TRANSUMANZA

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lunedì 26 gennaio 2009

Una lezione sul Buddhismo.

In apertura di settimana un nuovo post per una nuova sezione: "conoscenza". La scelta di vivere altrimenti si avvale spesso di spunti e principi ispiratori. La conoscenza, nel senso migliore, più caldo (potremmo anche dire "sensuale") del termine, per come non ce l'hanno fatta odiare nelle scuole, può dunque essere una buona freccia al nostro arco. Per inaugurare questa nuova sezione ho recuperato, nella soffitta del mio hard-disk, alcuni appunti di un'interessante lezione di Mariangela Falà, a suo tempo presidente dell'UBI (unione Buddista Italiana).
E' una bella panoramica sulla filosofia buddhista. Inutile dire che anche per questa nuova sezione del blog-magazine sono gradite le vostre segnalazioni. Senza mettere alcun limite, in questa sezione si tratterà soprattutto di filosofia, storia delle religioni, psicologia, sociologia e affini...
Mariangela Falà:


Buddhismo è un neologismo del 1800, utilizzato per la prima volta nel 1825 in ambito francese.
La tradizione del Buddha viene normalmente definita Dharma; termine dai complessi e diversificati significati.
Il Dharma può essere l’esperienza stessa del reale o la realtà fondamentale dell’esistente o la realtà esperienziale.
Il buddismo viene spesso definito come un’ortoprassi piuttosto che come un’ortodossia. Vi è, difatti, una maggiore attenzione alla pratica piuttosto che alla teoria.
Ogni tradizione in seno al buddismo ha creato delle realtà profondamente diverse.
Il nucleo essenziale del buddismo è formato dalla esperienza del Buddha espressa nelle 4 nobili verità.
Il buddismo ha poi trovato un arricchimento del suo nucleo rigido, a seconda delle zone in cui attecchì.
Vi sono sostanzialmente tre differenti categorie di scuole nel buddismo:
una in sud-est asiatico, una nell’area di Cina-Corea-Giappone e l’altra presente sull’altopiano himalayano, un po’ in Mongolia ed in alcune isole del Giappone.
Nelle scuole del sud-est asiatico l’attenzione viene posta sulla vita monastica.
Nelle scuole del nord (in Cina, Corea, Giappone) la capacità di ognuno di arrivare al risveglio è più ampia. Il ruolo del laico è maggiormente considerato al punto che può arrivare a trasmettere la dottrina.
Il periodo in cui il Buddha si trova ad operare è a cavallo tra il 500 ed il 400 avanti Cristo, in un momento particolarmente vivo riguardo lo spirito della ricerca della verità. Nello stesso periodo abbiamo, infatti, Lao Tzu, i profeti in Israele e la nascita della filosofia greca.
Le quattro nobili verità costituiscono il nucleo rigido di tutte le tradizioni buddiste. Si tratta di affermazioni che il Buddha ricava dalla sua esperienza e che, come tali, ritiene reali.
Le quattro nobili verità sono la realtà stessa.
Oggi al termine verità si preferisce per il suddetto motivo il termine realtà; in quanto “l’esperienza stessa che il Buddha ha vissuto”.
Buddha era inizialmente perplesso circa l’eventualità di trasmettere gli insegnamenti da lui raggiunti. Oggi stesso esistono alcuni illuminati che se ne vanno a vivere solitari nelle foreste.
Le quattro nobili realtà emergono dal discorso del Buddha di Benares:

1) La nobile realtà del malessere esistenziale. Si tratta della realtà della sofferenza che ha dato adito a talune interpretazioni eccessivamente negative. Il buddismo sfugge sia il pessimismo che l’ottimismo. Si definisce realista.
La prima nobile verità afferma che anche nei momenti più felici c’è, in questa stessa situazione, una sottile insoddisfazione, dovuta al fatto che qualunque momento di felicità ha in se stesso la natura della propria fine. Quindi, dice il Buddha, il nostro malessere nasce dalla mancata accettazione, da parte nostra, del corso “parabolico” di ogni evento. Ogni uomo, di fronte ad un momento felice, vorrebbe viverlo in eterno. Tale desiderio, però, viene necessariamente frustrato. Qualunque stato d’animo ha dunque in se stesso la natura del cambiamento. Tutto scorre (Panta rei) e tuttavia è per noi più facile vedere tutte le cose scorrere tranne noi stessi. Nel momento in cui vedo il fiume scorrere sono io stesso che scorro. Questa è la realtà profonda che il Buddha ha sperimentato vivendo come tutti noi. Il Buddha storico appartiene ad una casta nobile di un piccolo regno. Nei primi testi noi ne vediamo la perfetta umanità. Soffre, ha dei dolori, la dissenteria ed ha un figlio, Raula che rappresenterà il maggiore ostacolo quando questo giovane dovrà lasciare la casa ed i familiari. In questa sua storia umana lui ha sperimentato il cambiamento della felicità e la mancata accettazione dello stesso.

2) La seconda nobile realtà riguarda la causa di tale malessere. L’origine del malessere viene identificata nella tendenza a volere fermare le cose per appropriarsene. Il nostro problema fondamentale è dunque l’appropriazione, il desiderio continuamente frustrato. L’eziologia del malessere è identificata con la nostra spinta a possedere. La cura consiste nel lavorare nel modo contrario.

3) La terza nobile realtà è la seguente: è possibile fermare questo nostro modus mentale e trasformarlo, evitando così di trasformare la realtà. La via del Buddha non prevede dunque un intervento sulla realtà esterna, che percepiamo con tutto il nostro bagaglio di esperienza, desiderio eccetera. Il nostro movimento “appropriativo” può trasformarsi nel suo contrario, nel non prendere e nell’essere semplicemente; questo è stato identificato con il risveglio, il Nirvana.

4) La quarta nobile realtà rappresenta la “terapia”. È la realtà dell’ottuplice sentiero, ovvero la trasformazione dell’esperienza che con il Buddha ha avuto inizio. È un sentiero unico perché l’esperienza è unica. All’interno di questo sentiero il Buddha ha identificato taluni aspetti che possano aiutare chi decide di percorrerlo. La via consiste nel lavorare giorno per giorno, cercando di raggiungere la completezza della trasformazione spirituale che può avvenire attraverso una pratica continua.

Esitono tre grandi aspetti:

A) Comportamento etico;
B) Lavoro su se stessi;
C) Comprensione profonda, non logico-discorsiva ma attraverso l’apprendimento esistenziale che può basarsi sullo studio dei testi,sulla logica e si basa su uno studio portato al limite estremo dello stress, tale che all’apice della tensione se ne veda il limite e lo si trascenda. A quel punto avverrebbe quella comprensione determinata non dalla logica ma dal tirare all’estremo la corda dello stress sino al punto di rottura.

Ogni parte è legata all’altra; l’etica alla contemplazione, alla comprensione. Va poi prestata attenzione all’interrelazione dei fenomeni. La mia realtà non è tale se non la considero composta da innumerevoli fenomeni interrelati tra di loro. La realtà è una realtà di relazione, formata di nulla, diranno alcune scuole; approccio che la fisica odierna ritiene attendibile. Nulla esiste separato dal resto. Tutto esiste in reciproca relazione.
Noi non siamo separati, ma in relazione continua; cosa che non vogliamo concepire. La nostra è un’autonomia relativa. Viene negata la nostra separatezza dal resto. Il mondo è una rete molto complessa in cui ogni angolo è come un ologramma che riflette tutto il resto. Il passaggio successivo sta nel riuscire a sperimentare questa profonda unità. La separazione soggetto-oggetto è illusoria. Gli aspetti del comportamento etico, della contemplazione e della comprensione devono coagire per poter diventare quell’acqua che scorre e metterci in condizione di non starcene più sulla riva. Occorre perseveranza. La possibilità della liberazione non è appannaggio di alcuni ma è accessibile a tutti.
Lo stato di Buddha, secondo l’insegnamento di molte scuole, è già presente in noi. Dobbiamo solo riuscire a disgelarlo. Buddha si definì un essere umano che, in quanto tale, riuscì ad avere una esperienza profonda della realtà e sostenne che tutti gli altri esseri umani possono, parimenti, avere. Sono dunque tutti sacri e tutti sacerdoti. A tutti è permesso un rapporto diretto con il sacro, senza la necessità di mediatori.
A fronte di questo non esiste alcuna differenza fra un uomo libero ed uno in schiavitù o fra un uomo ed una donna.
Buddha avrà successo in India e la comunità buddista si allargherà creando dei problemi. Buddha a tal proposito creerà un codice con oltre 200 regole per cercare di aggirare il problema del passaggio alla istituzionalizzazione di una esperienza esistenziale. Anche quando il Buddha viveva ci furono due scismi nella comunità ed i problemi si ampliarono alla morte del fondatore. Prendendo i testi più antichi, sicuramente il laico è di supporto al monaco. I monaci devono essere un po’ il volano trainante per i laici. Buddha non nega dio, si limita a non prenderlo in considerazione. È agnostico. Affermare o negare l’esistenza di dio è un mezzo che può aiutare qualcuno a crescere. In assoluto non ha importanza dare una risposta definitiva su tali tematiche. Buddha non proporrà mai delle definizioni nette ma dei campi di ricerca. Il buddismo è una via salvifica, fa uscire fuori dallo stato in cui viviamo e fa andare oltre.