TRANSUMANZA

QUESTO BLOG E' IN VIA DI SUPERAMENTO. NE STIAMO TRASFERENDO I POST MIGLIORI SUL SITO DI VIVEREALTRIMENTI, DOVE SEGUIRANNO GLI AGGIORNAMENTI E DOVE TROVATE ANCHE IL CATALOGO DELLA NOSTRA EDITRICE. BUONA NAVIGAZIONE!

lunedì 29 dicembre 2008

La comunita' della settimana: Cooperativa Agricola Mogliazze.

La Cooperativa agricola Mogliazze è una di quelle realtà comunitarie che si è venuta delineando nell’ambito di un progetto di recupero di un antico borgo, in questo caso di bassa montagna.
Il posto (una decina di case in pietra) è stato abitato fino alla seconda guerra mondiale da circa 50 persone.
In generale possiamo dire che l’immediato dopoguerra sia stato un momento di cesura particolarmente importante; il periodo della ricostruzione post-bellica ha rappresentato difatti l’occasione, per molte persone periferiche in campagna o in montagna, di migrare in posti più popolati che offrissero maggiori opportunità.
Sono stati dunque molti i borghi che, al pari di Mogliazze o altri attuali ecovillaggi come Torri Superiore e Bordo, caddero in uno stato di progressivo abbandono, fin quando i nodi della società post-industriale hanno indotto alcuni “pionieri” a viverli come rifugi ed alternative alla crescente alienazione del mondo e primi embrioni di una società utopica.
Piero Mozzi è stato uno di questi pionieri; inizia a frequentare il borgo di Mogliazze intorno alla metà degli anni ’70, come un “ritiro” per preparare gli esami di medicina.
Nel 1978 vi fonda, con la moglie Velia, una cooperativa agricola, pur avendo a disposizione una superficie minima di terra in concessione da una vecchia proprietaria, residente nella vicina Bobbio.
La coppia si trasferisce a vivere in pianta stabile nel borgo e, frammento di casa per frammento di terra, riesce ad acquistarlo tutto.
Inizialmente vive in condizioni particolarmente frugali, potendosi appena permettere la semplice sussistenza.
“Avevamo la luce elettrica perché c’era già”, mi ha detto Velia nel corso di un’intervista, “il telefono è arrivato una decina di anni dopo, non c’era l’acqua, c’era solo la fontana. Abbiamo fatto noi l’acquedotto e abbiamo anche fatto i servizi centralizzati”.
Oggi le loro condizioni di vita sono senz’altro più agiate e tuttavia, in accordo con altri che hanno aderito al progetto, non amano concedersi troppe comodità.
L’acqua calda, dunque, ancora non c’è, nemmeno la televisione e non si usano detersivi.
I piatti vengono lavati con la cenere ed i panni con il sapone di Marsiglia.
Insomma, si viaggia lungo le coordinate dell’ecologia profonda, per cui una sobrietà del vivere ed una “sana frugalità” vengono considerati valori al contempo umani, politici e spirituali.
A Mogliazze vivono attualmente 4 persone, assunte dalla cooperativa come braccianti agricoli avventizi.
Lo stipendio è uguale per tutti: 260 euro al mese e tutte le spese a carico della cooperativa (ad eccezione delle telefonate private).
A Mogliazze si coltivano e si trasformano frutta ed erbe medicinali, si produce miele e si fa un po’ di agriturismo.
Piero, che tra le mura allora cadenti di Mogliazze è riuscito a portare a termine i suoi studi, fa “il medico secondo natura”.
Lo spazio vitale è garantito dal fatto che ciascuno ha la propria camera, mentre i bagni e la cucina sono vissuti in comune.


Cooperativa Agricola Mogliazze,
29022 Bobbio (PC)
Tel. 0523936633
E-mail: mogliazze@libero.it
Sito internet: www.mogliazze.it

sabato 27 dicembre 2008

Tutta la solidarietà possibile a Pomaia.

E' con profondo dolore che riporto l'articolo di Repubblica (26 dicembre 2008), sull'incendio nell'Istituo Lama Tzong Khapa di Pomaia, in provincia di Pisa, uno dei piu' importanti centri di buddhismo mahayana in Europa:

Un vasto incendio, probabilmente innescato da un corto circuito, ha devastato buona parte del monastero buddista di Pomaia (Pisa), uno tra i più importanti d'Europa. L' incendio ha distrutto la sala grande di meditazione e moltissimi incunaboli, testi antichi e statue. Non ci sono feriti. I vigili del fuoco hanno circoscritto l' incendio e provveduto a isolare la zona. Il monastero non è più agibile.
Nell' incendio che ha devastato il tempio sono andati bruciati molti libri e testi tibetani, alcuni dei quali rarissimi. I danni materiali, hanno specificato i monaci, superano il milione di euro ma molte delle cose distrutte non hanno prezzo come, appunto, i libri con i discorsi di Buddah, una quarantina di tanke (i dipinti della storie del Buddah tra cui una risalente al 1800), oltre all'altare e numerose statue.
I responsabili dell'istituto Lama Tsong Khapa hanno aperto un conto corrente per eventuali donazioni che li aiutino a ricostruire la parte del monastero andata distrutta. Al momento dell'incendio erano presenti pochi volontari. Molti dei normali frequentatori dell'istituto, infatti, erano fuori per le festività ma domani sono attese 120 persone che avrebbero dovuto pernottare nel monastero una settimana per frequentare il corso di buddismo.
"Ci stiamo organizzando - ha detto Raffaello Longo, presidente dell'istituto - per sistemare gli ospiti in qualche struttura ricettiva della zona. Le lezioni si svolgeranno in palestra. Abbiamo subito un danno grande,non sarà facile porvi rimedio".

Come ho scritto sul mio ultimo testo sulle comunità intenzionali e gli ecovillaggi
, ho vissuto nell'istituto quasi due mesi "ed è stata un’esperienza significativa per quanto la ricordi in maniera controversa. Ha difatti rappresentato una risposta, efficace direi, ad un mio periodo di crisi profonda.I miei compagni di viaggio erano persone ugualmente in crisi, giunte ad un punto morto delle loro esistenze o bisognose di un momento di pausa per poter riflettere e guardare un po’ più a fondo dentro se stesse.
Ho avuto modo di vedere quanto le dinamiche che si creano tra i volontari, le persone dello staff e, in misura molto minore, i monaci e le monache, siano pur temporaneamente comunitarie; si lavora insieme, si mangia insieme, si condividono spazi e stati d’animo, si è solidali nelle emergenze.
[...]
Ricordo che [nel pomeriggio passavo le ore in biblioteca] ed era particolarmente suggestivo quando annottava e fuori del grande casale il silenzio riempiva quasi ogni anfratto".
A fronte dei danni considerevoli, non dubito che molta sia la voglia di ricostruire e ripristinare. Ho avuto modo di constatare, nel corso del mio soggiorno e di fugaci visite successive, quante persone siano coinvolte affettivamente con l'istituto e dunque credo si potrà contare su un aiuto sostanzioso.
Di seguito le coordinate dell'ILTK per comunicazioni di solidarietà ed informazioni su come contribuire, in vario modo, a superare questo brutto momento:

Istituto Lama Tzong Khapa, 56040 Pomaia (PI), 050685654.
http://www.iltk.it
iltk@iltk.it

Chi volesse contribuire finanziariamente
puo' avvalersi delle seguenti coordinate bancarie:


ILTK sul conto corrente n. 48
Cassa di Risparmio di Lucca, Pisa e Livorno, Filiale di Rosignano
Marittima
IBAN - IT21-A-06200-25100-000000000048
causale "Ricostruzione del Gompa"

Per una presentazione sintetica dell'ILTK, infine, consultare la seguente pagina del sito viverealtrimenti.com

venerdì 26 dicembre 2008

Due mesi di vita a Chiang Mai.

Ero stato a Chiang Mai, nel nord della Tailandia, tra gennaio e febbraio 2008. La città viene raccomandata per la buona qualità di vita, le buone accommodations a prezzi ragionevoli, i buoni ospedali, le possibilità di trekking nella bella natura circostante (da visitare anche a dorso di elefante) e via elencando…

Volendo rimanere un periodo in Tailandia, per spezzare un soggiorno prolungato in India, non ho dubbi e scelgo Chiang Mai come luogo di permanenza. Rimango oltre due mesi, avendo modo di elaborare alcune riflessioni.
La qualità della vita si è confermata buona; la città, pur non essendo una metropoli, è senz’altro cosmopolita, offrendo l’opportunità di conoscere tanta, varia e talora pittoresca umanità.
Si possono trovare, è vero, accomodations piacevoli senza spendere cifre eccessive: intorno ai 100-150 euro per una camera mensile o, nel caso si rimanga più di tre mesi, per appartamentini un po’ fuori città, in genere ben ammobiliati e, nei casi più fortunati, con un piccolo spazio verde ed una piscina da condividere con i vicini.
Non mancano buoni ristoranti e non si contano quelli italiani, con proprietari spesso affabili e fidelizzatori.
Si possono fare del buono shopping (la Tailandia e’ famosa per i centri commerciali su quattro o cinque piani dove e’ possibile comperare dall’oro ai prodotti high tech, dal vestiario al cibo internazionale, dai souvenirs ai prodotti per la casa eccetera) ed ottime cure dentarie risparmiando cifre considerevoli rispetto all’Europa.
La città, come generalmente accade in Tailandia, pullula di massaggerie e non mancano buoni cinema e locali notturni.
È agevole ed economico assistere ad incontri di Muay Thai, l’arte marziale nazionale, con incontri a volte simulati, altre realmente appassionanti.
Insomma: vivere due mesi a Chiang Mai può essere interessante e costruttivo e dunque credo sia una prospettiva appetibile per molti travelers o “permanent tali”.
Ho trovato, tuttavia, anche aspetti meno apprezzabili e credo meriti segnalarli per smontare facili mitizzazioni.
La discreta efficienza dei servizi (non dimentichiamo che siamo sempre in Asia, di qui l’utilizzo dell’aggettivo, un po’ tiepido, discreta), il buon gusto di molti locali, possono rischiare difatti di divenire elementi scontati.
Il loro portato di piacere rischia dunque di annacquarsi ed anche svaporare rivelando la drammatica assenza di un nutrimento superiore.
Come ho scritto in altri articoli, la Tailandia non ha mai brillato per produzione culturale, non ha mai fatto grandi investimenti in questa direzione pur avendo una cultura abbastanza delineata, in massima parte buddista.
Il buddismo tailandese è il cosiddetto theravada, snobbato spesso, dai cugini del mahayana (“del grande veicolo”) come hinayana (“del piccolo veicolo”).
Vivendo un minimo in loco ho avuto modo di subodorare questa ipotizzata piccolezza. Nel buddismo theravada manca la figura del bodhisattva, di colui che rinuncia ad uscire dal samsara — il ciclo di nascite, morti e rinascite — e dalla sofferenza della vita per reincarnarsi ed aiutare altre persone ad avvicinarsi alla stessa opportunità.
Il buddista theravada, pur sensibile alla qualità della compassione, vive in funzione della propria salvezza individuale, nulla di più.

È anche vero che i monaci theravada rappresentano un modello di saggezza e virtù, con tutte le positive ricadute sociali del caso e difatti sono tenuti in grande considerazione nel paese ma, come dire, dopo un’esperienza di oltre due mesi la mia impressione è che qui manchi un elemento di scatto.
Culturalmente la Tailandia ha riciclato molto dall’India: la stessa religione buddista, l’epica nazionale — il Ramakien che riprende tutti i motivi del Ramayana indiano — ed i nomi dei re dell’ultima dinastia thai: Rama, come il virtuoso monarca di Ayodhya (nell’attuale Uttar Pradesh, nel nord dell’India), città che ha a sua volta ispirato il nome della tailandese Ayuthaya.
Ha anche preso molto dalla cultura cinese, dando il meglio di sé solo sul fronte del pragmatismo e del più genuino senso pratico.
Assuefatto alla buona qualità dei servizi, della buona musica nei locali, dei buoni ristoranti, è giunto il momento che ho sentito una pungente mancanza di un “oltre”. Su quest’ultimo punto ritengo invece che l’India, a fronte dei suoi immensi difetti che ho tentato di non mancare mai di stigmatizzare, resta insuperata: è un paese inesauribile ed inesauribile è la capacità che ha di stupire, emozionare come, del resto, di disgustare.
Vivere un periodo a Chiang Mai, oltre ad avermi dato alcune importanti opportunità sul piano materiale, mi ha fatto anche contattare una piccola/grande miseria esistenziale.
Questa si è profilata come una percezione fastidiosa di piattume, aridità che, con l’andare del tempo, avrebbe potuto acquisire alcune caratteristiche della noia baudelairiana.
Considerando quella che io definisco la mancanza o l’inadeguatezza di un nutrimento superiore, quali ne siano le cause è difficile dire; si può appena azzardare qualche ipotesi.
Per prenderla un po’ alla larga, ritengo che il fascino dei templi thai non regga il confronto con quello dei monasteri tibetani o alcuni luoghi di pellegrinaggio hindu dove è possibile cogliere la profonda, ineguagliabile devozione del popolo indiano.
Si potrebbe dire: sono tradizioni diverse e tuttavia credo che l’epiteto poco lusinghiero di “piccolo veicolo” abbia un suo perché.
La mente umana può essere facilmente assimilata ad un software ed i miti e le credenze hanno un ruolo particolarmente importante nel realizzarne la programmazione.
Prescindendo ora dal fatto che esistano o meno i bodhisattva, trovo che postularne l’esistenza sia culturalmente importante per dare alla gente il riferimento di un pur lontano “oltre”, di un modello attendibile di autentico altruismo.
Il discorso della montagna ed altri passi del Vangelo che molti poeti ed intellettuali hanno definito rivoluzionari, hanno alimentato nel mondo cristiano un’attenzione all’altro (che avrebbe anche assunto la forma di tante, variegate espressioni socialiste) che purtroppo io non ho ritrovato nella mia esperienza tailandese. Quello di cui ho maggiormente sentito la mancanza è la gratuità di emozioni e sentimenti (un nostro prete potrebbe invocare la “gratuità dell’amore cristiano” che, malgrado la controriforma e la Santa Inquisizione abbiano fatto probabilmente più vittime dei nazisti nel corso della Shoah, ha lasciato una pur debole traccia nel vituperato Occidente).
I thai mi sono sembrati davvero poveri di slancio (almeno da sobri, sotto i fumi dell’acool possono rivelare una buona affabilità), opachi, poco comunicativi (anche per ragioni di lingua, pochi conoscono sufficientemente bene l’inglese), mai disinteressati.
Piccoli come il loro veicolo, pragmatici, buoni affaristi con evidenti derive bottegaie, tendenzialmente incolti ed aridi pur non risparmiando su sorrisi e moine.
È forse la stessa aridità di fondo a contribuire a fare della Tailandia il più grande puttanaio del mondo che magnetizza quindici milioni di turisti ogni anno, la maggior parte dei quali, per loro stessa ammissione, soprattutto interessata a molto sesso a buon mercato. Mi preme chiarire subito che la cosa, non essendo un moralista, non solo non mi scandalizza ma vi individuo degli aspetti positivi — il sesso è una delle migliori medicine e vivere parte del mio tempo a Varanasi mi ha fatto toccare con mano gli effetti devastanti di una cultura ferocemente sessuofobica — ma non ho potuto non interrogarmi su alcune cause ed alcuni effetti.
Le massaggerie sono piene di ragazze madri, vedove, divorziate con figli a carico. Una donna senza un uomo vicino e senza un lavoro qualificato fa una gran fatica ad arrivare alla fine del mese e dunque offrire un hand job (servizio di mano) in una massaggeria o qualcosa di più per qualche centinaio di bath può essere l’unica alternative praticabile. Questo nella totale assenza di uno stato minimamente sensibile alle problematiche delle donne sole. Al contrario, i cui contabili potrebbero essere ben contenti di vedere crescere i dividendi per i soldi carpiti ad occidentali soli, spesso anziani, talora obesi, non di rado ubriaconi.

Ben più squallido è il fenomeno dei go-go-bars, dove si viene letteralmente trascinati dentro da ragazzotte con minigonne vertiginose, dove si viene sollecitati a bere, ad ingoiare, mentre altre ragazzotte sculettano su un palco, avvinghiate ad un palo evidentemente fallico. Fino al momento di prenderne una in prestito per un’ora o una notte, pagando dazio al bar e portandola in uno dei tanti alberghi “convenzionati” delle piccole e delle grandi città. In questo contesto, è facile che intervenga una sorta di febbre ed una ragazza a notte non sia più sufficiente ed i dividendi dell’industria turistica continuino ad aumentare nell’imperversare di un’incultura disgustosa, di bibitine e bibitoni e fast food, della mortificazione della sensualità autentica — che cede spazio alla provocazione becera —, della ripetizione ossessiva e belante del termine bath e di richieste, all’alito alcoolico, sempre più esose.
Forse sarebbe il momento di riconsiderare, a livello culturale ed umano più che religioso, la dimensione del veicolo in questo bel paese (bello e, a suo modo, un po’ folle, per fortuna) senza nulla togliere al mare cristallino, alle buone opportunità di shopping, all’alta qualità delle cure dentarie, al pragmatismo ed al genuino senso pratico che, nella giusta dose, continuo a considerare “un’espressione di intelligenza verace”.

Articoli correlati: Itinerando in Tailandia. Bangkok: la sensualità degli spiriti reinacarnati.

lunedì 22 dicembre 2008

La comunita' della settimana: Crespina.

È questo un progetto di ecovillaggio giunto momentaneamente ad un “punto morto”. L'idea di impegnarsi in un’esperienza di vita comune parte, alcuni anni fa, da un paio di famiglie di Pisa, con quattro e due figli.

Dopo alcune ricerche la scelta cade, nel 2004, su di una bella proprietà dell’entroterra pisano: Villa Corsini, nella cui tenuta ci sono alcuni ruderi che, una volta restaurati, potrebbero ospitare nuovi membri.
Le condizioni dell’acquisto sono piuttosto vantaggiose ma l’ipotesi di coinvolgere altre persone non riesce a prendere corpo. I ruderi, gli spazi più adatti alla realizzazione di un ecovillaggio, debbono dunque essere venduti ed i residenti rimangono proprietari dei soli stabili della villa, rigorosamente non frazionabile. Dati questi presupposti non è facile, oggi, coinvolgere altre famiglie ma, mi dice Lisabetta -che si occupa di tenere i contatti con l’esterno- “la nostra intenzione è di perseverare. [Tuttavia] il progetto per il futuro è che se non si riesce a trovare qui qualcosa di produttivo e ad inglobare altre persone è bene vendere ed optare per un posto più semplice”. In questi anni lavori importanti sono stati fatti a Villa Corsini, ad esempio un impianto di scarico fitodepurato ed il recupero di un uliveto.
Oltre ai residenti è molto facile trovare diversi volontari, data anche la convenzione con il WWOOF.
Il posto è davvero bello, sia da un punto di vista architettonico che naturale. Potremmo definirlo “aristocratico e selvaggio ad un tempo”.
Al momento una persona di ciascuna coppia lavora fuori e questo consente al piccolo esperimento comunitario di sopravvivere.
Con il tempo l’intenzione è di dare impulso all’ospitalità, in modo da poter produrre reddito in loco. A questo progetto potrebbe connettersi quello della realizzazione di un biolago balenabile e di sfruttare i circa venti ettari di bosco della proprietà per alimentare un futuro impianto di riscaldamento a biomasse. A Crespina si è scelta la strada dell’economia privata, pur in presenza di una cassa comune per la cucina e quella sezione di proprietà utilizzata dal nucleo coabitante.
Data la dimensione “familiare” di quest’esperienza, le decisioni vengono prese in maniera grossomodo informale nel corso di periodiche riunioni.
Il criterio scelto è, in genere, l’unanimità.
Particolare non trascurabile, tra gli stabili di Villa Corsini c’è una chiesetta deliziosa, a disposizione dei residenti e degli ospiti per momenti di raccoglimento e meditazione. La dimensione spirituale è difatti abbastanza sentita qui, pur in assenza di un preciso percorso comune.

Ecovillaggio di Crespina
Via di Sonzi 56042, CRESPINA (PISA)
Tel. 050.86852 348.8891316
E-mail lisabettamatteucci@gmail.com

giovedì 18 dicembre 2008

Da "Donne con la valigia": India, tutti verso la dea Yellamma.

Donne con la valigia è un blog-magazine di grande successo, segnalatissimo dentro e fuori la rete. Il post che segue è di Gaia Champa, una "ragazza con la valigia in India". Sono suoi appunti di viaggio e lavoro nel sud del paese. Gaia Champa vive a Goa dove sta diventando una fotografa professionista presso Shoba, fondatrice del centro di fotografia Mother India School. Gaia Champa:

India, 11-14 dicembre 2008, luna piena
Partiamo da Goa per Saundatti, nel Karnataka, per un reportage sulla dea Yellamma. Siamo quattro donne di Motherindia school. Shobha, direttrice e fotografa, io Champa, la sua assistente, Deva, fa riprese video, Anu è la nostra astrologa consigliera. Sette ore di macchina per incontrare la dea Yellamma. Attraversiamo piccoli villaggi, campagne, i colori sono di terra e acqua, i bambini lavano i bufali al fiume, le scimmie aspettano i turisti alla cascata, piccole bambine luminose pascolano le pecorelle del villaggio. Piantagioni di riso, palme e alberi secolari.

E’ il tempo della raccolta dei pomodori. Ci fermiamo lungo la strada, una donna china sul terreno lentamente li divide, la luce del sole brilla tutto intorno e il suo sari si scioglie tra colori.
I pellegrini sono in marcia da giorni, allegre fanciulle alla guida di lunghe carovane, pentole, legna per il fuoco da ardere, vecchi, bambini, caprette, muli, bufali dalle grandi corna colorate di giallo, in onore della dea Yellamma, annunciano il loro arrivo.

Ci lasciamo immergere nell’India più antica, si parla solo il karnata, il dialetto del luogo. E’ un sogno!

Ci troviamo nel piccolo villaggetto di Saundatti. Siamo spinte con forza dai pellegrini dentro una delle quattro porte del grande tempio, ci trascinano nel vortice continuo e circolare, una sottilissima polvere di tamarindo color ocra ricopre tutti noi e ci benedice. C’è chi urla, chi si rotola a terra, chi invoca, posseduto dallo spirito della dea Yellamma, vibrando forte come casse di risonanza della terra che coltivano.

Il simbolo della dea Yellamma è scolpito in ogni luogo, due serpenti s’incrociano, il maschile e il femminile. Donne, devadasi, eunuchi, ballerine, ex prostitute, fachiri, contadini e pellegrini, vecchie sciamane, solcate da rughe profonde ricoperte di polvere di tamarindo, con forza ed energia muovono intorno a loro, tra la gente, lo scettro della purificazione, una folta chioma di capelli neri legati ad un piccolo bastone argentato. Tutto è molto forte,come il peperoncino del cibo che mangiamo. Un piatto grande con riso, lenticchie, e tante salse speziate, il tali. Shivani è l’albergo che ci ospita, l’unico per europei decente di Saundatti. Al nostro arrivo mancava tutto, acqua calda, luce, lenzuola, carta igienica e asciugamani, e le chiamano “camere de lux”.

La celebrazione continua. Il ritmo delle percussioni è forte, travolgente. Una donna balla tra tanti tamburi. Il suo sari è bianco, ha una lunga treccia e ai piedi scalzi porta cavigliere con sonagli. In verità non è una donna, è un eunuco che balla sotto la luna piena.

(testo: Gaia Champa - Credits photo: Shobha)

mercoledì 17 dicembre 2008

La comunità della settimana: Campanara.

La valle di Campanara è piuttosto appartata, in una sorta di “terra di mezzo” tra Toscana ed Emilia, vicino a Palazzuolo sul Senio, in provincia di Firenze. Prende il nome da una chiesa seicentesca che si staglia ieratica al suo centro. È uno di quei posti che vennero progressivamente abbandonati all’indomani della seconda guerra mondiale o a seguito dell’incremento del PIL nazionale sull’onda del miracolo economico. L’ultima famiglia di mezzadri se la lascia alle spalle negli anni ’60 ed i bei casolari in pietra grigia non possono eludere la rapida usura del tempo. Nel 1984 un gruppo di 8 persone di ritorno da un viaggio in India ottiene il permesso per insediarsi nella canonica annessa alla chiesa.
Questa, sconsacrata, verrà affrescata con immagini di s.Francesco, Buddha e figure del paganesimo celtico. In poco tempo la valle attrae altre persone (qualcuno le definisce presto “squatters rurali”), desiderose di un posto tranquillo dove riuscire a vivere, in semplicità, coltivando la terra ed allevando qualche animale. Gli stabili non mancano e sono in condizioni discrete ma quasi tutto il territorio -ad eccezione della canonica e di qualche altro casolare che vengono nel tempo acquistati- è di proprietà demaniale. Ciononostante la presenza, italiana e mitteleuropea, incrementa e dopo una quindicina d’anni si sostanzia di circa quaranta persone.
Nascono diverse piccole comuni indipendenti, in rapporto di mutuo appoggio e si utilizzano pannelli solari per produrre un minimo di energia elettrica. Si riescono faticosamente ad ottenere periodici contratti d’affitto, concessioni annuali e si ricorre alle occupazioni. Da alcuni anni, tuttavia, la regione Toscana ha messo in vendita gli immobili di cui è proprietaria ed oggi, nel territorio attorno alla chiesa sincretica e paganeggiante, non sono rimaste neanche venti persone, circa la metà delle quali a rischio di sfratto. A difesa della gente di Campanara si è attivata l’associazione Nascere Liberi che conta tra i suoi soci molti degli attuali residenti nella valle. Obiettivo dell’associazione: persuadere la Comunità Montana ad affidarle casolari e terreni, con l’impegno di utilizzarli per progetti di natura ecologica e solidale (coinvolgendo, ad esempio, cooperative sociali di assistenza ai disabili). Al momento la situazione è precaria e la vita comunitaria ridotta all’osso. Le venti persone sono distribuite in piccoli nuclei (anche solo di una o due persone ) in diversi casolari sparsi nel territorio. È una situazione di grande frammentazione che diventerebbe con ogni probabilità irreversibile se i casolari abbandonati e quelli occupati venissero venduti a ricchi privati. L’ipotesi di creare un ecovillaggio a Campanara, dunque, malgrado i presupposti ecologici non manchino (il posto è davvero bello ed incontaminato), è di là da venire e non può prescindere, data la situazione, da un equilibrato dialogo con le istituzioni. Questo detto, persone seriamente motivate potrebbero contribuire ad una auspicabile “rinascita” del luogo.

CAMPANARA
Torre Campanara, 50035 Palazzuolo sul Senio (FI)
Responsabili relazioni esterne:
Silvia: Via Campanara 1 Cell.335.7104642
Ilaria: Villetto 13 cell.338.6861843
Ottavio: Vallibona cell.338.9388957

lunedì 15 dicembre 2008

Un sito per VivereAltrimenti.

In apertura di settimana una bella comunicazione di servizio: sono molto contento di annunciare che i contenuti del sito www.manuelolivares.it (che spero molti lettori di questo blog abbiano visitato) sono stati trasferiti su viverealtrimenti.com, concepito in maniera da essere più gestibile e versatile. Il nuovo sito e’ stato realizzato utilizzando il free open source content management system Joomla (www.joomla.org) e credo sia stata una soluzione conveniente che posso consigliare a tutti coloro che abbiano una simile esigenza.

In pratica, ho comperato un pacchetto di un anno sul web hosting siteground (www.siteground.com), inclusivo del nome del dominio, di 750 GB di spazio web e 7500 GB di traffico per una somma del tutto ragionevole: 90 dollari. Ho dunque potuto realizzare il sito seguendo una procedura standard descritta in un manuale scaricabile on-line e potendo contare sull’aiuto di Prisco (che non posso, qui, non ringraziare), programmatore nomade cui ho accennato nella presentazione di questo blog e vicino di stanza in una tranquilla guest-house di Chiang Mai, in Tailandia. Ne e’ uscito un prodotto virtuale asciutto e razionale che puo’ essere arricchito e migliorato in virtu’ di un’intrinseca versatilita’.
Come accennato, i contenuti sono gli stessi di www.manuelolivares.it ovvero: resoconti fotografici e testuali di viaggi in Oriente, la presentazione di quasi tutte le comunita’ intenzionali e gli ecovillaggi in Italia e di alcune realta’ comunitarie in Europa e nel mondo, una “piccola biblioteca virtuale” ed il servizio di e-commerce per i libri recensiti.
Il sito viverealtrimenti.com e’ naturalmente gemellato con questo blog, rappresentandone anche una sorta di database.
Entrambi, facilmente ed autonomamente aggiornabili, sono aperti ai contributi di chi volesse raccontare “storie di un’altra vita”, di “nomadismo”, “storie d’Oriente” o di vita in comunita’ intenzionali ed ecovillaggi per arricchire la costellazione del VivereAltrimenti.
Vi invito naturalmente a visitare il sito ed a comprare e regalare qualche libro (considerato anche che siamo sotto Natale) per alimentare una cultura di una vita diversa.
Di seguito la presentazione di alcuni testi della piccola biblioteca virtuale:


Vegetariani come, dove, perche’ di Manuel Olivares (pag 128, euro 7)

Ogni chilogrammo di carne bovina è prodotto a spese di una foresta bruciata, di un territorio eroso, di un campo isterilito, di un fiume disseccato, del rilascio nell’atmosfera di milioni di tonnellate di anidride carbonica, monossido d’azoto e metano.
(Jeremy Rifkin)

Sono profondamente convinto che un tendenziale vegetarismo (dunque rigorosamente laico e moderato) abbia una scottante attualità e che, giocoforza, saremo costretti in breve tempo a riconsiderare seriamente ogni nostro abuso di carne.
Tentare di astenersi il più possibile dal cibarsi di “cadaveri”, oggi, non è più solo da mandrilli salutisti o da animalisti che considerino il fatto stesso di mangiare carne, pesce e derivati un crimine. È anche sempre più tipico di persone che si sforzino di avere un comportamento responsabile.

(Manuel Olivares)

E’ il mio primo lavoro pubblicato; la storia di un viaggio in un mondo di cui tutti sanno qualcosa ma pochissimi sanno abbastanza. Una rapida panoramica storica della cultura vegetariana -da Pitagora a Tolstoj, da Gandhi a Capitini- ed un’analisi laica dei pro e dei contro (e delle implicazioni politiche, economiche e sociali) di una scelta alimentare che presenta diversi livelli di radicalità. Colpi di zoom su vegani, crudisti, fruttariani, fino ai liquidariani, che si nutrono di solo “prana liquido”.
In questo libro mi cimento per la prima volta con un “saggio autobiografico”, in cui accanto ai dati ed alle nozioni tipiche di ogni saggio lascio spazio a racconti ed aneddoti che mi coinvolgono in prima persona…ad esempio di un’esperienza di digiuno riconducibile alla tradizione essena assieme ad un eremita protocristiano.
Un libro fresco e tuttavia puntuale, in fondo al quale viene tratteggiata una mappa dei più importanti ristoranti vegetariani in Italia.


Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia
di Manuel Olivares (pag. 140, euro 9)

Chi non ha mai sentito parlare di qualche gruppo, piccolo o grande, di persone che sceglie di vivere in un posto appartato, secondo regole proprie e al di fuori degli schemi consueti?Quasi nessuno, credo. L’esigenza di aggregarsi sul criterio dell’affinità, collettivizzando i propri averi o più semplicemente investendo in un progetto di vita comune, per quanto minoritaria è molto antica ed oggi sta affascinando un numero crescente di persone.
Ha dato vita a quel genere di comunità (chiamate spesso anche comuni) di cui si vuole parlare in questo libro; uno degli habitat prediletti per “aspiranti rivoluzionari”, “apprendisti mistici” e “poeti del quotidiano”.

(Manuel Olivares)

Qui potete trovare frammenti di storia di chi sceglie di viverealtrimenti, in piccoli gruppi che ricerchino uno stile di vita quieto e naturale. Un excursus che dalle prime comunità essene arriva ai moderni ecovillaggi tentando di non trascurare nessuno: anarchici, socialisti utopisti, nipoti radicali della riforma protestante e poi gli hippies, gli ecologisti profondi, quelli che parlano con gli angeli o con gli UFO o riforestano aree semidesertiche, progettano città futuribili o si accontentano di vivere tra i boschi nutrendosi di frutti spontanei e fiori di sambuco, di farina di castagne e di latte delle proprie capre.
Una mappatura della dimensione comunitaria in Italia: le realtà confederate nella RIVE (Rete Italiana Villaggi Ecologici), quelle che gravitano attorno al CIR (Corrispondenze e Informazioni Rurali; giornale autoprodotto in stoica economia), quelle religiose o del tutto autonome ed un saggio autobiografico.
La dimostrazione che viverealtrimenti è possibile (alcuni lettori di questo testo ci stanno concretamente provando) e le soluzioni sono, in pratica, infinite.


Comuni, comunità, ecovillaggi in Italia, in Europa, nel mondo di Manuel Olivares (pag 180, euro 12)

Gli ecovillaggi e le comunità intenzionali sono un fenomeno ancora piuttosto marginale e tuttavia […] stanno uscendo ogni giorno di più dalla marginalità.
Portare questi piccoli-grandi mondi futuribili -avamposti di collaudo di una scienza della sostenibilità e della non-violenza- fuori della penombra è compito di ciascuno di noi e spero davvero che questo libro, con i suoi inevitabili limiti, possa dare un contributo in questo senso.

(Manuel Olivares)

Sulla carta nasce come seconda edizione di Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia ma, all’atto pratico, acquisisce una personalità autonoma. Riduco significativamente la trattazione storico-filosofica e valorizzo maggiormente gli aspetti guidistici ed autobiografici. Il testo si delinea dunque, contemporaneamente, come una mappatura ragionata della dimensione comunitaria nazionale ed internazionale ed un diario di viaggio.
Rispetto al testo precedente, il focus si è dunque allargato dalle realtà italiane (che restano comunque il soggetto maggiormente trattato) a quelle europee ed alle principali mondiali.
Chiunque fosse interessato alle comunità intenzionali ed agli ecovillaggi nel mondo può trovare qui i fondamentali riferimenti utili.
C’è chi ha identificato in questo libro “uno dei primi accessori da mettere nello zaino (o nel più moderno e meno “alternativo” trolley) al momento di mettersi in viaggio”.
Io l’ho definito “una mappa per animi inquieti e per un tesoro proibito. Una chiave rubata per disertare le multiformi galere del mondo”.


Nomadi e viaggiatori in fuga dall’Occidente di Massimo d'Anjuna. (pag 128 colore Euro 13)

Tutti hanno bisogno di una ricerca che giustifichi l’esistenza.

(B. Chatwin)

Non c’e’ niente di piu’ nobile che affrontare inconvenienti come serpenti e la polvere solo per amore della liberta’.
(J. Kerouac)

La parola d’ordine dei ’60 fu: allargare l’area della coscienza. Mentre le citta’ si gasavano, qualcuno fuggiva in campagna, altri scoprivano la via dell’Oriente. Era la fuga da un Occidente che offriva il suo stile di vita obbligato: produzione-consumo.

(Massimo di Anjuna)

…e la fuga non si e’ arrestata. Sta continuando e si potrebbe intensificare. Con un’interessante caratteristica: potrebbe essere sempre meno una fuga! Piuttosto vivere il mondo a tutto tondo, in groppa alla globalizzazione, con una coscienza sempre piu’ espansa.
Nomadi e viaggiatori di Massimo di Anjuna e’, in primo luogo, un bel testo di storia, vissuta in prima persona ed in prima linea. Questo protagonismo traspare da tutto, non ultimo il linguaggio che l’autore stesso definisce “naif”, e “di strada”.
Discreto materiale di repertorio. Buone, a volte ottime le citazioni. Sorvolando su alcune derive tossicofile, credo sia questo un libro particolarmente utile a chi non voglia svendere la propria vita per sopravvivere. E’ una buona mappa ragionata di tante, diverse oasi di “vita altra” nei 5 continenti. Vita ecologista, anticonsumista, estatica, tribale. Naturalmente non esaurisce le possibilita’ di “vivere altrimenti”. Quelle, si sa, sono infinite…


Hippies di Matteo Guarnaccia. (pag 140 colore euro 13)

Il ritorno al caos e’ indispensabile per ogni nuova creazione, l’orgia collettiva e’ un tornare al caos originario, in uno stato indifferenziato, l’orgia scatena la confusione, la totalita’ prima della creazione della notte cosmica. (…) Vorrei contrastare le voci secondo cui le pratiche sessuali e orgiastiche degli hippies sarebbero state parte di un processo di liberazione sessuale che coinvolgeva il mondo intero. Nel caso degli hippies si e’ trattato di qualcosa che si potrebbe definire come nudita’ paradisiaca e come unione sessuale rituale. Essi hanno riscoperto il profondo senso religioso della vita. Dopo questa esperienza si sono liberati di ogni genere di pregiudizi: religiosi, filosofici, sociali. Sono liberi. Hanno riscoperto la dimensione della sacralita’ cosmica.
(Mircea Eliade)

Siamo ancora alle prese con pagine di storia (con incursioni mirate nella sociologia) della cultura alternativa, di una delle tante sfaccettature del “vivere altrimenti”.
Hippies e’ un testo puntuale e tuttavia leggero (sappiamo quanto un certo rigore accademico o “pseudotale” rischi di diventare palloso) oltre che prezioso, considerata la scarsa letteratura di qualita’ sull’argomento.
La stagione della “nuova Boemia”, della “fiammata neopagana” merita senz’altro di essere approfondita, non foss’altro per la natura nettamente post-moderna, avendo rappresentato, tra le altre cose, una sintesi eretica dell’incontro tra Oriente ed Occidente, oggi sempre piu’ di attualita’. Potremmo anche dire sia stata l’espressione dei primordi di una globalizzazione culturale ed utopica. Caotica ma, forse, “sostanzialmente buona”.


Underground Italiana
di Matteo Guarnaccia. (pag 100 colore Euro 13)

Protagoniste di questo libro sono la psichedelia e la controcultura hippie italiane. E’ la storia di un folle esperimento artistico e sociale […] un’avventura che si dipana tra esperienze erotiche, psichedeliche e mistiche, tra viaggi e fughe da casa, comuni e poesia, pacifismo e controinformazione, musica, nudismo [… ] riverberi di un fugace maelstrom creativo che si e’ imprevedibilmente sviluppato nel nostro paese tra il ’64 ed il ’73, in contemporanea con altre regioni del globo.
(Matteo Guarnaccia)

Potremmo anche definirlo un testo sulla “malattia della liberta’”. Underground Italiana e’ una bella raccolta di testimonianze: parlano, in prima persona, con il proprio linguaggio fuor di convenzioni ed eufemismi, i protagonisti di un movimento del tutto spontaneo. Sotterraneo perche’ non cercava la visibilita’ a tutti i costi (e in un secondo momento per necessita’, per sfuggire ad una persecuzione con momenti particolarmente feroci) e che, tuttavia, non si puo’ dire sia passato inosservato. Un movimento-non movimento di cui in realta’ si sa poco, di cui la massa ha raccolto appena qualche flash: i capelli lunghi, il sacco a pelo, il viaggio in India, le comuni. In realta’ e’ stato un fenomeno con una sua fascinosa organicita’, una sorta di risveglio (o infatuazione) di una parte di una generazione che ha mollato gli ormeggi del controllo ordinario, della dimensione cartesiano-razionalista. I sociologi hanno abbondantemente speculato (anche molto a proposito), ricavando spiegazioni nel periodo storico, nell’esplosione di benessere dopo il secondo conflitto mondiale, nell’identificazioni dei cosiddetti valori post-materialisti eccetera eccetera.
Personalmente credo valga la pena di soffermarsi sull’immagine, ripresa dal libro, di giovani che si sono lasciati alle spalle “la follia della storia per penetrare”, forse un po’ ingenuamente ma lasciando ad altri esitazioni e riserve, “nell’essere”.


Wounded Knee: Indiani alla riscossa!
di Angelo Quattrocchi (pag 144 Euro 10)

Agnes Afraid of Hawk (Agnese Timorosa del Falco) abita in una casa di tronchi di legno, una stanza sola, a 200 metri dall’emporio. Agnes, che e’ sola da molti anni, ha vissuto qui tutta la sua lunga vita […] facendo tappeti intricati e splendidi […] medaglioni e collane di perline che vende a tre dollari l’una.
[…]
Lei andava a fare la spesa all’emporio, dove prendevano nota di quello che acquistava e glielo addebitavano. Agnes non parlava ne’ leggeva l’inglese ma il lakota, quindi all’emporio i conti li facevano come meglio a loro piaceva. Un bel giorno le dissero che il suo debito era molto alto e che per pagarlo doveva vendere le sue terre. Gran parte dell’attuale emporio e’ stato costruito su un terreno che era di Agnes e con la rendita delle proprieta’ a lei sottratte

(Angelo Quattrocchi)

Il villaggio di Wounded Knee e’ nel Sud Dakota, poco distante da Pine Ridge, sede dell’amministrazione coloniale (BIA Bureau of Indian Affaire). Nel 1890 e’ stato teatro di una strage di Minneconlou (sottoceppo dei Lakota).
Quasi un secolo dopo, nel 1973, il villaggio viene occupato e difeso da poche centinaia di guerrieri indiani. E’ subito l’assedio, nel corso del quale Wounded Knee si dichiara nazione indipendente e sovrana.
Il braccio di ferro con l’apparato repressivo e le istituzioni si protrae (con mezzi del tutto impari) per quasi due mesi e mezzo. Viene seguito, giorno per giorno, da Angelo Quattrocchi, unico europeo a parteciparvi da dentro tenendo uno scrupoloso diario. Ne e’ risultato questo splendido libro-verita’, coinvolgente ed avvincente, pur con punte di inevitabile amarezza. Una buona occasione per considerare la drammatica vicenda dei pellerossa che, tuttavia, dall’esperienza di Wounded Knee (non solo da essa) hanno ricavato nuova determinazione per il loro lungo, tormentato, rinascimento.


E quel Maggio fu: Rivoluzione! di Angelo Quattrocchi (pag 160 euro 11)

Nel dolce mese di maggio i francesi diedero inizio al primo atto della loro grande seconda rivoluzione. Una rivoluzione che vuole rose, non solo pane, quindi la piu’ grande delle rivoluzioni e l’ultima.

Le rivoluzioni sono l’estasi della storia, momenti in cui la realta’ sociale e il sogno si fondono: un atto d’amore

(Angelo Quattrocchi)

Ancora un buon libro di storia, vissuta in prima persona e -ideologicamente ma, soprattutto, letteralmente- da una parte della barricata.
Il testo ripercorre i momenti salienti dell’imponente movimento parigino e francese (non bisogna difatti dimenticare quello che accadeva, ad esempio, a Nantes mentre a Parigi si battagliava per portare l’utopia nella realta’): i prodromi all’universita’di Nanterre, la presa della Sorbonne, l’avvicinamento e poi la cooperazione con la classe operaia sino alla strategia restauratrice di De Gaulle.
Un libro appassionante, con un buon respiro e descrizioni immaginifiche ed efficaci. Non a caso e’ stato un best-seller tradotto i diverse lingue tra cui (nel momento in cui venne contrabbandato in Cina attraverso Taiwan) il cinese.

martedì 9 dicembre 2008

La comunità della settimana: Azienda Agricola Acquasanta.

Con questo post si inaugura una presentazione, settimanale, di una comunità intenzionale italiana. Concedendo qualche cauto spazio alla metodicità, ho deciso di procedere in ordine alfabetico.
Per una presentazione più completa delle comunità intenzionali e degli ecovillaggi in Italia rimando naturalmente al sito viverealtrimenti.com.


L’Azienda Agricola Acquasanta -situata alle pendici del monte Pausillo, poco distante dal lago Trasimeno- prende il nome da una vicina sorgente naturale. Al momento è ancora un embrione di progetto di vita comune. “Più che una comunità intenzionale è una famiglia allargata”, mi dice Barbara Garofoli che, nell’azienda agricola biologica, si occupa di tenere i contatti con il network comunitario.
“La famiglia” (quattro adulti e due minori) vive in un antico casale in pietra, diviso in piccoli appartamenti “privati” con in comune la cucina e la living room. All’esterno l’azienda si sviluppa su circa quattro ettari e mezzo di terreno (di cui più di uno coperto dal bosco). Ad Acquasanta si sta creando, passo passo, un “centro di ecologia pratica” in grado di proporre uno stile di vita coerentemente sostenibile.
Vengono valorizzati: un uso consapevole delle risorse naturali (a cominciare dall’acqua), la selezione di specie rustiche e resistenti, la protezione della biodiversità del luogo, la salvaguardia e l’autoproduzione di sementi locali, un ampio utilizzo di tecniche di permacultura, l’inselvatichimento controllato degli animali da cortile, la predilezione del baratto e la diffusione di una “cultura altra”.
Acquasanta, sede dell’associazione culturale “La Fonte”, è aperta a visite guidate, feste ed incontri, limitandosi a richiedere ai visitatori il rispetto della natura circostante.
Offre seminari e conferenze su agricoltura naturale, religioni e culture (ad esempio è stata dedicata una serata al Giappone, con pranzo e musica giapponesi).
È anche aperta all’ospitalità alla pari. Per poter offrire un’accoglienza migliore sta prendendo corpo il progetto di costruzione di una capanna-sala multifunzionale con area adibita a dormitorio.
L’azienda produce soprattutto olio e zafferano oltre ad ortaggi, cereali e frutta. Tra i cereali vengono prodotti il kamut e due varietà di frumento toscano antico -Sieve ed Andriolo- coltivati con il metodo Fukuoka per conto dell’Università di Firenze.
Sul fronte del metodo Fukuoka (insegnato anche ai bambini che visitano la fattoria didattica), Acquasanta è in una fase ancora pionieristica ma i risultati del primo anno (2005) sono stati incoraggianti e si è deciso di continuare.
“Stiamo lavorando affinché Acquasanta diventi un’oasi ecologica per il corpo e per lo spirito”, mi dice Barbara, “e siamo felici di condividere questo nostro progetto con altri”.

Azienda Agricola Acquasanta, Vocabolo Malagronda 104, 06060 Città della Pieve (PG).
Tel. 0578294099 (referente: Barbara Garofoli). E-mail: agricolaacquasanta@libero.it

giovedì 4 dicembre 2008

La vittoria di Ananda Assisi.

Era gennaio del 2004 e mi ero appena traferito ad Urbino. Mi arriva la notizia di una retata poliziesca ad Ananda Assisi, la comunita’ spirituale fondata da Swami Kriyananda, discepolo di Paramahmasa Yogananda, nel 1984 (per una presentazione della comunita’ rimando al sito internet viverealtrimenti.com). Ricordo fu istintivo prendere la macchina e correre, neve permettendo, ad Ananda per scrivere un articolo per il mensile AAM Terranuova. L’accoglienza fu molto calorosa e, da allora, i rapporti con la comunita’ sono sempre stati eccellenti. Sono dunque lieto di riportare l’articolo che scrissi in quell’occasione, per spiegare un minimo in dettaglio cosa e’ realmente accaduto a seguito di quella retata e, soprattutto, la comunicazione che ho avuto da Ananda in questi giorni.
A 4 anni di distanza, Ananda Assisi ha ottenuto giustizia, regalando una bella vittoria all’intero network comunitario.

L'articolo
Nel 1971 la casa editrice Astrolabio pubblica la terza edizione riveduta (la prima è del 1951) di Autobiografia di un yogi, del maestro spirituale indiano Paramahansa Yogananda (1893-1952).
Da allora il testo non ha cessato di essere ristampato ed è ancora in vendita in molte librerie.
Parliamo insomma di un grande classico, letto da milioni di persone nel mondo.
Al messaggio di Yogananda ha fatto presto seguito un discreto fermento comunitario, coordinato dal suo diretto successore: J. Donald Walters, maggiormente conosciuto come Swami Kriyananda.
A partire dagli anni ’70 verranno dunque fondati, progressivamente, 7 “villaggi Ananda”; 6 in America ed uno in Italia, a pochi chilometri da Assisi, che oggi ospita circa 90 persone.
Limitandoci a considerare il caso italiano, ad Ananda si valorizza moltissimo la dimensione spirituale ma non si trascura, al contempo, quella produttiva.
Nei suoi stabili è attiva una cooperativa di vendita di articoli per la meditazione, cristalli, libri, incensi ecc…, una foresteria ed una casa editrice (Edizioni Ananda).
Sembra tutto procedere nella ricercata armonia quando, il 14 gennaio, la pacifica comunità spirituale ha un risveglio insolitamente poco meditativo.
È difatti oggetto di una perquisizione scrupolosissima della guardia di finanza (80 finanzieri con un cane antidroga ed armi nelle tasche), disposta dal sostituto procuratore Antonella Duchini.
Non viene trovato niente di incriminante ma le accuse presentate sono gravissime: associazione per delinquere, truffa, usura, frode, circonvenzione d’incapace, riduzione in schiavitù e si focalizzano su undici persone indagate.
La stessa gravità delle accuse giustifica il sequestro temporaneo di diversi computer, conti correnti intestati alla comunità per una cifra complessiva di 300000 euro e di 20000 euro in contanti.
Tutto materiale su cui gli inquirenti debbono indagare.
Buona parte dei soldi bloccati, mi hanno detto ad Ananda, servivano per pagare i fornitori e gli stipendi di soci e dipendenti.
Se a questo si aggiunge che le lungaggini burocratiche possono paralizzare per un periodo intollerabile le attività produttive, siamo al rischio di bancarotta.
Stando a quanto hanno scritto giornali locali -che non hanno mancato di parlare di “setta mistica”, “lavaggio del cervello” e spoliazione dei beni degli “adepti”, contribuendo a danneggiare ulteriormente, in totale assenza di prove concrete, l’immagine della comunità- l’inchiesta sarebbe partita da una denuncia proveniente da uno o più familiari di una o più persone “plagiate”.
A parere degli indagati, invece, l’accusa verrebbe da un uomo vissuto in loco per un certo periodo e risentito per non essere riuscito a raggiungere la sperata pace interiore.
A strenua difesa di Ananda, la giornalista e scrittrice Paola Giovetti ed il regista Giacomo Cambiotti, che vi hanno vissuto per un certo periodo di tempo.
Non sono naturalmente gli unici a manifestare la loro solidarietà.
I Radicali umbri, poi, denunciano il tentativo di instaurare, nella propria regione, “un clima paranoico proibizionista di stampo inquisitorio e controriformista”.
Personalmente ho visitato Ananda tre volte ed ho intervistato lo stesso fondatore.
L’impressione che ne ho avuta è di un luogo dove si cerca di vivere in armonia con le proprie convinzioni religiose ed un’autenticità spirituale di cui purtroppo il mondo sembra ormai irrimediabilmente carente.
Da un punto di vista culturale ciò che, credo, penalizzi realtà come Ananda, in particolare in momenti così difficili, è la profonda e diffusa ignoranza di culture religiose altre, che può indurre ad assumere punti di vista univoci e ferocemente preconcetti.
Di qui, nell’universo insulso dei luoghi comuni, chi sceglie, ad esempio, di praticare il karma-yoga (servizio volontario come offerta a Dio) in un ashram o in una comunità religiosa può essere facilmente additato come un individuo psicolabile sfruttato da feroci aguzzini o addirittura ridotto in schiavitù.
(In: AAM Terranuova, marzo 2004.)

La Comunicazione di Ananda in questi giorni
Il giudice respinge fortemente tutte le accuse contro Ananda. Tutti assolti con formula piena. Sabato 22 novembre 2008 è stato un grande giorno per l´opera di Ananda in Europa! Dopo 7 anni di indagini e accuse da parte della Procura di Perugia, il caso intentato contro Ananda per associazione a delinquere con scopi di riduzione in schiavitù, lavaggio del cervello, circonvenzione d'incapace, usura e frode si è concluso con un'assoluzione piena. Tutte le accuse sono totalmente crollate e il giudice dell´udienza preliminare, Dr. Massimo Ricciarelli, ha assolto tutti i componenti di Ananda, emettendo sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste. Una vittoria schiacciante! Questa è la miglior sentenza che il giudice potesse emettere perché implica l´assoluta inesistenza e nullità delle accuse mosse ad Ananda, come se tutto non fosse mai successo, il che significa molto di più di una semplice dichiarazione di innocenza. Gi stessi avvocati, assolutamente fiduciosi dell´esito positivo di questa udienza, sono stati molto ben impressionati per il coraggio dimostrato dal giudice nell´emettere questa sentenza definitiva. Ciò è una dimostrazione straordinaria della forza delle preghiere e della luce della verità.
Vogliamo mandare i nostri più grandi ringraziamenti a tutti coloro che ci hanno sostenuto in questi anni dimostrandoci, con le preghiere e gli aiuti ad ogni livello, solidarietà, fiducia e amicizia.
Ringraziamo i nostri splendidi avvocati che sono sempre stati convinti della nostra innocenza, della sincerità e onestà del nostro operato. La loro presentazione è stata così brillante ed esaustiva da spazzare via ogni dubbio e consentire al giudice di convincersi dell´infondatezza delle accuse ed emettere una sentenza definitiva a nostro favore.
Ringraziamo infine Swami Kriyananda, la cui presenza alla convocazione preliminare, ci ha dato grande sostegno e ha aperto le porte a questa vittoria.
Questa saga legale e le sue conclusioni hanno importanti implicazioni per i movimenti spirituali in Italia ed Europa. Vi invitiamo ad unirvi alla nostra gioia per celebrare questo giorno che rappresenta la chiusura di un vecchio ciclo e segna l´inizio di "un nuovo domani".

Gioia, Gioia, Gioia!
Con gratitudine a Dio e ai Maestri,
La vostra famiglia di Ananda

lunedì 1 dicembre 2008

Il futuro dell'India.

In apertura di settimana credo meriti citare quanto ha scritto Federico Rampini -autore dello splendido L’impero di Cindia (Mondadori 2006) di cui consiglio a tutti la lettura- sul blog rampini.blogautore.repubblica.it.
VivereAltrimenti e’ un progetto divulgativo nato in India, a Goa per la precisione e si e’ soffermato molte volte a raccontare, in un modo o nell’altro, frammenti del subcontinente. Quel che e’ successo ultimamente non puo’ dunque non coinvolgere questo blog che cercherà di mantenere il passo con l’evolvere degli eventi.
Prima di dare la parola a Rampini un solo commento: da tempo sto pensando di scrivere un libro sull’India, vivendovi la maggior parte del mio tempo da circa tre anni ed una definizione lapidaria su cui mi sono talora soffermato, parafrasando un celebre romanzo di Pier Paolo Pasolini e smentendo molti luoghi comuni è: un paese violento!
Sembra che l’attualità mi stia dando tristemente ragione ma non voglio cedere al pessimismo; è anche un paese che ha sempre dimostrato di avere tanti, infiniti recuperi, risorse nascoste e inesauribili. Rampini:


Quali conseguenze avra` nel lungo periodo questo “undici settembre di Mumbai”? E’ possibile che cambi in profondita` i connotati dell’India come la conosciamo? La democrazia indiana oggi e` confrontata esattamente agli stessi dilemmi dell’America dopo l’attacco alle Torri Gemelle: quanta liberta`, quanto rispetto dei diritti umani e` compatibile con la lotta al terrorismo? Sappiamo la risposta che ha dato l’America negli otto anni di Bush: il Patriot Atc, Guantanamo, Abu Ghraib. E l’India ha vicino a se` anche un altro modello perfino piu` muscoloso di risposta al terrorismo: ricordate cosa fece la Cina prima delle Olimpiadi per liquidare ogni minaccia islamica tra gli uiguri dello Xinjiang. Ma l’India e` una nazione molto speciale. E’ perfino piu` multietnica degli Stati Uniti, al suo interno ha 150 milioni di musulmani che non possono certo essere isolati con un cordone sanitario. In passato chi provo` a imporre scorciatoie autoritarie lo pago` duramente: negli anni Settanta Indira Gandhi per avere imposto lo stato di emergenza ando` incontro a una pesante sconfitta elettorale e fu cacciata all’opposizione. Certo oggi la pericolosita` dell’attacco e` senza precedenti, e puo` far deragliare di colpo il miracolo economico indiano. Nei prossimi mesi si vota per rinnovare il Parlamento federale di Delhi, e il dibattito elettorale sara` dominato dal terrorismo. E’ una fase delicata, perche` l’India e` da molto tempo “l’Occidente dell’Asia”, un modello unico di democrazia e liberta` applicato a una grande nazione emergente, e le sue reazioni a questa tragedia saranno cruciali per il mondo intero.