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mercoledì 16 febbraio 2011

L’India e l’incontro con l’Occidente. Vicende storiche, culti, racconti di viaggio, parte VII.

Riprendiamo, dopo alcuni posts di pausa, con la tesi, a puntate, di Eleonora Luisi, un'ottima occasione per avere un'idea generale dell'India.
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La religione indiana
La religione indiana è l’Induismo che si basa su un corpus di testi sacri: i Veda, che risalgono circa al 2000-1000 a.C., costituiti da una serie di canti in onore agli dei, da rituali e da formule che vengono pronunciate durante i sacrifici.
Nell’Induismo la pratica rituale viene affidata alla casta sacerdotale dei brahamana, che custodiscono i diversi criteri per la costruzione dei sistemi di pensiero detti “darshana” .
Il darshana più completo, che si occupa di studiare i Veda e le Upanishad, si chiama Vedanta il cui fondatore è Shankara.
Il Vedanta teorizza l’esistenza del Brahaman, l’Assoluto, definito come l’unità che comprende il tutto, dal quale derivano il dharma, che è la legge che determina e sostiene l’ordine cosmico e l’Atman, il “sé” di ogni individuo. Secondo il Vedanta il fine della vita è la liberazione dal ciclo delle morti e rinascite detto “moksha”. Gli hindù credono nella trasmigrazione delle anime a seconda delle azioni compiute nella vita precedente (legge del Karma): le buone azioni saranno premiate, mentre quelle negative implicano una nuova reincarnazione.
L’uomo per raggiungere la liberazione deve distruggere il Maya, l’ignoranza, l’insieme delle illusioni causate dal desiderio, il velo che nasconde il Brahaman.
Con la distruzione del Maya l’individuo raggiunge alla consapevolezza suprema dell’origine divina dell’Atman. Per il raggiungimento della conoscenza suprema l’Induismo è diviso in tre diverse correnti: il vishnuismo, lo shivaismo e lo shaktismo. Il vishnuismo si basa sulla “bhakti”, la devozione religiosa verso il dio creatore Visnu e delle sue reincarnazioni come Rama e Krishna. I testi sacri di questa corrente sono quattro: la Bhagavad-gita, il Visnu-Purana, i Bhakti-sutra e il Bhagavata- purana.
Nello shivaismo viene praticato il culto di Shiva concepito come divinità cosmica, che con la sua danza crea e distrugge l’universo. I seguaci del culto devono seguire pratiche ascetiche come lo yoga e la recitazione di mantra.
Nello Shaktismo, la dea Shakti è concepita come energia femminile che sostiene il mondo, attraverso di essa si arriva a un rapporto diretto con l’unità divina. I tantra sono testi sacri con sfumature erotiche, infatti secondo questi durante il coito si giunge all’unione tra Shiva e Shakti.

La filosofia indiana

I Veda
I Veda sono le sacre scritture della tradizione indiana, il termine significa “sapienza” e la loro origine risale circa al 2000 - 1000 a.C. Questi testi sono divisi in tre raccolte :
1) Rg- Veda detto anche il “Veda delle strofe” è quello più antico.
2) Yajur-Veda “Veda delle formule”.
3) Sama- Veda “Veda delle melodie”.

Oltre questi testi bisogna menzionare anche l’Atharva-Veda costituito da inni magico-religiosi.
Esistono altre scritture che sono un commento ai Veda con lo scopo di interpretare le formule e i rituali vedici: i Brahmana e gli Aranyaka .
Nella tradizione indiana i Veda e i Brahmana sono considerati i pilastri su cui si fonda la sruti ossia la rivelazione e vi è la credenza che questi testi derivino dal mondo divino.

Rta e dharma: l’ordine cosmico e la legge universale
Il Rta viene definito come un ordine cosmico:
“Si tratta di una nozione cardinale dell’universo giuridico, religioso e morale degli Indoeuropei: è l’“Ordine” che regola sia l’ordinamento dell’universo, il movimento degli astri, la periodicità delle stagioni, il rapporto degli uomini con gli dei e infine degli uomini tra di loro.
Niente di quello che riguarda l’uomo nel mondo sfugge all’ impero dell’ “Ordine”” .
Secondo la tradizione vedica il rta si trova alla sommità dei cieli o sull’altare del fuoco.
Nel Pantheon hindù è rappresentato dal dio Varuna, che è il sovrano del mondo, il custode di ogni norma e viene rappresentato sul dorso di Makara, un grande mostro marino, con in mano le reti con le quali cattura i trasgressori delle legge. Viene considerato anche il dio del Maya, il cambiamento che induce una trasformazione nell’ordine cosmico.
Nella concezione vedica troviamo i due concetti principali di rta e maya. La legge del dharma deriva dal rta, mentre il maya è l’illusione.
Secondo la tradizione il rta si reincarna nel brahamanesimo sotto forma di dharma, la legge cosmica sulla quale si basa l’universo .
Il dharma è l’ordine grazie al quale si mantiene l’armonia del mondo, ed è costituito da una serie di leggi che l’uomo nella sua vita deve seguire.
Il codice di Manu raccoglie l’insieme di queste norme che guidano gli uomini alla ricerca della sapienza, della pazienta e dell’autocontrollo.
La legge eterna del dharma viene identificata con le sacre scritture rivelate, la sruti, e costituisce il dovere spirituale di ogni hindù.
Il dharma si fonda sulla sruti, che è la rivelazione divina, tutta la conoscenza che è raccolta nei Veda e sulla Smrti che letteralmente significa “memoria” e indica tutto il corpus dei testi di origine umana. Nella Smrti troviamo anche i Purana, un insieme di racconti e leggende mitiche accompagnate da insegnamenti, i quali sono qualificati come un quinto Veda.

Il codice di Manu
Nella mitologia indiana Manu è considerato il legislatore e il progenitore dell’umanità.
Anche la divisione in caste della società viene attribuita a Manu secondo la classica ripartizione in sacerdoti, i guerrieri, coltivatori, artigiani e commercianti.
Il codice di Manu è un’opera di grande importanza e contiene la legge del Dharma, l’insieme dei diritti e doveri che ogni individuo deve compiere nel corso della sua esistenza.
Il codice venne composto intorno al IV sec. d.C e dall’opera emerge il predominio assoluto della casta dei brahamana per l’interpretazione e la custodia della tradizione.
L’opera si compone di dodici libri, in ognuno dei quali troviamo tematiche differenti.
Nel primo libro viene descritta la creazione ad opera di Brahma, la divinità creatrice di tutte le cose; nel secondo sono elencate le norme che disciplinano i sacramenti e il noviziato; nel terzo troviamo le prescrizioni riguardanti il matrimonio, che prevedono il dovere per la donna di attenersi alle istruzioni del padre, dei fratelli e del marito; nel quarto libro sono esposti i doveri della casta
sacerdotale; nel quinto le regole che le donne devono seguire per l’astinenza e la purificazione; nel sesto sono descritti i doveri degli anacoreti e asceti; il settimo tratta dei doveri che riguardano la casta guerriera; l’ottavo descrive le regole della professione degli giudici; il nono contiene le leggi sui matrimoni e le successioni; il decimo elenca i doveri che caste più basse devono compiere; l’undicesimo tratta le cerimonie di penitenza e il dodicesimo indica le strade per raggiungere la pace finale e la dottrina della trasmigrazione delle anime. In sintesi il codice di Manu è un insieme di principi morali e religiosi che guidano la condotta umana verso la beatitudine.

La creazione secondo il Rg-Veda
Nel decimo mandala del Rg-Veda viene esposta la tendenza della religiosità vedica. Troviamo la spiegazione dell’ordine cosmologico che deriva dall’Uno da cui nascono tutte le cose e le divinità. L’ondeggiamento delle acque è collocato all’origine e costituisce una caratteristica delle cosmologia vedica, in seguito viene prodotto il calore dalle tecniche dello yoga, detto tapas, poi una volta “scaldato” l’Ekam (Uno), kama, il desiderio creatrice determina l’esistenza di questo Uno. Il principio responsabile della creazione in molti inni viene descritto come l’Ekam, l’Uno, oppure come il Tat, “Quello”.
La tradizione associa a questo principio l’immagine di diverse divinità per esempio Visvakarman, l’operatore di tutte le cose, Brhaspati, il signore della preghiera, Prajapati, il protettore di tutte le creature concepiti come embrioni d’oro collegati al Sole e alle acque, oppure è definito come un principio eterno ed innato.
Nell’ “Inno dell’Uomo cosmico Purusa” riemerge la tendenza monistica.
In questo inno la creazione deriva dall’Uomo cosmico, dalle corrispondenze tra macrocosmo e microcosmo e in particolare dal sacrificio cosmico di Purusa, divinità e vittima del sacrificio:

“Quando gli dei distesero il sacrificio col Purusa come offerta, la primavera fu il burro fuso, l’estate la legna, l’autunno l’oblazione […]
11. Quando divisero il Purusa, in quante parti lo fece? Che cosa (è chiamata) la sua bocca, che le braccia, che cosa sono chiamate le cosce e i piedi?
12. Il Brahmana (il sacerdote), fu la sua bocca, le braccia divennero il rajanya (guerriero), le sue cosce il vaisya (l’agricoltore, artigiano), dai piedi nacque lo sudra (il fuori casta)”.

Secondo Mircea Eliade basandosi sulla teoria del sacrificio espressa nei Brahamana e negli Aranyaka, il sacrificio ripeterebbe l’atto della creazione e verrebbero mantenute delle relazioni tra l’uomo e il cosmo per cercare di continuare questo ordine nella sua unità, in seguito saranno definiti legami anche tra le funzioni psico-fisiche e gli astri arrivando alla solita identità fra l’Atman e il Sole.

L’età del mondo
La descrizione della cosmologia indiana si trova nei Purana e si divide in differenti epoche.
La prima epoca è definita “mahakalpa” o vita di Brahma e ha una durata di cento volte trecento sessanta giorni di Brahma o “kalpa”. Quando termina questo periodo Brahma muore e rinasce e si inizia una nuova creazione .
Il kalpa è costituito da quattordici manvantara, corrispondenti a dodici mila anni divini, che corrispondono a mille mahayuga. A sua volta il mahayuga è diviso in quattro ere: il Krtayuga nel quale predomina il Dharma e dura quattromila anni divini, seguito dal tretayuga di tremila anni dove il dharma viene diminuito, il dvaparayuga di duemila anni e infine kaliyuga di durata pari a cento anni divini.

Le Upanishad
Il corpus dei Veda è formato oltre che dai Brahmana e dagli Aranyaka dalle Upanishad, che si prefiggono di commentare e approfondire gli scritti vedici.
Nelle Upanishad avviene la condivisione della conoscenza, sruti, che deriva dalla parola sacra.
Il suono del significato della parola ne determina la sacralità e questo è espresso nella formala magica e nel mantra:

“Prajapati covò i mondi. Dai mondi covati nacque il triplice Veda. Egli li covò. Ne uscirono le sillabe bhuh, bhuvah, svah. Egli li covò ne uscì il suono Om. Come le foglie sono tenute insieme dal gambo, così ogni linguaggio è tenuto insieme da Aum. La sillaba Aum in verità è tutto questo.”
(Chandogya,II,23,3)

Il termine “Upanishad” ha il significato di “sedere devotamente vicino” e questa definizione implica la conoscenza segreta trasmessa dal maestro ai suoi discepoli .
Le Upanishad sono considerate da molti critici moderni una interpretazione mistica del sacrificio, nella quale verrebbe diminuita l’influenza della casta sacerdotale dei Brahmana.
Le Upanishad cercano di ridurre l’influenza del sistema delle caste predominante nella società indiana. Infatti a differenza dei Brahmana nelle Upanishad la conoscenza può essere trasmessa a tutti, comprese le donne e non è più custodita solo dai sacerdoti. Sono costituite da centootto colloqui tra maestro e discepolo, secondo la tradizione il numero centootto è un numero sacro tra cui ricordiamo le principali: Brhadarankyaka, Chandogya, Aitareya, Kausitaki, Isa, Kena, Katha, Mundaka, Mandukya, Prsna, Svetasvatara e Taittiriya.
Le Upanishad sono state fino dall’epoca cristiana tramandate oralmente, poi hanno assunto la forma in versi e in prosa, la lingua che viene utilizzata è il sanscrito ritenuto sacro.

Il Sé o anima: l’Atman
L’universo viene descritto nei Veda come basato su l’ordine cosmico rta, che attraverso l’esecuzione del sacrificio deve essere rispettato, nei Bhamana si mantiene questo principio, ma viene aumentata l’importanza di un’analisi della autoconsapevolezza.
Il sacrificio esteriore nelle Upanishad è trasformato in sacrificio interiore. Dal sacrificio deriva l’alternarsi del giorno e della notte e il complesso rapporto tra microcosmo e macrocosmo. Secondo i versi vedici la creazione viene identificata con le membra umane, dal cui sacrificio è nato il mondo. Secondo i versi dell’inno a Purusasukta:

“All’inizio questo mondo era solo il sé (atman), sotto forma di persona. Disse per prima cosa: “Io sono”. Quindi apparve il nome Io.”

Lo sviluppo del creato deriva dalla solitudine di questo Io che si divide in maschio e femmina. L’Io diviene la creazione e crea gli dei immortali.
Il mondo viene creato dall’Atman in base al desiderio, questo è un anticipo della verità buddhista.
Nelle Upanishad si è arrivati alla scoperta che la falsa proiezione dell’incompletezza è alla base del desiderio. Infatti noi siamo completi, non dobbiamo desiderare nulla. La meditazione sul Sé conduce alla consapevolezza che in esso è tutto compreso. La sede del Sé è nell’anima detta jiva.
Questo Sé o Atman coincide anche con l’Assoluto, il Brahaman. Le Upanishad cercano di definire l’Atman con le seguenti parole:

“Il sé, non è questo, non è questo. È incomprensibile perché non può essere compreso. È indistruttibile, perché non può essere distrutto. Non ha impedimenti perché a nulla aderisce, svincolato, perché da nulla viene turbato o nulla lo lede. Per mezzo di che cosa si potrebbe conoscere il conoscitore?” (Brhad. IV, 5, 15)

“Più piccolo del piccolo, più grande del grande, l’Atman risiede nel cuore di ogni creatura.” Ma come fare per vederlo? “Non colui che non ha desistito dalle vie malvagie, non colui che non è tranquillo, non colui che non ha una mente concentrata, neppure colui che non ha una mente composta può raggiungerlo attraverso la giusta conoscenza”. (KathaI,2,20)

Tramite il controllo della mente e dei sensi si riesce ad ottenere la conoscenza. Una metafora che viene utilizzata nella Katha Upanishad così afferma: “il Sé è il signore della carrozza, il corpo la carrozza, l’intelletto è il cocchiere e la mente sono le redini”.

“Colui che ha una comprensione del cocchiere della carrozza e controlla le redini della mente, raggiunge la fine del viaggio, la suprema dimora di tutto ciò che pervade”(Ibidem,I,2,30)

Ogni Io trova il suo fondamento nel Sé, che dimora in ogni essere vivente.
Il Sé è chiamato anche Brahman, la causa dell’universo. Molto difficile risulta spiegare il rapporto tra il Brahman e l’Atman e viene definito l’“Incomprensibile”. Nel cuore deve avvenire la ricerca del passaggio dal particolare all’universale. La limitatezza del Sé individuale ci appare dal profondo del cuore e ci viene aperta la strada verso il Brahman, il Sé universale.
Non esiste un Brahaman impersonale e un Atman personale, perché quest’ultimo è un sentiero che conduce al Grande Sé.

La conoscenza
Le diversità tra conoscenza mondana e quella dell’Atman sono spiegate nelle Upanishad.
Tutto il mondo terrestre con i suoi fenomeni appartiene alla conoscenza empirica.
L’opposizione tra la mente e il corpo è inesistente. Le Upanishad spiegano la cosmologia che è il risultato di un’emanazione. L’etere, la sostanza fondamentale, viene emanata dal Sé, che a sua volta emana l’aria, l’acqua e la terra.
La vita è il Sé, che emana il respiro, dal respiro deriva la mente o manas, da quest’ultima l’intelletto e la facoltà razionale chiamata vijnana, poi avviene il ritorno al Sé.
Il processo per arrivare al Sé è l’involuzione, il ritiro.
“Il Sé, nascosto in tutti gli esseri, non si manifesta ma può essere visto dai sottili veggenti, attraverso il loro spirito acuto e sottile. Il saggio raffreni la parola nella mente; quest’ultima raffreni nel Sé fatto di comprensione; la comprensione raffreni nel grande Sé e questo raffreni nel Sé placato.”(Katha,I,3,12)
La complessa teoria della conoscenza viene formulata dalle Upanishad e comprende due principali facoltà: il respiro e la mente (manas). Dalla mente non deriva la vera conoscenza, ma occorre l’intervento della consapevolezza, detta vijnana, o della conoscenza buddhi.
Il fondamento dell’attività è dato dalla mente, mentre la consapevolezza è passiva e può svelarci la strada verso l’Atman.

“Al di là dei sensi, vi sono oggetti dei sensi; al di là degli oggetti dei sensi vi è la mente; al di là della mente vi è la comprensione (buddhi), al di là della comprensione vi è il grande Sé.”( Katha Up.I,3,2)

La creazione ha evoluzione dal Sé e con l’addensamento dell’etere si arriva alla formazione della terra. Il limite del processo di rarefazione è giunto con la ragione che rappresenta lo specchio del Sé da cui ha avuto inizio il ciclo.

La Purva-Mimansa
Secondo la tradizione brahmanica, la Mimansa si divide in due parti: la Purva-Mimansa e la Uttara-Mimansa. Nella prima, che significa “riflessione prima”, viene spiegata la natura del Dharma come troviamo anche nei Veda, invece nella seconda il cui significato è “riflessione ultima” si indagano le caratteristiche del Brahaman.
Nella Purva-Mimansa si continuano ad analizzare gli aspetti liturgici dei Veda. Nella vita quotidiana assume rilievo fondamentale la presenza del rito tramite le preghiere, le abluzioni e i riti di passaggio nelle fasi dell’esistenza dell’uomo. Il Sutra di Jaimini che risale al IV sec.a.C risulta essere il testo di riferimento della Purva-Mimansa. Nella Purva-Mimansa che celebra il rito, è sancita l’autorità dei Veda che non sono ritenuti testi rivelati.
I versi sacri sono considerati essere una proiezione dell’essere detto sat, tramite il suono chiamato sabda. Sia i mantra che i versi vedici sono considerati derivanti dall’Assoluto.
Nel periodo vedico è stato associato il suono del mantra OM con le diversi parti dell’Universo.
La riproduzione del mantra riveste un ruolo centrale.
Gli inni vedici incitano o proibiscono tramite prescrizioni, che vengano attualizzate attraverso l’atto.
Il sacrificio non ha un fine nei Veda. La maggioranza dei sacrifici si compiono in onore agli dei, che sono incarnazioni dei loro nomi. Per esempio gli dei Agni o Indra corrispondono alle parole “Agni” e “Indra” che sono eterne. Da questo si deduce che la parola viene prima della sua incarnazione.
Di solito quando un individuo compie un sacrificio, spera che in futuro verrà ricompensato, per esempio con un abbondante raccolto, con la nascita di un figlio, con una vita serena dopo la morte. L’atto del sacrificio è considerato molto potente e i suoi frutti saranno raccolti un domani. Oltre all’aspetto visibile dell’atto, ne troviamo anche uno invisibile che si compirà quando arriveranno le condizioni necessarie. Il sacrificio viene legato ai suoi frutti futuri e questo legame è detto apurva.
L’uomo riuscirà a usufruire della potenza dell’atto e continuerà a vivere anche dopo che sarà morto: da qui deriva la teoria del karma.
La teoria della conoscenza elaborata dalla Purva-Mimansa attribuisce piena validità all’autorità dei Veda. Jaimini teorizza l’esistenza di una percezione diretta (pratyaksa), inferenza (anumana), comparazione (upamana), la parola (sabda) e la presunzione (arthapatti) .
La conoscenza è ritenuta valida in se stessa, e da ciò deriva che tutte le conoscenze sono corrette, la sua validità deriva dall’esistenza del soggetto, dell’oggetto e dell’atto nella percezione diretta.
Quando tra due situazioni si trova una relazione di necessità è utilizzata l’inferenza. In conclusione la conoscenza più valida è ritenuta essere la parola, perchè fondata sui Veda.

Il Vedanta
Il Vedanta è una corrente filosofica, che ha elaborato il pensiero contenuto nelle Upanishad.
Le varie scuole riconoscono l’autorità di un testo fondamentale il Brama sutra scritto da un tale Badarayana, dove viene ribadito che l’Atman, il Sé individuale, è equivalente al Brahman, il Sé universale . Dopo la morte di Badarayana, il suo successore Gaudapada continua il lavoro di studio delle Upanishad, fino all’arrivo di Shankara considerato il massimo esponente della corrente del monismo.

Il Monismo assoluto
Shankara sostiene che nelle Upanishad si trovi la concezione dell’identità tra l’Atman e il Brahman.
Il ragionamento non sarebbe in grado di spiegare questa identità a causa del suo carattere metafisico, ma si pensa sia ritenuta valida in base all’autorità delle Upanishad.
Per Shankara l’interpretazione mistica dell’universo vedico oltre che essere consona al ritualismo ne esprime anche il messaggio. Fra i critici di questa interpretazione delle Upanishad ricordiamo i Mimansika, secondo i quali i Brahamana contengono prescrizioni sul sacrificio. Le Upanishad non sono considerate importanti, perché lontane dalla verità dei Veda.
Shankara controbatte ritenendo i Brahamana dei testi con un grado di consapevolezza minore.
L’Assoluto non sarebbe raggiunto dal sacrificio che mantiene solo valore di purificazione.
Non esiste per Shankara un “io vado, io faccio, io vedo, io conosco”, ma tutto ciò è una pura illusione. Questa illusione nasce perché il Sé è considerato simile al corpo:

“Anche se si deve ammettere che il Sé è uno, le proibizioni sono possibili grazie alla differenza causata dalla connessione del Sé con i corpi e le altre limitazioni sono prodotte dall’ignoranza. Ne consegue che per colui che ha raggiunto la conoscenza perfetta, limitazioni e proibizioni sono senza scopo” (ibidem,II,34,8).

Le Upanishad quando affermano l’uguaglianza tra il Brahman e l’Atman non trovano la soluzione che spiega la possibilità che molti individui fanno parte del solito Sé. A questo proposito la dottrina Samkhya sostiene la dualità fra lo spirito e la materia oltre che l’esistenza di numerose anime. Shankara non ritiene che possano esistere anime infinite, la molteplicità del Sé è considerata un illusione come i raggi solari che riflettono la loro immagine nell’acqua. È necessario trovare una spiegazione della relazione tra i molteplici Atman e Brahaman. La definizione attribuita al Brahaman è quella di essere (sat), intelligenza (cit), e beatitudine (ananda). Tutto il mondo fenomenico deriva e si fonda su di esso che è definito “puro essere”. Il reale e pure noi stessi siamo considerato da Shankara come una pura illusione, Maya. L’essere fonda ogni apparenza, mentre il non- essere è privo di una propria essenza. L’illusione non contiene né essere né non-essere:

“Maya viene chiamato il non sviluppato o il non manifesto dato che non può essere definito né come ciò che è, né come ciò che non è” (Brama Sutra, I,4,3)

La coscienza viene offuscata dall’ignoranza (ajnana), mentre l’essere viene limitato dalla Maya, l’illusione. L’Io e il mondo psichico nascono dal confine della coscienza con l’ignoranza, mentre la nascita del mondo deriva dal confine tra l’essere con il non essere dell’illusione. Maya produce una serie di brahman che sono basati sull’essere che non riesce a manifestarsi a causa degli oggetti mondani. L’Atman appare come se pensasse e se si muovesse anche se resta immobile e rimane in relazione con il mondo psichico. Shankara aveva sostenuto che tutto il mondo sensibile doveva essere condannato perché era un effetto dell’ignoranza e che solo grazie alla conoscenza dell’Atman saremmo giunti alla sua fine. Essere, coscienza e beatitudine sono attributi del Brahaman che sono avvolti dal velo dell’ignoranza, però restano sempre come caratteristiche fondamentali del mondo. Chiunque libero dalle illusioni è riuscito ad arrivare alla verità agisce nel mondo come se questo esistesse realmente fino alla morte corporea.

Il Mahabarata
Questo grande poema epico narra le guerre di Barata una stirpe guerriera che abitava nell’India del Nord. La guerra fratricida viene combattuta tra due famiglie discendenti di Barata un eroe dell’India antica, la famiglia dei Kuru e dei cugini Pandava . Quest’ultimi costretti all’esilio con l’inganno si recano dal re Kuru Duryodhana per la richiesta della terra su cui regnare, ma dopo che gli viene negata iniziano la guerra, che dura diversi anni e culmina nella battaglia di Kuruksetra. La battaglia è vinta dai Pandava devoti di Krishna, incarnazione di Visnu, il quale si schiera dalla loro parte.Yudhisthira, della stirpe dei Pandava, lascia il regno al figlio Arjuna e intraprende la vita ascetica con i suoi fratelli. Il poema termina con il ricongiungimento di Krishna con il dio Visnu e con Yudhisthira che giunge al cospetto del dio. Nel Mahabarata emerge il tema dell’etica del giusto e secondo il poema gli dei sarebbero trecentotrenta milioni. Una struttura trinitaria la cosiddetta Trimurti dell’Induismo costituita da tre divinità principali che sono Brahama, Vishnu e Shiva emerge al di sopra dei molti dei del pantheon induista come Indra, Varuna, Kali, Kama, Soma, Surya, Agni, Yama, …