e quella comunitaria.
Ad entrambe viene conferito un imprescindibile valore, mentre spesso la comunità intenzionale (in particolare quella più vicino al modello della comune degli anni ‘60 e ‘70) è stata ed è concepita e vissuta come momento di ridimensionamento o addirittura superamento della famiglia.
Altri valori portanti di MCF sono la sobrietà, la comunanza dei beni, il mutuo aiuto e l’aiuto dei bisognosi.
Le comunità di questo movimento sono dunque “aggregati” di famiglie che condividono spazi di vario genere in città o campagna.
La comunità di Villapizzone, ad esempio, si è sviluppata in una ex cascina, riorganizzata come “condominio solidale” alla periferia di Milano.
Volendo fare un “esempio rurale” si può invece citare Il Ponte -composta di due famiglie che vivono in una ex canonica in provincia di Como- oppure Berzano: una struttura agricola di trenta ettari di terreno che ne ospita cinque.
Il “condominio solidale” è stata l’idea più originale di Bruno Volpi ed i suoi collaboratori. Rappresenta difatti un modo di portare la dimensione comunitaria nelle periferie metropolitane o nei centri cittadini.
Molti membri di MCF lavorano in cooperative dell’associazione che si occupano di sgomberi, ricicli, ambiente, ristrutturazioni ecc., altri hanno lavori “ordinari”. Non di rado le donne si occupano solo della dimensione domestica.
MCF è una di quelle realtà dove è molto sentito l’aspetto comunitario, ragion per cui tutte le risorse economiche, sia dagli introiti delle cooperative che dai lavori esterni dei membri dell’associazione confluiscono sui conti correnti delle diverse comunità. Ogni famiglia riceve, mensilmente, un assegno in bianco per prelevare la cifra che le occorre per i propri bisogni interni.
Naturalmente l’etica dei consumi è improntata ad una certa frugalità e difatti i conti correnti registrano, il più delle volte, un buon attivo.
Le diverse realtà comunitarie godono di ampia autonomia e si autogestiscono da un punto di vista economico ed organizzativo pur in presenza di un organismo formato dai rappresentanti delle comunità aderenti, Il Capitolo, che si riunisce una volta al mese con l’intento di custodire, arricchire e migliorare la vita comunitaria.
Attualmente sono 18 le comunità familiari di MCF: 3 in Piemonte, una in Toscana, una in Friuli Venezia Giulia e le rimanenti in Lombardia.
Esistono inoltre degli esperimenti comunitari “in progress” nel centro-sud, in particolare uno vicino Roma ed un altro in Sicilia.

MCF -Mondo di Comunita' e Famiglia-
Via Urbino 9, 20161 Milano
Tel./Fax 0236524602
Email: mcfsegreteria@fastwebnet.it
Sito internet www.comunitaefamiglia.org

martedì 17 marzo 2009

martedì 10 marzo 2009

La comunità della settimana: LUMEN.

La LUMEN -Libera Universita’ di Medicina Naturale- e’ un’associazione culturale senza scopo di lucro che ha, tra i suoi obiettivi, la realizzazione di un’armonica vita comunitaria. Viene fondata nel 1992 da Davide Maria Pirovano e Milena Simeoni in un grande casale del ‘600, in aperta pianura padana. Oggi si propone come ecocentro: un’oasi abitativa dove si vive, si fa ricerca e pratica avendo come riferimento la salute naturale.
Questa viene intesa come frutto di un’attenta e costante ricerca dell’identita’ individuale ed un processo di crescita e conoscenza.
A LUMEN viene dunque proposto un lavoro in virtu’ del quale ciascuna persona, in maniera semplice e, ancora una volta, naturale, possa entrare in contatto con se stessa, affrontando e risolvendo le cause della propria disarmonia: un approccio che, a detta dei membri dell’ecocentro, si e’ rivelato, negli anni, senz’altro vincente.
L’ecovillaggio della LUMEN è inserito in un’area verde (circa un ettaro), ideale per passeggiate terapeutiche e momenti di relax in angoli riservati alla meditazione e ricca di alberi da frutto ed essenze aromatiche.
Per la godibilita’ dei membri e degli ospiti, e’ stato attrezzato con una piscina (nella quale non viene utilizzato il cloro), un campo da calcio ed un’area per bambini.
Ospita stabilmente 38 persone, tra cui 13 minori. Da un punto di vista economico, ciascuno ha una propria economia privata (in genere i membri lavorano, per periodi circoscritti, fuori dell’ecovillaggio) mentre le decisioni vengono prese, il piu’ delle volte, dall’assemblea plenaria, utilizzando il metodo del consenso.
La crescita integrale -attraverso la meditazione e la realizzazione, nel quotidiano, di alcuni principi degli insegnamenti di Gurdjeff ed Ouspensky noti come Quarta Via- viene considerata un elemento fondamentale per una vita comunitaria con solide basi.
L’associazione è organizzata in una “Divisione Formazione” (volta a creare figure di naturopati olistici) ed in una “Divisione Salute Naturale”.
Pubblica da circa 8 anni il mensile Lumen Magazine -in cui vengono affrontate tematiche di salute naturale, sociale ed ambientale- oltre ad alcuni testi didattici.

LUMEN
Via Polignano 5, 29010 San Pietro in Cerro (PC)
Tel. 0523.838172 – 838700
E-mail info@naturopatia.org
Sito internet www.naturopatia.org

domenica 8 marzo 2009

Un albero rigoglioso per anime "pure" ed "impure": breve presentazione del Bal Ashram di Varanasi.

Sono ancora una volta lieto di ospitare un post degli amici Lokhnath e Kamala, volontari a tempo pieno al Bal Ashram di Varanasi. La prima volta è stata a settembre 2008, quando ho pubblicato una loro presentazione di un ambizioso progetto ecologico (un eco-park a Varanasi) concepito e gestito da devoti dell'ashram. Del meritorio lavoro di Lokhnath e Kamala si è recentemente occupato, pur nella sua versione on line, anche il Corriere della Sera, il cui articolo ho riportato su questo blog magazine alcune settimane fa.
Forte di questi precedenti, mi è sembrato giusto chiedere a Lokhnath e Kamala di offrire ai lettori di Viverealtrimenti una presentazione un minimo dettagliata dell'esperienza che stanno vivendo e della struttura in cui stanno operando. Questa sarà propedeutica alla pubblicazione mensile, su questo blog-magazine, della newsletter dell'Associazione Anjali in cui vengono presentati le difficoltà ed i progressi del loro lavoro a Varanasi.


Nelle parole di Baba Harihar Ramji, fondatore ed ispiratore dell’Aghoreshwar Bhagwan Ram Bal Ashram, situato sulle rive del Gange nella sacra città di Varanasi, “l’ashram è un luogo di rifugio dal calore della vita”.
L’ ashram, come un albero rigoglioso, fornisce per sua natura riparo, conforto, guida ed ispirazione a tutti quelli che ne varcano la soglia. Al di là delle religioni, delle vie spirituali di Oriente ed Occidente, il Bal Ashram vuole valorizzare la persona. Aghor, l’antica tradizione di appartenza di Babaji (lignaggio avadhuta siddha kinarami), ci sprona ad essere dei buoni esseri umani. Fare uno sforzo per riconoscere la propria autentica natura che è completa, integra, priva di limiti, questa è la sadhana (pratica spirituale) che si pratica all’Ashram. Da questa pienezza nasce spontaneamente la capacità e la voglia di dare, di donarsi, di essere di servizio; il seva. Questi i due pilastri dell’Ashram: scoprire se stessi e donarsi generosamente senza riserve ed aspettative.

Baba Harihar Ramji è stato discepolo diretto di Aghoreshwar Baghwan Ramji (1937-1992), da cui il nome dell’Ashram, uno dei più grandi santi di questa tradizione, un Aghoreshwar appunto (lett. “signore dello stato Aghor”).
I suoi semplici e pratici insegnamenti hanno toccato i cuori di migliaia di devoti e trasformato le vite di molte persone. Aghor ancor prima che una tradizione è uno stato della mente in cui non c’è più spazio per discriminare tra puro ed impuro, bello o brutto, desiderio ed avversione. Nei tempi antichi, per superare queste limitazioni si usava praticare in luoghi considerati impuri e terribili, come i campi di cremazione, consumare sostanze intossicanti, vivere in reclusione per non dover sottostare ai vincoli sociali. Oggigiorno la pratica Aghor consiste nell’abbracciare ed accogliere coloro che sono rifiutati da tutti: gli ultimi tra gli ultimi, gli emarginati, i fuori casta, gli orfani. Dopo anni di intensa sadhana, Aghoreshwar Baghwan Ram ritorna nella società istituendo un lebbrosario nella riva impura della città sacra di Varanasi rifiutando il seggio di capo del lignaggio e mettendo al suo posto un bambino di 10 anni. La prima questa di una lunga serie di iniziative atte a rompere con una tradizione che guardava al passato. Da quel giorno le attività sociali volte a migliorare le condizioni dei meno fortunati si sono moltiplicate in gran numero. Molti Ashram sono nati, in India ed all’estero, ispirati dagli insegnamenti dell’Aghoreshwar ma soprattutto dalla sua presenza ed esempio di vita.
Come ogni albero che si rispetti, il Bal Ashram ha molti rami: l’accoglienza residenziale di bambini senza famiglia, il progetto eco-park ( Amrit Sagar eco center www.amritsagar.org) , l’Anjali School (secondo il metodo didattico del progetto Alice), Project Shakti.

Oggigiorno sono 19 i bambini che hanno trovato nell’Ashram una nuova famiglia. Gli ultimi accolti sono i più piccolini del gruppo, Indra (1 anno e mezzo) e Vidya (2 anni), fratello e sorella, hanno perso entrambi i genitori morti di stenti. Vengono dal Bihar uno stato che confina con l’Uttar Pradesh. Poveri tra i poveri, dal Bihar vengono per lavorare, di solito come operai edili, e si accampano in piccoli gruppi ovunque trovino uno spazio libero. Vivono per strada in tende fatte di stracci, baracche di plastica, tubi per gli scarichi non ancora interrati. Morti i genitori una famiglia che vive vicino a dove erano accampati ha notato questi piccolini abbandonati a se stessi e ha deciso di prendersene cura per un po’. Poi nel tentativo di trovare loro una sistemazione definitiva sono arrivati a noi chiedendone l’accoglienza. Così Vidya e Indra sono diventati parte integrante della famiglia del Bal Ashram. Questa una delle tante storie di bambini persi, abbandonati o semplicemente orfani che all’Ashram hanno cominciato una nuova vita.
L’enfasi che poniamo sull’educazione per consentire ai nostri bambini di crescere in modo armonico facendo emergere tutte le loro potenzialità ci ha portato a sviluppare il progetto Anjali School.
Grazie al metodo educativo del Progetto Alice siamo riusciti ad offrire ai bambini dell’Ashram e ad altri 80 studenti che frequentano quotidianamente le prime tre classi della scuola, una formazione scolastica attenta non solo all’acquisizione di abilità logico-razionali e di mere, se pur utili, nozioni ma anche alla capacità di ascolto e di conoscenza di sé e del proprio mondo interiore nella sua completezza (corpo, mente e coscienza). Momenti di silenzio, di visualizzazione, di condivisione dei propri vissuti mentali ed emotivi permettono ai bambini dell’Anjali School di acquisire validi strumenti per eccellere in termini di preparazione scolastica, ma soprattutto per capirsi, conoscersi meglio, accettare se stessi e gli altri. Gli insegnamenti dell’Ashram trovano così nel metodo educativo del Progetto Alice la loro naturale controparte didattica.

E’ stato da poco acquistato un lotto di terreno adiacente l’Ashram per aggiungere l’anno prossimo nuove classi ed un più ampio giardino per le attività didattiche all’aperto e per momenti di gioco dei bambini. Ci auguriamo che la scuola possa crescere ancora nei prossimi anni dando a sempre più bambini l’opportunità di ricevere un’educazione adeguata ed attenta allo studente nella sua completezza, innanzitutto come persona.
Il Progetto Shakti è un sogno che Babaji coltiva da lungo tempo e che pare prendere sempre più forma. Con l’aiuto di molte persone al più presto prenderà il volo. Shakti è l’energia della vita che crea, sostiene e trasforma l’universo. Quest’energia preziosa è Madre e donna. Ed è proprio al femminile che questo progetto si rivolge. Molte sono le donne in difficoltà in questo paese.
Abbandonate, abusate, allontanate spesso per il semplice motivo di avere il coraggio di dire no a situazioni degradanti. Dare un luogo sicuro a queste donne, aiutarle a tornare in società con dignità ed a guardare al futuro con speranza questo è l’obbiettivo del Progetto Shakti.
Questo albero ha radici ben piantate in terra, trae nutrimento da un’antica tradizione che è stata capace di rinnovarsi e di mettersi al passo con i tempi al di là di sterili nostalgie e settarismi. Ci auguriamo che possa crescere ancora e che sotto le sue fronde rigogliose sempre più persone possano trovare riparo.

Lokhnath & Kamala

http://www.associazioneanjali.it/
info@balashram.org

venerdì 6 marzo 2009

Viverealtrimenti ritorna a Goa: brevi note di viaggio.

Come si può leggere nella presentazione, questo blog-magazine nasce nel sud di Goa quasi un anno fa.
Intorno alla metà di febbraio Viverealtrimenti, nelle persone di “me medesimo” e “Smriti yogateacher”, è ritornato sui suoi passi per un paio di settimane di mare.
Tra il 12 ed il 13 del mese ci siamo sorbiti le nostre buone 28 ore di treno, da Varanasi a Mumbai. “Dondolati dal vagone”, un forse indiscutibile sufi (con le dita di una mano pacchianamente inanellate) ci ha proposto, una volta a destinazione, di accompagnarci in macchina al nostro hotel. Alla stazione lo aspettavano un paio di discepoli/scagnozzi, uno dei quali si sarebbe presto messo alla guida di un Suv, avanzando con una buona tracotanza nelle strade periferiche — e tuttavia sorprendentemente pulite e poco assordanti di clacson; sarà l’India che sta cambiando? — della città.
Colaba, il quartiere turistico di Bombay, ci ha accolti con un piacevole odore di mare.
Eravamo poco distanti dal Taj Hotel, incerottato qua e là dopo i drammatici fatti di novembre e tuttavia senza aver perso nulla della sua maestosità.
Siamo stati appena due notti a Bombay, il tempo di muoverci tra le zone di Colaba, Fort e Malabar Hill. Avere un lontano ed un po’ stucchevole assaggio della “Bombay da bere”, in stato di ormai conclamata occidentalizzazione, godere dell’autenticità di alcuni vicoli con sfogo sul mare, subodorare la blanda santità di un paio di templi hindu e della moschea di Haji Alì, eludere le molte fregature in agguato e la subdola corte di commercianti kashmiri di tappeti fino a passeggiare nei begli interni del Taj Hotel, godere dei suoi salotti raffinati, sospesi nelle malie delle note del Dr Živago suonate ad un pianoforte.

Alle 6 di mattina del 15 febbraio eravamo in strada, con i nostri ingombranti bagagli. Abbiamo raggiunto presto la stazione ed il treno per Margao, città/capoluogo nel sud di Goa. Siamo giunti, a notte quasi fonda, a Palolem Beach dove c’era Prisco ad aspettarci (citato anch’esso in presentazione), con i suoi immancabili, lenti shorts scoloriti.
Abbiamo cenato al Magic Italy di Palolem, un ristorante italiano “da Lonely planet”, passeggiato a lungo sul bagnasciuga parlando della “nostra India”, non senza evocare, di tanto in tanto, la più strutturata Thailandia.
Abbiamo insomma ridelineato scenari consueti del nostro viverealtrimenti, considerando qualche dato in più, aggiornando i nostri flessibili database.
Con Smriti yogateacher abbiamo deciso, nei giorni seguenti, di trasferirci in una spiaggia più appartata, poco distante da Palolem anche nel nome: Patnem. Abbiamo affittato un paio di capanne di una cariatide goana, Gualtiero che da alcuni anni gestisce, assieme al fratello, il ristorante Magic View, in un angolo protetto di Patnem e con immediata vista sul mare: pochi piatti di cucina italiana casereccia, quasi un’utopia in India, un’ottima pizza cotta a legna. In una parola: un posto da non trascurare!
Le capanne di Gualtiero sono sul terreno di una famiglia di bramini locali con cui abbiamo avuto un buon margine di vita comune. Utilizzavamo, difatti, un loro spazio-cucina, in condivisione con un alternativo senior di Vienna: Gunthar, ottimo conoscitore del territorio. Abbiamo nutrito, con i nostri avanzi, le loro galline libere nell’ampia corte, tra palme di cocco, piccoli banani ed alberi di anacardi.
Smriti ha avuto accesso al “tempio segreto” nella loro casa, abbiamo partecipato, con discrezione, ad una loro puja (celebrazione religiosa) e quando siamo partiti li abbiamo quasi lasciati con le lacrime agli occhi. La convivenza con loro e l’anziano ed un po’ asmatico Dada-Ji, con cui abbiamo fatto un bel fuoco una sera, parlando lingue inconciliabili, è stato uno degli elementi che mi ha fatto considerare in maniera critica quanto si va dicendo ultimamente su Goa: è oramai troppo turistica, ha perso la sua autenticità, è un posto troppo sfruttato eccetera eccetera. Vivendo un pochino Goa-sud, in circuiti selezionati, ho creduto di ritrovare quella magia che ha stregato gli hippies negli anni ’60 e ’70.
Goa è un posto unico al mondo per il peculiare melange di natura tropicale e palpabili “contaminazioni europee” (alcune atmosfere portoghesi sembra abbiano davvero ingannato l’usura del tempo), di induismo e di un cristianesimo “morbido” cui si affianca, di tanto in tanto, qualche altrettanto morbida moschea. Per i molti frammenti di vita arcaica, di scura gente di mare ed i caffè ed i locali di chiara impronta occidentale. Soprattutto trovo non sia vero che Goa stia perdendo la sua anima; è sufficiente darsi il tempo di cercarla tra le pieghe, di affittarsi un motorino prendendo strade appena meno convenzionali e battute. Sarà dunque facile ritrovare, tra i quieti palmizi, quello che si va spesso a cercare in India: una naturale armonia, una sobria felicità.
Abbiamo passeggiato su spiagge dove giungono, un po’ furtive, le tartarughe a depositare le loro uova — spiagge praticamente deserte — o che “muoiono” in un villaggio di pescatori rimasto quasi integralmente “se stesso”, senza l’ombra di un turista.

Dalla stazione di Canacona (riferimento ferroviario di Palolem Beach) abbiamo raggiunto, naturalmente con qualche ora di ritardo rispetto agli orari previsti, la città santa di Gokarna (letteralmente “l’orecchio della mucca”), la “Varanasi del sud”.
Abbiamo visitato il Mahabaleshwara Temple, in cui gli occidentali non sono ammessi. Sono riuscito, tuttavia, ad entrare, stretto al braccio di Smriti e, pressati in un’accaldata ressa appiccicosa, abbiamo raggiunto il cuore quasi catacombale del tempio. Abbiamo fatto le nostre offerte di fiori, incenso e noce di cocco e recitato, istruiti da un bramino che ci ha fatto da guida, i mantra appropriati. Abbiamo poi girovagato nella brulla, un po’ depressa città, piena di freaks ed hippies post litteram fino a ritrovarci su di una spiaggia lontana, assieme ad una diradata umanità strascicata. La sera, abbiamo collezionato un’altra ora o due di ritardo per ritornare a Canacona. Malamente pressati sul treno, abbiamo conosciuto Giorgio, pittore di Venezia in viaggio in India con la moglie, entrambi con un’esperienza di circa 40 anni nel paese, a partire dai tempi in cui, dall’Europa, ci si arrivava “via terra”.
Giorgio mi ha messo in guardia dallo scrivere sull’India — “quelli che ci hanno provato”, mi diceva, “Pasolini e Moravia, in primo luogo, hanno tirato fuori delle immense cagate” — consigliandomi di leggere, piuttosto, “Pellegrinaggio alle sorgenti” di Lanza del Vasto.
Qualche giorno dopo è giunto, per me e Smriti, il momento di separarci. Lei è tornata a Varanasi, per le sue classi di yoga ed io sto scrivendo queste brevi note in una stanza “anni 20” della Theosophical Society, ad Adyar, alla periferia di Chennai. La Society — fondata a New York nel 1875 ma con una lunga storia in India, dove ha allevato il maestro “ribelle” Jiddu Krishnamurti — è proprietaria di un campus di circa 100 ettari di terreno, di palme, Banyan Trees ed altre splendide specie botaniche. Saremmo in città ma, in realtà, sto scrivendo dal fondo di una foresta. Questa però è un’altra storia, forse per un altro, prossimo post…

martedì 3 marzo 2009

La comunità della settimana: La confederazione dei Villaggi Elfici.

La Confederazione dei Villaggi Elfici, riuniti nell’associazione “Popolo Elfico della Valle dei Burroni”, associazione non riconosciuta perché volutamente priva di cariche e ruoli di potere, comprende una quindicina di case/villaggi, alcuni mantenenti la denominazione originaria (Casa Sarti, Casetta Bruciata, Campori, I Piani), altri echeggianti le suggestive saghe di Tolkien (Avalon, Gran Burrone, Piccolo Burrone). Attualmente vi risiedono circa 150 adulti e 60 bambini.
A Casa Sarti è presente la scuola dei villaggi che, secondo criteri di autogestione, segue l’educazione elementare dei bambini.
La dieta è principalmente basata su prodotti coltivati in proprio, nel villaggio di riferimento, oppure barattati tra i diversi villaggi o con alcuni simpatizzanti.
Non ci sono “capi” né autorità riconosciute, anche se è indubbio che alcune figure hanno assunto, negli anni, particolare carisma e autorevolezza.
Le decisioni vengono prese per consenso, secondo la modalità del “cerchio della parola”, strumento decisionale ripreso dalla cultura dei nativi americani.
Partecipare al cerchio è considerata una possibilità, più che un dovere o un diritto.
La comunità dispone di una cassa comune, alimentata per lo più dalla “pizzeria elfica” ambulante: un forno in terra cruda che sforna centinaia di pizze per fiere, mercati e festival.
Ogni singolo membro ha anche un’economia propria, per le spese strettamente personali; per lo più viaggi e qualche vizio.
Consapevole e dichiarato tentativo è quello della ricerca e riappropriazione delle ancestrali conoscenze accumulate per migliaia di anni dal consorzio umano e dissipate gradualmente man mano che la scienza moderna si è andata imponendo: da forme di coltivazione poco invasive, all’autogestione della salute e della malattia -uso delle piante officinali, apertura a pratiche spirituali/meditative di vario genere-, a forme di economie eludenti l’occidentale mercificazione dei beni -baratto, scambio-lavoro-, alla gestione pacifica dei conflitti.
In sostanza, nel professato “ritorno alla madre terra”, nel rispetto della “etica della biosfera”.

Confederazione dei Villaggi Elfici
Referente: Mario Cecchi, 51010 Montevettolini (PT)


Articoli correlati: Una breve storia del popolo degli elfi.