TRANSUMANZA

QUESTO BLOG E' IN VIA DI SUPERAMENTO. NE STIAMO TRASFERENDO I POST MIGLIORI SUL SITO DI VIVEREALTRIMENTI, DOVE SEGUIRANNO GLI AGGIORNAMENTI E DOVE TROVATE ANCHE IL CATALOGO DELLA NOSTRA EDITRICE. BUONA NAVIGAZIONE!

sabato 31 luglio 2010

Ancora in viaggio tra comunita' ed ecovillaggi europei.

Anche oggi ho deciso di condividere alcuni momenti del diario di viaggio di Gianni, Valentina, Martino e Niccolo', la famiglia camperizzata che ha gia' offerto diversi contributi a Viverealtrimenti. Nei giorni cui risale questo post (aprile 2010) erano in Francia.

La Fleyssiere è un luogo antico, insieme alla Borie Noble, ad appena 2 Km e mezzo di distanza, è una delle Comunità dell'Arca in cui si cerca di mettere in pratica quegli ideali di semplicità e non violenza applicata alla vita di tutti i giorni, di cui parlava Lanza del Vasto ispirato dall'incontro con Gandhi.
Anche qui,i primi giorni non è stato facile adattarsi, perchè il primo approccio con le persone sconosciute, per quanto gentili ed accoglienti, è spesso condizionato da degli schemi mentali precostituiti; vengono a galla le nostre paure, le nostre insicurezze, che sono scomparse non appena il rapporto si venuto a creare, e quando abbiamo iniziato a comprendere maggiormente la filosofia di questa comunità e l'azione concreta che portano avanti queste persone.
Dopo quindici giorni però, è a fatica che ci rimettiamo in viaggio alla fine di questa esperienza. Perchè, sotto tanti aspetti, ci siamo sentiti veramente bene in questa comunità fatta di famiglie, di persone, di passanti e “pellegrini” (citando una delle preghiere, che si recitano insieme ogni sera intorno al fuoco). Le preghiere del mattino e della sera sono due momenti in cui i membri della comunità rinnovano la propria scelta di esserne parte, sono momenti autentici, in cui si sente la forza di coesione della comunità ed il senso di appartenenza di ognino al gruppo. La preghiera all'Arche è un vero strumento di crescita, dove l'attore principale è la persona, con l'aiuto di una forza più grande di lei, ma l'impegno resta personale, quotidiano e pratico.

PREGHIERA SANTA

Signore fa di noi uno strumento della tua pace.
Dov'è l'odio, fa che mettiamo l'amore.
Dov'è la discordia, fa che mettiamo l'unione.
Dov'è l'offesa, fa che mettiamo il perdono.
Dov'è la disperazione, fa che mettiamo la speranza.
Dov'è il dubbio, fa che mettiamo la fede.
Dove sono le tenebre, fa che mettiamo la luce.
Dov'è la tristezza, fa che mettiamo la gioia.
Maestro, fa che non cerchiamo tanto
non di essere consolati, quanto di consolare,
non di essere compresi, quanto di comprendere,
non di essere amati, quanto di amare.
Perchè dando si riceve,
perdonando si è perdonati,
morendo si rinasce alla vita eterna.
Donaci Signore Pace, Forza e Gioia,
E donaci di darle agli altri.

Quante belle preghiere ho sentito e letto nella mia vita, ma all'Arche, non sono soltanto parole al vento, ma sono impegni che prendi, e il gruppo ne è testimone.
Qui il legame comune è la scelta non violenta. Ognuno viene sostenuto nel seguire il prorio credo e la propria strada, senza integralismi, dogmatismi né rigidità, attraverso la conoscenza di sé; purchè sia una ricerca della non violenza, nella comunicazione, nella relazione con tutti gli altri esseri viventi, nel rapporto con la società e con il pianeta. E tutto questo messo in pratica nella vita quotidiana.
Ecco perchè facciamo fatica ad andare via. Perchè, anche se la realtà di ogni giorno è fatta di cose concrete e reali, sotto tutti i punti di vista, è delicatamente impregnata di pace.
Alla Fleyssiere si mangia quasi esclusivamente quello che si coltiva nell'orto, il che significa, in questa stagione: insalata, carote, rape rosse, porri, patate, cavoli rapa, sedano rapa, panè (carote bianche), quello che producono gli animali: uova, latte, formaggio e yoghurt e un po' di ortiche raccolte ai bordi dei prati. I cereali sono biologici, per una scelta non tanto di salute, quanto di azione civica e non violenta: se tutti mangiassimo cibo biologico, non si porrebbe il problema degli OGM, né dei pesticidi.
L'autoproduzione del cibo è data dalla scelta di non alimentare un'economia violenta, che si basa spesso sullo sfruttamento del pianeta e di altri esseri umani. La rigidità in ogni caso non appartiene a questo luogo. L'uso della corrente elettrica è stata una scelta difficile, perchè in Francia sono le centrali nucleari a produrre energia e alla Fleyssiere per questa ragione hanno sempre rifiutato di allacciarsi alla rete. Da due anni invece si è deciso di installare dei pannelli fotovoltaici, e di produrne di più di quella che ne vene consumata, con il solo frigorifero e le poche lampadine.
Al mattino ci si incontra per organizzare insieme la giornata ed ognuno dice che cosa andrà a fare, anche se ha bisogno di riposare o di trascorrere del tempo con i propri bambini.
Il momento del pranzo è comunitario, a turno una persona cucina per tutti quanti, dopo la Pluches tutti insieme e prepara anche una minestra per la sera. E' veramente speciale per noi alla sera poter consumare la cena nel nostro piccolo appartamento, così come ogni famiglia, e gustare le differenti zuppe che di giorno in giorno ognuno cucina... è un po' come avere la sua presenza a cena con noi.
Ogni ora la Rappelle, ci invita a ritrovare noi stessi nel più profondo del nostro silenzio.
Martedì Christophe, il responsabile della casa, ci invita ad una riunione dedicata a noi, ospiti per brevi periodi; e ci spiega quali sono i fondamenti dell'Arche e si mette a disposizione per rispondere alle tante domande che gli poniamo.
Ci sono 4 cose importanti per l'Arche:
- una è rappresentata dalla Rappelle, che, insieme alla meditazione, è il modo per approfondire il rapporto con se stessi e con la creazione, attraverso il contatto profondo con l'anima;
- poi viene l'ecologia, come rispetto per il pianeta e per tutti gli esseri viventi: essere vegetariani, utilizzare con consapevolezza le risorse, boicottare prodotti nocivi;
- la poesia e la bellezza nella semplicità: mobili di legno autocostruiti, cura dei particolari nei manufatti, come le splendide maniglie di legno che ornano tutte le porte...e la poterie di Fernando;
- quindi l'impegno per la giustizia sociale, non pesare sugli altri e scendere in campo attivamente ispirati dal Sathyagraha di Gandhi.
L'ecomonia alla Fleyssiere è condivisa, vale a dire che ogni persona, oltre al vitto e all'alloggio, prende i soldi dalla cassa comune per sostenere le spese personali. C'è una persona responsabile della cassa, a cui chiedere se c'è liquidità disponibile, ma generalmente entra in gioco la propria responsabilità. Nella cassa comune entrano i proventi dalle attività svolte da tutti i membri della comunità, la vendita dei prodotti al mercato, della ceramica, dei corsi di yoga e dei seminari o dell'ospitalità, insieme alle pensioni degli anziani e agli assegni famigliari dei piu giovani.
La semplicità, anche dal punto di vista economico, è una scelta di vita, quindi, se entri a far parte della comunità con dei soldi o delle proprietà, o se ricevi un eredità durante la tua vita in comunità, puoi tenere i tuoi beni per te, ma non ne puoi beneficiare durante la tua permanenza. Questo perchè questa scelta di povertà e di auto sostentamento attraverso il lavoro delle proprie mani, sia uguale per tutti.

L'uso consapevole dell'acqua calda.
Un vecchio bollitore a legna per l'acqua calda, sotto il portico del lavatoio dove ci sono due vasche per lavare a mano tutti i vestiti e la biancheria della comunità.Di solito chi è di turno per la cucina al mattino accende il fuoco sotto il bollitore ( chiamato tu tui), in modo che ci sia acqua calda per il lavaggio dei piatti, per la lavanderia e per le docce serali. Non sempre il vecchio pannello solare che è collegato ad un tubo giallo in gomma che è appoggiato alle vasche riesce a scaldare l'acqua per tutta la comunità. Il portico del lavatoio è un luogo speciale, antico e vivo allo stesso tempo. Il lavare a mano, il potersi prendere il tempo per lavare i propri panni a mano è per me una cosa speciale, anche se sono consapevole di cosa significhi per molte donne che sono state obbligate a farloper secoli, anche in condizioni meno bucoliche...
Nonna Amelia, con un marito e tre figli che lavoravano in fabbrica, ha sempre detto che avrebbero dovuto fare un monumento a chi ha inventato la lavatrice!! Ad ogni modo, lavarsi i vestiti è un bel modo per essere consapevole di tante cose.

...E poi le vasche si possono usare anche in modo creativo.
Ad una cinquantina di metri dal lavatoio ci sono le docce, uno stanzone con una mitica Jotul per spezzare un pò la temperatura, 5 docce separate da un muro e chiuse da una tenda, secchi da 17 litri da andare a riempire appunto al "tu tuj" e secchiellini per rovesciarsi addosso l'acqua, sport nazionale dei bambini in questi giorni!
Decidere di farsi una doccia: prendere il secchio e andarlo a riempire, accendersi la stufa e il gioco inizia, è un buon metodo per risparmiare acqua, non so se per quantità di litri, ma senz'altro per numero di docce. Scherzi a parte è un buon allenamento per la consapevolezza.
Ecco, le cose semplici stimolano in noi una presenza mentale differente, più viva.
A circa due Km dalla Fleyssiere c'è un altra comunità dell'Arche, La Borie Noble che è la più vecchia, quella in cui anche lo stesso Lanza del Vasto ha vissuto. Esiste un collegamento tra le due realtà: alla Borie si va per imparare a cantare, per danzare al sabato sera e con la Borie sci cambiano formaggio e yoghurt, per uno splendido pane. La Borie è un luogo imponente e suggestivo, un ambiente meno famigliare, dove sono più numerose le persone di passaggio.
Alla Fleyssiere abbiamo anche conosciuto Jean Baptiste, ex insegnante della Scuola Libertaria che c'era un tempo alla Borie, e oggi attivamente impegnato nel CANVA, che è l'area dell'Arche che si occupa dell'Azione Civica non Violenta e nelle prime file tra i falciatori di ogm.

martedì 27 luglio 2010

LUNA PIENA -- Asalha Puja -- Lunedì 26 Luglio 2010.

Segui le orme di chi
è costante, pespicace
puro e consapevole
come la luna segue
la scia delle stelle.

Dhammapada verso 208

Se guardiamo il cielo di notte possiamo vedere puntini di luce sparsi
a caso, oppure possiamo riconoscervi un ordine. Dipende da quanto
abbiamo appreso della astronomia. Se un apparente caos determina la
nostra esperienza di vita o meno, dipende da quanto abbiamo appreso
della Verità, il Dhamma. C'è un ordine dentro al caos apparente, ma è
necessario osservare attentamente per comprenderlo. Questo lunedì è il
giorno di luna piena del mese di Luglio, Asalha in pali. In questo
giorno i buddhisti theravada ricordano l'occasione in cui il Buddha ha
offerto il suo primo insegnamento. Il suo primo discorso è divenuto
noto come “la Messa in Moto della Ruota della Verità” e mostra
dirattamente l'ordine dentro al caos che dobbiamo riconoscere per dare
un senso alla vita. E' un insegnamento profondo e sottile. E' le
Quattro Nobili Verità.

Con Metta,

Bhikkhu Munindo

(Ringraziamenti a Tan Mahapanyo per la traduzione)


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Santacittarama
Monastero Buddhista
02030 Frasso Sabino (RI) Italy

Tel: (+39) 0765 872 186 (7:30-10:30, tutti i giorni eccetto lunedì)
Fax: (+39) 06 233 238 629

sangha@santacittarama.org
(alternativa): santa_news@libero.it

www.santacittarama.org
www.forestsangha.org (portal to wider community of monasteries)
www.fsnewsletter.org (newsletter in English)
www.dhammatalks.org.uk (audio files)

Una famiglia in viaggio nelle comunita'; La Ferme du Collet (7/4/2010).

Riprendiamo la presentazione di sezioni del diario di viaggio di Gianni, Valentina, Martino e Niccolo'. Li avevamo lasciati nella comunita' dell'Arche per ritrovarli oggi, ancora in Francia, nella Ferme du Collet. Di seguito il loro report:

E' così che ci accoglie la Ferme du Collet, con la sua bellissima insegna...
è ancora possibile fare qualcosa di semplicemente speciale...lavorare la terra con i cavalli, leggere a lume di candela, lavarsi con una bacinella di acqua scaldata su di una vecchia stufa, lavare i piatti con acqua scaldata con il forno solare, fare il bucato pedalando su una vecchia ciclette, andare alla toilette nel bosco con una zappetta e un pò di acqua... Case intonacate di terra cruda e fieno o canapa, riscaldate dalla serra e da 5 kg. di legna al giorno, alberi che crescono in salotto e tutto con materiale semplice e di riciclo... e soprattutto avere tempo per vivere insieme.
Tutto molto bucolico ma l'impatto è stato tutt'altro che semplice, ci troviamo a doverci adattare ad una situazione molto particolare. Ci sono di fatto tre nuclei con caratteristiche diverse. In pochi giorni dobbiamo adattarci a persone diverse, a cibi diversi, a modi diversi di vivere e di essere. I bambini sono semplicemente meravigliosi, ci stanno insegnando che basta poco per essere felici...
Durante la nostra permanenza alla ferme abbiamo deciso di dormire nel camper per sentirci un pò più a casa...ma abbiamo a disposizione una piccola cucina che condividiamo con una ragazza che è qui come woofer da un mese, (per avere più informazioni su che cos'è un woofer cliccate qui).
La Ferme du Collet è un ecovillaggio dove il minimo comune denominatore è ridurre l'impatto ambientale trovando forme di sussistenza legate alla natura. Una famiglia si occupa di coltivare il grano e di fare il pane da vendere, un altra produce Spirulina e produce formaggio di capra. Il terzo nucleo è una persona sola che ha deciso di passare la sua pensione in questo luogo per sentirsi di nuovo viva, utile, attiva. Infatti il suo orto è molto grande e ricco di diverse varietà di ortaggi.
Maria Teresa ci mette tutta la sua creatività nel coltivare il suo orto. Mi riempie il cuore vedere come una persona della sua età si metta in gioco e sia una risorsa per una comunità di persone.
Oggi ho letto che in Italia entro il 2018 si realizzerà la prima centrale nucleare!!! E i nostri bambini? E i loro figli? Per i nostri condizionatori? Le nostre insegne luminose e le illuminazioni giorno e notte? Per il nostro sprecare solo perchè le nostre tasche ce lo permettono. Mentre sono qui, mi assalgono un sacco di domande e anche un pò di tristezza. Vorrei che tutto il mondo potesse fermarsi un attimo tutti insieme e risvegliandoci da un triste incubo decidere di rifare tutto da capo in un modo più intelligente, nel rispetto della vita e degli altri...

La corrente elettrica e l'acqua.


Il loro modo di vivere si riflette nelle loro abitazioni, utilizzano la corrente a 12 volt, nonostante abbiano i pannelli fotovoltaici per la produzione della 220 volt che cedono alla rete... Utilizzano per la casa e per l'orto acqua piovana recuperata e immagazzinata in stagni e cisterne. Katia ci racconta e ci fa vedere il bidone con cui prende l'acqua di sorgente da bere una volta alla settimana da una fonte a circa tre Km. da casa (circa 20 litri). La cosa che più mi lascia perplesso è che non è una necessità perchè potrebbero avere il collegamento all'acquedotto, però è un bisogno interiore, di semplicità e di senso per la vita.

" Vivere semplicemente perchè gli altri semplicemente possano vivere" (Ghandi).

Stando con Katia abbiamo avuto la possibilità di vedere la coltivazione della Spirulina, un alga che permette di integrare la vitamina B12 senza l'uso della carne.
E Katia ci ha fatto visitare la sua serra
Abbiamo guardato la spirulina al microscopio
Abbiamo visto l'essicatoio solare e la spirulina essiccata, che abbiamo poi assaggiato tutti insieme condividendo un pasto interessantissimo di cibo vegetariano crudo molto nutriente!
I loro orti sono grandi e ci sono molte serre autocostruite anche con materiale di riciclo, ogni spazio anche vicino alle case vede qualche verdura crescere.

Riflessioni

Durante questa esperienza abbiamo sperimentato che l'acqua calda, la corrente elettrica, avere la doccia a disposizione tutte le volte che lo desideri, non sono cose scontate. Hanno un loro prezzo, un loro costo e un loro valore, non solo per noi, ma anche per il resto del mondo. Non posso fare a meno di sentire che il mio vivere nell'agio pesa sul resto del mondo. In questo ecovillaggio ognuno porta avanti qualcosa di unico, chi cerca di prodursi il più possibile quello di cui ha bisogno, chi di coltivare qualcosa di speciale in modo semplice e creativo. Il semplice vivere con poca illuminazione, mi arricchisce interiormente e mi mette davanti alle mie responsabilità di uomo, di padre, di minuscolo essere parte di questa incredibile creazione.
Una consapevolezza mi raggiunge, la troppa comodità mi ha assopito in un torpore che mi fa sembrare le cose inutili,essenziali. Più stiamo in contatto con la natura e quello che offre e più mi sento vivo, trovando risorse inaspettate.
Tornare a viaggiare per questo aspetto, quasi mi pesa sul cuore...

mercoledì 21 luglio 2010

Incendio all'Ecohouse.

Mi sembra doveroso condividere la mail che ho ricevuto oggi dalla realta' comunitaria siciliana dell'Ecohouse esprimendo, naturalmente, la solidarieta' del progetto Viverealtrimenti:

Sabato scorso, 17 luglio, un vasto incendio ha colpito l'Eco-house.
Nessuno si trovava in sede quel giorno quindi gli interventi sono stati veramente lenti,
e i plessi principali si sono salvati solo perchè era stato provveduto in primavera a
ripulire il giardino e tagliare l'erba: sono distrutti un prefabbricato in legno,
l'impianto idrico, l'impianto di scarico e parte dell'impianto elettrico...
tante piante e alberi sono bruciati e buona parte del terreno è coperta da una triste patina nera bruciata! E' desolante vederlo....MA CI RIMETTIAMO SUBITO AL LAVORO!!!
Da oggi tutti i pomeriggi dalle 18 alle 20.30 l'Eco-house è aperta a tutti i volontari che vorranno venire a dare una mano: indossate possibilmente scarpe e abiti comodi per lavorare. Telefonate prima di arrivare al numero 392.6225084 in modo da essere informati su eventuali cambiamenti di programma.
Chi ha particolari capacità, o volesse passare qualche giorno qui a darci una mano ci contatti per metterci d'accordo.
Stiamo organizzando un'evento per una raccolta fondi per l'associazione per riuscire a riparare almeno una parte dei danni subiti: chi vuole collaborare può mettersi in contatto direttamente con noi.

Un abbraccio e alle prossime news

Chiara

martedì 13 luglio 2010

INTERVISTA A MASSIMO NICOLAI REFERENTE DEL MERCATINO DELL’USATO E ABITANTE DI VILLAPIZZONE

Come anticipato un paio di post addietro, Viverealtrimenti ha il piacere di condividere un'intervista a Massimo Nicolai, pioniere dell'esperienza di Mondo di Comunita' e Famiglia a Villapizzone, un'area popolare di Milano.
L'intervista e' un allegato di una tesina curata da un gruppo di lavoro di studentesse dell'Universita' di Milano (Diana Passatutto, Monica Carraro, Simona Devivo, Viviana Comparin e Letizia Rossi Polidori)cui vanno i nostri sinceri ringraziamenti


Cosa sapete riguardo alle origini del quartiere e qual'è stata l’evoluzione del quartiere nel tempo?
Alla fine della 1ª guerra mondiale Villapizzone faceva comune a sé.
Alla fine degli anni ‘70 ancora si risentiva del fatto che Villapizzone fosse stato un comune autonomo da Milano. C’erano ancora le famiglie storiche che dicevano: ”Andiamo a Milano a fare spese, andiamo in città”, quindi la distinzione era ancora netta, anche perché ai quei tempi la Via Console Marcello era una strada chiusa che terminava alla ferrovia, quindi Villapizzone era un quartiere ai margini, nella periferia della città, ma non ancora degradato, il peggioramento c’è stato verso la fine degli anni ’70, in cui c’era già un campo nomadi e c’erano due fazioni mafiose opposte che si contrastavano, quelli di Via Bianchi contro quelli di Piazza Prealpi, fu così fino al blitz della fine degli anni ’80.
Vicino alla Piazza di Villapizzone c’era ancora la corte del fabbro, la corte delle lavandaie in Via Negrotto, era già un quartiere di persone anziane, c’erano ancora famiglie contadine ma quelle operaie iniziavano ad essere un numero maggiore.
Era ancora in funzione il gasometro che riforniva di gas la rete cittadina.
La villa si chiama Marietti ma è sempre stata conosciuta e chiamata come Villapizzone dal nome del quartiere, che ai tempi era un quartiere anche piuttosto vivace ma che stava invecchiando (c’era la festa della zucca).

Con quale scopo e da quali esigenze è nata la vostra associazione?
Non ci siamo mai seduti a tavolino a discutere se fare una comunità di famiglie, abbiamo sempre prima vissuto e poi guardato indietro per definire meglio alcune cose es. l’affitto e lo stesso patto di mutuo aiuto; semplicemente ci siamo chiesti: ma cos’è che ci tiene insieme? Delle regole o un modo di vivere i valori, sicuramente la seconda cosa perché in un ambiente di figli del ’68 guai a parlare di regole, di cose che ti rinchiudono, e comunque già in una famiglia ci sono di base delle regole.
La decisione di abitare a Villapizzone è arrivata dalla ricerca di un posto dove abitare in tanti, che fosse grande, con una zona verde però che fosse in un quartiere.
Ci si conosceva per l’impegno di volontariato in Africa, sia con i coniugi Volpi che con i religiosi gesuiti, che seguivano le missioni dei volontari cristiani.
L’idea era quella di ripensare la casa con criteri nuovi, non con il criterio dell’architetto che predilige la privacy e vede gli appartamenti ben distinti tra di loro ma con un criterio comunitario: zone giorno a piano terra tutte collegate e zone notte al primo piano, gli appartamenti sono in verticale uno a fianco all’altro, quindi non a strati ma affiancati, questo ci ha fatto capire quanto fosse importante per le famiglie sapere che si sta in piedi se ci si appoggia gli uni agli altri, la famiglia sta in piedi se sorretta anche dalle altre. La caratteristica dei primi 20-25 anni era un’apertura indiscriminata verso chi entrava e chiedeva di essere accolto, nata da noi famiglie che venivano da un’esperienza di volontariato ed avevamo capito quanto fosse importante per noi non perdere queste radici. Secondo l’idea che si ha di volontariato normalmente è concepito come uno spazio di tempo destinato ad opere in modo gratuito, una volta che uno ha espletato la sua azione di lavoro, di presenze nella società. La nostra idea non era quella di restringere il tempo del volontariato a qualche ora ma concepire la giornata e la vita come volontariato, siamo stati così bene negli anni d’esperienza nel terzo mondo che volevamo ripetere l’esperienza qua e questo si poteva fare solo trovando altre persone che credessero in questo stile di vita, uno stile di vita in cui io sto bene, mi trovo bene con l’altro e questo ritrovato benessere può essere d’aiuto anche a chi non vive una situazione del genere perché stando insieme a noi ritrova il benessere.

Quali principali bisogni avete riscontrato nella popolazione?
Prima di tutto c’erano i nostri bisogni, non proprio l’esigenza del quartiere, poi fare trasporto è un lavoro facile che possono fare tutti, bastano un furgoncino e delle braccia, alla fine il cliente ti paga e spesso non vuole la fattura.
Inizialmente non si parlava delle esigenze del quartiere, non era un nostro interesse, non pensavamo neanche di fare questo lavoro, io quando sono arrivato pensavo di continuare a fare il fabbro, non c’è stata subito l’idea del lavoro in comune. Quando io e mia moglie abbiamo finito il nostro gruzzolo sono andato a domandare qualcosa a Bruno e lui non sapendo come calcolare quanto mi doveva mi diede un assegno in bianco e mi disse vedi tu quello che ti serve.
Abbiamo capito che il lavoro insieme fa comunità, accoglienza e facilita la cassa comune; con il tempo si è capito quanto era bello, elementare e semplice la consegna dell’assegno in bianco, che faceva si che uno decidesse quanto gli serviva, non sulla base di quanto si è lavorato ma su quella dei bisogni, questa poi è rientrata nella buona pratica della comunità. Milano ci ha sempre dato lavoro, ma non potevamo continuare a lavorare in nero in una maniera così destrutturata e ugualmente con la mentalità del buon padre di famiglia non potevamo permettere che le altre realtà che nascevano di comunità e famiglia prendessero queste caratteristiche e quindi nel ’99 abbiamo fondato la cooperativa.

Quali politiche avete attuato?
Essendo la nostra una comunità di famiglie lo stile e la modalità nella quale aprirsi cambia e si modifica col cambiare delle famiglie. Le famiglie di oggi, quelle più giovani (nel senso che si sono aggiunte in seguito) hanno leggermente modificato questo tipo di divisione e d’approccio, ogni famiglia è figlia del proprio tempo e la famiglia del 2000 non è quella che ha vissuto il ’68, abbiamo comunque cercato di tenere fede ai valori che sono: accoglienza, fiducia, condivisione, tolleranza, apertura, sobrietà, porta aperta però riconoscendo alla famiglia che viene a vivere nella comunità la libertà di vivere questi valori nel modo in cui è capace, quindi se nei primi 20-25 anni c’era un apertura a tutto campo ora le famiglie che sono qui da 10-15 anni hanno un modo diverso di approcciarsi, in un certo senso più organizzato, attento, calibrato sulle loro possibilità, molto più a progetto, accoglienze magari brevi con uno scopo e per un esigenza ben precisa, più leggere.

Siete ufficialmente riconosciuti dalle istituzioni?
In realtà dalle istituzioni siamo conosciuti come impresa sociale e cerchiamo di dare possibilità di lavoro a tutte le persone che vengono accolte in casa, pensando a contratti di lavoro innovativi. Le persone vengono indirizzate qua dalla borsa lavoro, da altre associazioni e dal comune che ci manda affidamenti di minori, facciamo un lavoro egoterapico: io sono anni che ospito un ragazzo psicotico che non potrebbe lavorare, ho con i genitori una sorta di contratto su di lui secondo il quale lui non è legato a nessun obbligo e/o orario lavorativo, se vuole venire a lavorare bene senno sta a casa, il lavoro deve essere funzionale al suo benessere, se lavora è perché sta bene lui.
Da una parte accogliere un certo tipo di persone è anche un rischio e può mettere in difficoltà la stabilità famigliare.

Si sono istituite delle collaborazioni?
Collaboriamo col CELAV ed altre associazioni, in realtà il comune ci ha sempre chiesto di istituirci come “comunità alloggio” perché così per ogni affido ci potevano pagare tutte le spese, ma questo ci faceva perdere la libertà di decidere se accogliere oppure no, come qualunque famiglia privata che vuole aprirsi, a noi l’aspetto economico non è mai interessato, per noi i soldi sono solo un mezzo per soddisfare i bisogni.
L’apertura comunitaria è una vocazione, che ognuno sviluppa come meglio crede.

Quali sono stati i riscontri da parte del quartiere alle vostre attività?
Il primissimo impatto è stato di una certa diffidenza, era la fine degli anni ’70. I Volpi avevano i capelli lunghi, erano vestiti un po’ così e si confondevano con il gruppo di giovani che abitava qua in un qualche modo: i tossici, democrazia proletaria, le giovani femministe… poi durante l’estate del ’79 chi abitava questa casa è andato in giro per il mondo, in ferie; nel frattempo i coniugi Volpi coi gesuiti si sono installati e già pensavano al rientro di queste persone come poter convivere ma poi i precedenti occupanti si sono allontanati per proprio conto.
Quindi il quartiere ha vissuto questo cambiamento di persone senza capire cosa succedesse, cambiamenti d’abiti e di capigliature non ne hanno visti e quindi pensavano che fossero sempre le solite persone, col passare dei mesi si sono accorti dei figli giovani che uscivano con la cartella per andare a scuola, vedevano che la casa stava iniziando ad essere messa a posto da noi e che cercavamo un'interazione con la parrocchia; hanno capito piano piano che la situazione era cambiata, Bruno aveva iniziato una piccola attività di sgombero con un furgoncino (di ferro, carta, piccoli traslochi) ma era un lavoro in nero completamente destrutturato, non era intenzionato a mettersi in regola e mettere su un'impresa.
Io sono arrivato qui nella primavera del ’79 perché Bruno mi ha detto “venite pure che qui c’è tanto spazio e serve un aiuto”.
Il quartiere piano piano ci ha conosciuto e apprezzato, ha apprezzato la nostra presenza vedendo anche la rinascita della villa.
Inizialmente abbiamo cercato di produrre qualcosa per l’autosostentamento ma poi abbiamo capito che era più importante coltivare l’ortolana che l’orto, ossia erano più importanti le relazioni con l’ortolano, il panettiere, il macellaio, che in effetti ci hanno ben accolti e anche noi ci siamo resi accoglienti per esempio un gesto semplice ma molto significativo è stato lasciare sempre il cancello aperto perché ha fatto si che la gente entrasse spinta dalla curiosità di vedere cosa stava cambiando, hanno visto che anche noi in un certo senso avevamo dei bisogni e questo ha fatto si che arrivassero degli aiuti tramite abiti usati, mobili ecc… non è stato un aiuto richiesto ma accettato nel momento in cui e' arrivato; il fatto di avere un cancello aperto ha facilitato la comunicazione.
Ancora oggi, nonostante ci sia la cooperativa, molti portano qui gli abiti usati, anche per venire a fare un saluto e due chiacchiere e se hanno bisogno di fare qualche lavoro chiamano noi.
Accogliamo ancora ma un po’ meno di una volta.
La media dei figli naturali è la più alta nazionale, come in tutte le altre comunità e questa è una conseguenza della vita comunitaria.
La nostra accoglienza serve per accompagnare la persona ad un‘autonomia.

Quali sono i principali destinatari?

Non ci sono dei destinatari in particolare, si valuta di volta in volta a seconda di chi si presenta se si può fare qualcosa; ai tempi si era molto più propensi all’affido, nei primi vent’anni, ora dopo molto tempo che non ne abbiamo più fatti e ne abbiamo solo uno, è più un accoglienza di adulti, molte vocazioni mancate che sono più semplici da gestire, c’è molta più attenzione al proprio clima famigliare, non è cattiva volontà ma si valutano bene le conseguenze che può avere l’accoglienza di una persona particolarmente problematica. Questo è possibile perché il fatto di vivere una situazione comunitaria e quindi il fatto di sapere di avere un sostegno anche dalle altre famiglie da più coraggio, si ha anche l’osservazione di un occhio esterno, quindi ci si espone di più perché si sa che c’è tutto un contesto.

Quali iniziative sono previste nel futuro?
In quali aree d’interesse?
E’ stato importante il fatto di aver destinato subito dei locali a spazi comuni aperti al quartiere e a tutto il territorio, avendo ricevuto il dono di questa villa, cosa che non ci aspettavamo, per noi era importante permettere al quartiere di entrare e usufruire di questo bene e farlo sentire anche loro, ad oggi abbiamo due strutture adibite ad uso pubblico molto usate per le settimane comunitarie degli scout e degli oratori e per feste di compleanno, oltre al parco dove i genitori o i nonni portano i bambini a giocare, poi ci sono due serate tenute dai gesuiti dedicate alla lettura della bibbia oltre agli incontri dell’associazione comunità e famiglia, la Rosa Bianca e qualsiasi forma culturale che ne faccia richiesta.
Adesso la struttura è del comune che ci ha aiutato a ristrutturarla e a mettere tutto a norma di legge e in sicurezza.
Questa apertura ci serve per essere vivi nel quartiere, perché questo arricchisce la famiglia, è l’esagerata privacy che impoverisce.
Ora con le persone che escono la mattina e rientrano la sera la casa rimane stranamente vuota ed i momenti di vita insieme vanno cercati, bisogna trovare degli escamotages per fare qualcosa insieme, è tutto un po’ più artificiale.
In molte “comunità famiglia” lui e lei lavorano, escono la mattina e rientrano la sera, per questo ora più che di comunità si parla di condominio solidale, perché si risponde ai bisogni storici sociali diversi, nella società di oggi il bisogno di realizzarsi col proprio lavoro è molto sentito.
Quindi da un lato c’è questo bisogno/sogno/desiderio di vivere in una comunità, dall’altro c’è un’azione che va in senso contrario.

domenica 11 luglio 2010

LUNA NUOVA --- domenica 11 luglio 2010 --- da Ajahn Munindo

Se segui il sentiero
arriverai alla fine della sofferenza.
Avendolo visto di persona
insegno la Via
che toglie tutte le spine.

Dhammapada strofa 275

La vita ferisce. La cosa più naturale è cercare un modo di stare in
questo mondo che sia senza danno. Quelli che hanno percorso questa via
prima di noi parlano dell’indescrivibile senso di sollievo nel
raggiungere la terra della libertà. Ma aggiungono che è necessario uno
sforzo abile.
Il Buddha recitò questi versi a un gruppo di monaci che
chiacchieravano di un viaggio fatto insieme. Egli spostò il discorso
dalle strade e dai fiumi che avevano attraversato per portarlo sul
terreno interiore. Il Maestro consiglia di usare il nostro tempo e la
nostra energia limitati in un modo che ci porti nella direzione che
più desideriamo seguire.

Con Metta

Bhikkhu Munindo

(Ringraziamenti a Chandra per la traduzione)

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Santacittarama
Monastero Buddhista
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venerdì 9 luglio 2010

Il condominio solidale di Villapizzone (MI): una forma più partecipata di co-housing.

Di seguito un interessante contributo da un gruppo di lavoro di studentesse dell'Universita' di Milano (Diana Passatutto, Monica Carraro, Simona Devivo, Viviana Comparin e Letizia Rossi Polidori) sulla celebre esperienza comunitaria milanese di Villapizzone. La prima del network comunitario di MCF (Mondo di Comunita' e Famiglia). Merita segnalare che una delle studentesse menzionate, Diana Passatutto, ha iniziato una bella e proficua collaborazione con la Viverealtrimenti editrice di cui e', al momento, la principle referente in Italia.

INTRODUZIONE
L’interesse di questo gruppo di lavoro si è inizialmente focalizzato sull’esperienza co-housing come modello abitativo alternativo. Da alcune prime ricerche, abbiamo considerato però che questo non è ancora radicato sul territorio come lo è invece il condominio solidale.
La presenza di un condominio solidale, può portare ad una riqualificazione di un quartiere di Milano in cui molto spesso si vive nella marginalità?
La finalità e gli obiettivi del nostro gruppo di ricerca sono stati quelli di indagare e conoscere più situazioni possibili per confrontarle tra loro e cercare di scoprire se esiste un collegamento tra la presenza di un condominio solidale e un territorio riqualificato dal punto di vista sociale e ambientale.
La fase iniziale del nostro progetto ha previsto una mappatura preliminare dell’ambito da indagare attraverso l’utilizzo della rete e ricerche di gruppo. Il target generale alla sulla quale ci siamo preposte inizialmente sono state le donne e bambini, successivamente ci siamo soffermate più in generale sui nuclei familiari in generale, soprattutto quelli facente parte di condomini solidali.
Per una prima e generale fornitura di informazioni, abbiamo effettuato ricerche individuali in Internet , le quali sono state confrontate tra di noi. Superato questo primo percorso, abbiamo proseguito con le ricerche di archivio e infine lavoro partecipato sul campo attraverso interviste ed incontri con i personaggi rappresentativi della zona che si sono resi disponibili.
In particolare, i testimoni privilegiati sono stati:

Il Mirino, mensile di informazione della zona 8 e 4 del comune di Milano;
•Massimo Nicolai, referente del mercatino dell’usato e abitante in Villapizzone;
•Cooperativa San Martino;
•Consiglio di zona 8;
•Centro sociale Torchiera – Tortuga.

1. VILLAPIZZONE: CENNI STORICI
-Il quartiere di Villapizzone è situato nell'area nord-occidentale di Milano, ex zona 20, divenuta con il decentramento del 1999 della città zona 8.
-Fino a metà degli anni Venti del '900 Villapizzone apparteneva all'ancora esistente comune di Musocco, insieme alle zone di Vialba e Garegnano secondo un criterio di vicinanza di comunità parrocchiali opranti in ambiti territoriali confinanti.
-Attualmente il quartiere viene delimitato secondo confini ridotti rispetto al passato e cioè: a nord da via Porretta e dal cavalcavia Palizzi, a sud da piazza Pompeo Castelli e le vie adiacenti C.Ajraghi e via degli Alianti, a est dalle vie Lambruschini e dal tracciato delle Ferrovie dello Stato e ad ovest da un tratto della via Varesina.
-La nostra ricerca si è concentrata su realtà presenti nel nucleo centrale del quartiere, piazza Villapizzone e vie limitrofe, ma ha voluto allargarsi, con pochi risultati, al Consiglio di zona 8 di via Quarenghi e al centro sociale Torchiera situato di fronte al Cimitero di Musocco.
-Il quartiere prima di essere incluso nel territorio milanese costituiva un'area agricola e risultava ricco di vegetazione boschiva e di campi messi a coltura, nonchè meta di gite fuori porta e meta prescelta dalle famiglie agiate per edificare cascine e corti per la propria villeggiatura.
-Villapizzone ha seguito il percorso comune a molte aree a ridosso di Milano ricalcandone le medesime trame in epoche storiche ben note. Ha visto realizzarsi il fenomeno di un'urbanizzazione irrefrenabile, l'insediamento di grandi industrie nelle immediate vicinanze e la riduzione, fino alla totale scomparsa, dello spazio coltivato, dei boschi e delle marcite.
-Ha vissuto un'espansione territoriale contemporanea ad un aumento demografico che ha portato allo sviluppo dell'edilizia economica e popolare sin dall'annessione del comune di Musocco nel 1923. Della stessa storia dell'edilizia economica e popolare milanese, Villapizzone ha seguito il percorso difficile e travagliato che ha avuto come tappe eloquenti le occupazioni abusive in massa degli anni '60 e '70 ed i conseguenti sgomberi effettuati con migliaia di poliziotti, l'organizzazione di comitati dei quartieri della zona 8 per difendere le aree 167, lo svolgimento di scioperi dell'affitto e le lotte per la ristrutturazione degli stabili datati e fatiscenti.
-Villapizzone ha un consistente patrimonio edilizia pubblica sovvenzionata da diversi enti erariali per un totale di 2.175 alloggi per quasi 8.000 locali, costruiti in periodi storici diversi. Le imprese private e le società immobiliari si affacceranno nello zona solo nell'ultimo ventennio. Fino a quel momento la maggior parte di lotti costruiti e venduti sarà regolata quasi esclusivamente dal Comune di Milano, direttamente o attraverso l'IACP e dalle cooperative edilizie che operavano nella zona di Musocco.
-La questione abitativa diviene urgente nel secondo dopoguerra con la riapertura di impianti produttivi e la creazione di nuove fabbriche. Bisogna dare una casa agli operai delle fabbriche e costruirne molte altre per fronteggiare l'immigrazione di massa dei lavoratori e delle loro famiglie.Oltre alla questione di emergenza logistica che è stata affrontata anche con occupazioni di carattere abusivo degli immobili, nel quartiere gli stessi caseggiati costruiti dall'IACP sono divenuti ghetti per lA popolazione meridionale o roccaforti per la malavita organizzata.
-Il caso emblematico nel quartiere di Villapizzone è costituito dalle case di via Emilio Bianchi che negli anni '90 era ritenuto il fortino della mafia e luogo di spaccio presidiato dalle cosche pugliesi e calabresi. Il progetto di risanamento dell'area ha visto la copartecipazione dell'IACP (divenuto in quegli ALER), del Comune,della Polizia (con l'acquisto di 40 appartamenti) e degli abitanti stessi del quartiere disposti a vigilare sul territorio e ad occuparsi degli stabili e dell'area verde circostante dopo il risanamento avvenuto con l'arresto degli spacciatori. L' evoluzione positiva della vicenda del complesso di via Bianchi è stata oggetto di numerose ricerche e tesi da parte degli studenti del polo universitario della Bovisa.
-La questione della casa a Villapizzone non è cambiata particolarmente, specie nell'edilizia pubblica, però non si sono più generati luoghi Bronx come i palazzi di via Bianchi e l'ALER ha effettuato varie manutenzioni e ristrutturazioni nelle case popolari più datate, come quelle di via Ajraghi. Nuovi residenti però hanno trovato rifugio nel quartiere: sono i rom che vivono nel campo nomadi di via Negrotto divenuti ormai stanziali. L'integrazione nella zona di questo gruppo eterogeneo di rom è stata faticosa sin dal loro arrivo all' inizio degli anni '90, ma con la mediazione dell'Opera Nomadi il campo ha guadagnato uno status di legalità che ha permesso il miglioramento della convivenza con gli abitanti del quartiere a cominciare da quella dei bambini tenuti a frequentare le scuole con regolarità.
-In quest'ultimo decennio Villapizzone ha subito i maggiori cambiamenti a livello infrastrutturale con l'apertura dell'omonima stazione del Passante Ferroviario nel 1998 e la dismissione della vecchia e degradata stazione di Bovisa. Maggiore è la mobilità, l'afflusso verso la zona è aumentato anche per l'insediamento della Triennale Bovisa e la sede del Politecnico. Attualmente è in corso un cambio di sensi della viabilità proprio nelle vie attorno alla piazza oggetto della ricerca del nostro gruppo. Il tipo di casa da noi analizzato, la forma abitativa del condominio solidale di Villapizzone creata nell'ex-villa Radice Fossati dai coniugi Volpi nel 1978, ci ha consentito di capire le dinamiche che si intrecciano nella vita di quartiere e che scattano tra i vari gruppi che vi abitano e che in esso cercano un luogo per sviluppare la propria identità.

2. IL CONDOMINIO SOLIDALE DI VILLAPIZZONE: STORIA DI UN’ARCHITETTURA “PARTECIPATA”
Questa storia comincia focalizzando sull’importanza della casualità, fonte di creatività umana.
All’inizio della sua avventura sulla Terra, l’uomo si è imbattuto casualmente in dei semplici materiali, i quali mescolati fra loro e nel rispetto assoluto delle identità, dei criteri e dei gusti di coloro che ne venivano in contatto, si creavano degli archi, dei collegamenti, formando così l’ ampio ventaglio di artefatti che noi oggi conosciamo.
Quando poi riesce a svilupparsi un equilibrio fra Competenza Carisma e Necessità vitali, ecco che la creazione che ne deriva risulta essere un’esperienza umana straordinaria.
Quella del condominio solidale di Villapizzone lo è diventata grazie all’incontro della “scienza della progettazione” con un’idealità forte, che verte sul bisogno di una convivenza abitativa più umana e funzionale alle proprie esigenze, non pensa solo al mero bisogno di collocarsi in un luogo.
L’evoluzione storica ha voluto che nel 1979 si incontrassero nello stesso luogo tre famiglie con un ricco e distinto bagaglio di esperienze sociali e spirituali anche internazionali alle spalle con in comune la stessa “voglia di insieme”. Il luogo in questione è un’antica villa, appartenente ai Radice Fossati, nobili della Milano dell’Ottocento, che ha sfortunatamente subito nel corso del tempo un grave degrado causato dalla noncuranza di una gioventù in fermento, quella di fine anni ’60 del Novecento dovuta alle prime delusioni politiche e sociali per un cambiamento che si rivela più lento e difficile del previsto. La villa vede quindi sottrarsi elementi costruttivi e finiture come canali di gronda , ringhiere dei balconi, elementi in pietra, davanzali e cornici delle finestre.
Senza violenza ma con determinazione, questi tre nuclei sociali, occupano via via tutte le stanze e man mano i ragazzi sbandati che erano rimasti, o se ne andavano o si integravano in questo piccolo mondo parallelo. Inizia così a delinearsi la comunità che da subito si caratterizza come “diversi ma insieme” perché nessuno intendeva rinunciare alla propria identità.
Per mantenersi, la maggior parte dei membri, svolge lavori manuali, artigianato con recupero e riuso di materiali rinvenuti da sgomberi di solai e cantine , ma non mancano anche impiegati professionisti con attività lavorativa esterna che partecipano alla comunità utilizzando spazi comuni magari anche solo il sabato, come il taglio della legna, pulizie, accoglienza di gruppi per incontri e ritiri. La rete composta da persone, famiglie, associazioni coinvolte inizia ad infittirsi e negli anni ’80 Villapizzone diventa un punto sicuro di riferimento per il quartiere e per la città.
Riferimento non solo per persone disagiate o emarginate, ma anche per donazioni e circuiti alternativi, come il Banco alimentare, iniziativa che ha reso possibile la partecipazione di persone esterne e amici che portavano cibi e bevande, coltivando e costantemente educandosi al valore fondante della fiducia. I frutti di tutto quanto seminato non tardano ad apparire sotto la forma di un fiorire di esperienze associative e culturali.
Elio Meloni ha voluto lasciare traccia della freschezza, dell’entusiasmo,della fiducia e della speranza che ha saputo diffondere il Geom. Bruno Volpi, rappresentante di una delle tre famiglie ritrovatesi e che è riconosciuto come leader all’interno della storia di Villapizzone, attraverso i suoi racconti. A lui piace sottolineare quanto gli piacesse “correre dietro alle palle perse” e quanto questo abbia giocato un ruolo fondamentale in quegli anni, negli anni giusti perché si voleva la fantasia al potere, fondarono così gruppo “Spacca e stoppa” E’ sempre stato un sostenitore del “correre dietro le palle perse” perché anche se complica un po’ la vita, quantomeno ne da un senso, gli ideali fanno star male perché comunque nella vita devi essere concreto.
Negli anni del boom economico, essendo più facile e comodo, tutti correvano dietro le palle vincenti,ma così facendo la vita ha meno sapore. Bisogna sognare di realizzare una rete con delle palle perse, solo così dai un senso alla vita. Alternativa è Costruire, non distruggere, ricomporre sogni e realtà, sperimentare le contraddizioni.
Laico perché il plurale di mio è nostro, non “di tutti”. Chiamandola comunità c’è il rischio che la gente si de-responsabilizzi, pericolo è di tutti quelli che ve ne fanno parte. Condominio solidale è un termine più laico e più comune perché di condomini piena la Terra perché c’è comunque privacy, si è comunque vicini, ma ognuno responsabile della propria vita , sentendosi allo stesso tempo in cordata con gli altri.
Questa nuova forma di abitare insieme, il co-housing, è in fondo solidale? o solo un modo di abitare vicini.
Esperienza ripetibile, anche convegno finanziato dalla regione Lombardia in cui è intervenuto il cardinal Martini, chiedendo ai promotori di “non raccontare ciò che hanno fatto, ma di raccontare ciò che hanno capito facendo”. Cascina a Castellazzo che nel giro di pochi anni si è riempita.
Ha dato possibilità anche ad altri di ripetere questa esperienza.
Nasce associazione Comunità e Famiglia. che faceva da ombrello e chi ci sta sotto ha il dovere di essere spontaneo. Oggi in 9 regioni d’Italia.
Il Geom. Volpi è diventato un leader perché ha saputo rendere felici anche i momenti di fatica vera, perché ha avuto sobrietà di idee, perché ha insegnato che la memoria del dono è doverosa ma libera e perché non è stato un capo a cui tutti obbediscono, creando così efficienza, ma ha prodotto umanità ed efficacia col suo motto “scappa o scoppia”.

3. FONDAMENTI E CARATTERISTICHE DELLA VITA COMUNITARIA
Il condividere un abitazione permette di approfondire nella quotidianità la vita comune. La condivisione si rivela una serie di incontri, dialogo , sostegno morale ed affettivo . Inoltre consiste anche in una sorta di impegno che richiede una necessità geografica.
Infatti, la comunità implica l’esistenza di legami oggettivi per i quali non è necessario provare sentimenti particolari in cui il singolo non cerca di assoggettare gli altri per realizzazioni personali.
Tale tipologia di vita comunitaria può essere denominata comunità di famiglie o macrofamiglia . Essa è una forma comunitaria il cui scopo è dare una risposta concreta alle difficoltà della famiglia nucleare, fornendo possibili ipotesi di vita pratica e un rimedio all’isolamento sociale.
In tale “organizzazione” la famiglia viene considerata la base della comunità stessa, la quale viene agevolata creando delle condizioni di vita armoniche strutturate in un contesto relazionale allargato in cui ciascuno sia accolto e sostenuto.
Il termine comunità, suscita aspettative ideali, mentre il termine condominio richiama alla quotidianità. Infatti, se in un normale condominio le famiglie tendono ad isolarsi, la comunità di famiglie cerca di abbattere le barriere tra le persone perché si impegna nell’essere solidale.
“Come tra marito e moglie si firma un patto, così tra famiglie stringiamo un patto di mutuo soccorso”
Si può dire che la comunità raggiunge visceralmente la realtà dei rapporti umani reciproci poiché è radicata nel territorio conoscendo la fragilità che può intercorrere nelle relazioni che vedono la condivisione del tempo e dello spazio come base primaria. Infatti, lo stare insieme è soggetto di una realtà articolata che esige differenziazioni e competenze specifiche. La novità sta nel fatto che i limiti tendono a diventare luogo di aiuto reciproco invece che di prevaricazione.
Il confine in questo senso rappresenta l’identità delle persone che scelgono di far parte di questa organizzazione. L’organizzazione dell’ambiente non è per niente qualcosa di statico e immutabile ma è continuamente modificato dell’ingresso di nuovi membri oppure dalla criticità e dallo sviluppo dei membri stessi , i quali, accettando l’ambiente non si vedono esclusa la sua possibile modifica naturale o intenzionale.
L’esperienza pratica delle famiglie aperte, inoltre, mostra nel concreto che chi è accolto non trova uno spazio già organizzato (statico), quanto una serie di condizioni in modo che ognuno possa trovare il suo spazio personale che viene scaturito dalle personali esperienze già vissute del soggetto, le quali verranno riversate nel gruppo e diverranno in questo modo parte del capitale sociale.
L’adattamento da parte di chi è accolto provoca un adeguamento all’interno del gruppo e, nello stesso tempo, riceve forti stimoli verso l’idea di cambiare, che lo possono condurre progressivamente ad un percorso autonomo.
In questo senso, l’empowerment della comunità sta nella solidarietà che permette ad ogni individuo di utilizzare le proprie risorse all’interno di un ambiente il quale non vuole rappresentare l’idea di conflitto ma quella di tolleranza valorizzando ogni individuo rendendolo propenso all’accoglienza e alla condivisione a vari livelli.

4. DIFFERENZA TRA CO-HOUSING E CONDOMINIO SOLIDALE
IL CO-HOUSING non è un utopia ma l’esperienza quotidiana di migliaia di persone in tutto il mondo che hanno scelto di vivere in una comunità residenziale a servizi condivisi.
Il co-housing nasce in Scandinavia negli anni 60, ed è a oggi diffuso specialmente in Danimarca, Svezia, Olanda, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Australia, Giappone.
Le comunità di co-housing combinano l’autonomia dell’abitazione privata con i vantaggi di servizi, risorse e spazi condivisi (micronidi, laboratori per il fai da te, auto in comune, palestre, stanze per gli ospiti, orti e giardini...) con benefici dal punto di vista sia sociale che ambientale.
Tipicamente consistono in un insediamento di 20-40 unità abitative, per famiglie e single, che si sono scelti tra loro e hanno deciso di vivere come una “comunità di vicinato” per poi dar vita – attraverso un processo di progettazione partecipata - alla realizzazione di un ‘villaggio’ dove coesistono spazi privati (la propria abitazione) e spazi comuni (i servizi condivisi).
La progettazione partecipata riguarda sia il progetto edilizio vero e proprio – dove il design stesso facilita i contatti e le relazioni sociali – sia il progetto di comunità: cosa e come condividere, come gestire i servizi e gli spazi comuni.
Le motivazioni che portano alla co-residenza sono l’aspirazione a ritrovare dimensioni perdute di socialità, di aiuto reciproco e di buon vicinato e contemporaneamente il desiderio di ridurre la complessità della vita, dello stress e dei costi di gestione delle attività quotidiane.

Le 10 caratteristiche più comuni del co-housing:
Ogni progetto di co-housing ha una storia diversa e proprie caratteristiche, ma vi sono anche molti tratti in comune:
1. PROGETTAZIONE PARTECIPATA
I futuri abitanti partecipano direttamente alla progettazione del “villaggio” in cui andranno ad abitare scegliendo i servizi da condividere e come gestirli
2. VICINATO ELETTIVO
La comunità di co-housing sono elettive: aggregano persone dalle esperienze differenti, che scelgono di formare un gruppo promotore e si consolidano con la formazione di una visione comune condivisa.
3. COMUNITÀ NON IDEOLOGICHE
Non ci sono principi ideologici, religiosi o sociali alla base del formarsi di comunità di coresidenza, così come non ci sono vincoli specifici all’uscita dalla stessa
4. GESTIONE LOCALE
Le comunità di cohouser sono amministrate direttamente dagli abitanti, che si occupano anche di organizzare i lavori di manutenzione e della gestione degli spazi comuni.
5. STRUTTURA NON GERARCHICA
Nelle comunità di co-housing si definiscono responsabilità e ruoli di gestione degli spazi e delle risorse condivise (in genere in relazione agli interessi e alle competenze delle persone) ma nessuno esercita alcuna autorità sugli altri membri; le decisioni sono prese sulle base del consenso
6. SICUREZZA
Il co-housing offre la garanzia di un ambiente sicuro, con forme alte di socialità e collaborazione, particolarmente idoneo per la crescita dei bambini e per la sicurezza dei più anziani
7. DESIGN E SPAZI PER LA SOCIALITÀ
Il design degli spazi facilita lo sviluppo dei rapporti di vicinato e incrementa il senso di appartenenza ad una comunità
8. SERVIZI A VALORE AGGIUNTO
La formula del co-housing, indipendentemente dalla tipologia abitativa, consente di accedere, attraverso la condivisione, a beni e servizi che per il singolo individuo hanno costi economici alti
9. PRIVACY
L’idea del co-housing permette di coniugare i benefici della condivisione di alcuni spazi e attività comuni, mantenendo l’individualità della propria abitazione e dei propri tempi di vita.
10. BENEFICI ECONOMICI
La condivisione di beni e servizi consente di risparmiare sul costo della vita perché si riducono gli sprechi, il ricorso a servizi esterni, il costo dei beni acquistati collettivamente.

CONDOMINI SOLIDALI:

1.costituiti dall’azienda regionale servizi alla personaIn un condominio solidale vivono per la maggior parte persone disagiate: anziani, donne sole con figli, tutte persone che non hanno nessun appoggio oltre loro stessi, poi ci sono invece famiglie “normali” i quali componenti si mettono a disposizione degli altri aiutandoli con piccole azioni di “volontariato” o meglio si prestano ad essere solidali, grazie a questa combinazione di condomini si riesce a vivere tutti meglio, chi non ha parenti non si sente più solo perché si forma di fatto un ambiente famigliare.
Nella pratica inoltre si abbassa il costo di queste persone, ad esempio un anziano in un condominio solidale costa alla collettività la metà di un anziano in casa di riposo, tenendo conto soprattutto che l’anziano mantiene la sua indipendenza e i suoi ritmi di vita quindi sta molto meglio che in casa di riposo.
2.dell’associazione “comunità e famiglia”
Ogni Condominio nasce in base a un patto di mutuo soccorso che unisce un gruppo di famiglie intorno a un progetto comune. Condomini Solidali o Comunità di Famiglie sono una comunità di comunità. La famiglia, o una persona con il suo desiderio di famiglia, riconoscendo di non bastare a se stessa, decide, per realizzarsi a pieno, di vivere accanto ad altri in modo solidale: la comunità non si costituisce sulla fusione, ma sul vicinato solidale, non sulle norme, ma sulla fiducia reciproca; ognuno ha un suo appartamento, ha una sua sovranità inalienabile ed è totalmente responsabile di sé e delle proprie scelte.
L’equilibrio che si persegue tra valori e stile di vita ed il sostegno reciproco vissuto in una casa solidale, consente alle famiglie e alle persone di attivare risorse per l’accoglienza, scoprendo giorno dopo giorno che l’apertura è commisurata al ben essere e lo star bene è anche proporzionale all’apertura.
Si ricerca uno stile di vita sobrio, essenziale nei consumi, ma anche nelle idee, non l’accumulo e lo sperpero dei beni, ma si cerca di investire sulle relazioni con le persone nel rispetto dell’ambiente: come strumento per confermare la fiducia negli altri ed il cammino da compiere su se stessi, è utilizzata la pratica della cassa comune e dell’assegno in bianco. I proventi da lavoro si mettono insieme e mensilmente a ogni famiglia o persona che compone la comunità viene affidato un assegno da compilare secondo le necessità del mese e quello che non si utilizza potrà servire alle altre famiglie della comunità.
L'apertura del Condominio Solidale verso l'esterno produce dei benefici per l'intero luogo circostante. E questo non solo. per la riqualificazione delle aree degradate o per il lavoro in campo ambientale, ma anche e soprattutto perché crea intensi momenti di socializzazione.
Il Condominio Solidale può divenire un vero e proprio centro sociale autogestito, che non ha alcun costo per la collettività, ma che addirittura la arricchisce dal punto di vista umano e delle relazioni interpersonali.
Quella di Villapizzone è la prima esperienza di condominio solidale\comunità, negli ultimi anni stanno nascendo nuove forme di condominio solidale, a volte rivolte ad una particolare fascia di popolazione tipo anziani, disabili, ragazze madri. Molte sono esperienze nate dal basso, ma si inizia a vedere qualche movimento, anche se lento, da parte delle istituzioni.

CONCLUSIONI
Sia l’approfondimento di certe tematiche nelle lezioni frontali, sia la nostra personale curiosità attraverso la lettura di manuali al riguardo e soprattutto attraverso la ricerca sul campo e le successive interviste, ha permesso che siano stati chiarificati molti dubbi riguardo al condominio solidale e al co-housing.
La nostra ipotesi di partenza, espressamente descritta nello schema organizzativo, si soffermava sulla possibilità da parte di un condominio solidale di poter riportare innanzitutto ad un contatto con le persone (in un luogo ormai dispersivo come Milano) ed anche una possibile riqualificazione di un area territoriale.
Questa nostra ipotesi è stata confermata in parte in quanto il quartiere di Villapizzone si è dimostrato immediatamente ai nostri occhi ricco di associazioni, cooperative e centri di aggregazione in generale. Inoltre, un altro dato positivo riscontrato dalla nostra ricerca è stato quello collegato alla criminalità, infatti, la storia del quartiere ha subito un’evoluzione capace di arginare episodi di criminalità ed uscire dall’ “enclave” che spesso caratterizza quartieri periferici come questo.
Questa ricerca sul campo ci ha portato verso una nuova visione delle cose, una visione aperta e naturale, molto più di quanto lo si possa pensare.
L’idea del condominio solidale è nata dallo stimolo del ripensare la casa con criteri nuovi, non con il criterio dell’architetto che predilige la privacy e vede gli appartamenti ben distinti tra di loro, ma con un criterio comunitario. Questo criterio ha sottolineato l’importanza della solidarietà, prima nemica dell’isolamento.

Nel prossimo post: INTERVISTA A MASSIMO NICOLAI REFERENTE DEL MERCATINO DELL’USATO E ABITANTE DI VILLAPIZZONE.

lunedì 5 luglio 2010

Biblioteca indologica, tè ayurvedici, corsi di sanscrito nel cuore di Roma.

Il Bibliothè, ubicato in via Celsa 4/5, appena dietro Piazza del Gesù a Roma e liberamente gemellato con Vivere altrimenti, nasce a partire da un’idea discussa durante il centenario della nascita di Swami Bhaktivedanta Prabhupada, fondatore dell’ISKCON (International Society for Krishna Consiousness). E' il 1996. L’idea e'di stabilire in tutto il mondo almeno 100 biblioteche in suo onore. Viene dunque fatta una richiesta di affitto di alcuni locali al Comune di Roma, in occasione di un’iniziativa comunale che abbina un programma di insegnamento nelle scuole con la realizzazione di un “tavolo interreligioso”, per creare una biblioteca. Ottenuti i locali in una posizione strategica, il progetto vede la luce con un piccolo fondo librario che consiste soprattutto nei libri di Bhaktivedantra Swami in varie lingue cui si aggiungono, nel tempo, molti libri che abbiano come soggetto i caleidoscopici aspetti della cultura indiana. Oggi al bibliothè sono disponibili per consultazione e prestito circa 4000 volumi, alcuni dei quali regalati dall’Ambascita Indiana a Roma.
«L’ispiratore del nostro progetto è stato il Dr. Singh, responsabile internazionale del Bhaktivedanta Institute che è una fondazione creata da Bhaktivedanta Swami, fondatore dell’International Society for Krishna Consiousness (ISKCON)», mi dice Enzo (Ekadasi), manager al Bibliothè. «Il Bhaktivedanta Institute ha come scopo quello di interagire con il mondo accademico e Prabhupada aveva individuato in lui una persona che potesse fare da ponte tra il mondo scientifico ed il paradigma vedico in merito a scienza, cosmogonia eccetera. Il Dr. Singh ci ha lasciati nel 2006 ma è stato molto attivo, ad esempio nell’organizzazione di conferenze internazionali dove il Bibliothè (che può essere considerato una sorta di derivazione del Bhaktivedanta Institute) veniva utilizzato come base per incontri di corollario. Il Dr. Singh era spesso a Roma e ci guidava anche a livello spirituale. Noi abbiamo trovato ispirazione anche nei suoi progetti, nelle sue vedute, nei suoi modi di operare che erano più laici/culturali che confessionali».
Per essere ammessi nella biblioteca del Centro di via Celsa è sufficiente una semplice iscrizione gratuita in ottemperanza a quanto previsto dal sistema delle biblioteche del comune di Roma cui il Bibliothè è affiliato come biblioteca di interesse locale, ricevendo un piccolo fondo annuale per incremento del patrimonio librario.
Accanto ad un’offerta culturale ne esiste una di tipo gastronomico, al Bibliothè. Ekadasi: « abbiamo un ristorante che offre cibo sattvico (puro). Del resto nella tradizione vedica il cibo ha un ruolo di grande importanza, al punto che Bhaktivedanta Swami la qualificava come “la religione della cucina”. Difatti, come nella tradizione cristiana si consacra l’Eucarestia, nella nostra tradizione si consacra il cibo per consumarlo tutti insieme in una sorta di agape. Il cibo che offriamo, dunque, è sempre consacrato e gli ingredienti sono sempre di prima classe perchè il cibo viene prima offerto al Signore. Si cucina prima di tutto per la divinità dunque tutto deve essere fresco, il cuoco deve sempre avere abiti puliti, deve aver fatto la doccia appena prima di mettersi ai fornelli eccetera.
Noi proponiamo una “cucina ayurvedica” che si rifà alle tradizioni più antiche dell’India. Abbiamo un ricettario che riporta ricette millenarie, trasmesse da maestri, da cuochi di templi antichi. Abbiamo come riferimento il testo curato da Yamuna Devi Un gusto superiore. Lei ha viaggiato in India per due anni (erano gli anni ’70) con Bhaktivedanta Swami e venivano spesso ospitato presso famiglie aristocratiche e lei non perdeva mai l’occasione per andare nelle cucine, in occasione di celebrazioni e feste, per appuntarsi tutte le “ricette delle nonne”. Noi utilizziamo quel testo da circa 20 anni».
Non solo, tornando nell’alveo dell’offerta culturale, il Bibliothè ospita cicli di conferenze annuali a tema. L’anno scorso, ad esempio, gli incontri vertevano su “arte e scienza” ed è stato curato un evento sulla celebre opera epica del Mahabharata. Quest’anno è stato realizzato un corso comparato sulla psicanalisi ed i chakras.
Ampio spazio viene lasciato alle mostre ed a corsi regolari di lingua sanscrita, astrologia vedica, Kalari-payat (arte marziale indiana), canto vedico e, saltuariamente, corsi di cucina.
«Abbiamo avuto molti artisti che hanno esposto qui, generalmente interessati alla ricerca spirituale», conclude Ekadasi. «Siamo andati a cercare, tra gli artisti noti, quelli più predisposti alla crescita spirituale attraverso l’arte e non solo. Ne abbiamo trovati diversi importanti, a livello internazionale, afferenti alle tradizioni buddista, cristiana, yogica e stiamo cercando di organizzare una mostra per ottobre che si intitoli “l’artista come rishi”, come “visionario”».

Di seguito, un’intervista a Jacopo Nuti, docente di sanscrito che, da anni, tiene i suoi corsi al Bibliothè, per spendere due parole su quella che viene generalmente considerata “la regina delle lingue indoeuropee”.

Puoi presentarti brevemente

Mi chiamo Jacopo Nuti, mi sono laureato all’università di Pisa e dal 2001 ho iniziato a lavorare nell’ambito della lingua sanscrita. Inizialmente è stato grazie ad un mio amico, un docente che mi ha invitato a tenere un corso di sanscrito presso il liceo psico-pedagogico Montale di Pontedera. Di lì ho avuto altri contatti e nel 2002 ho iniziato la mia collaborazione, regolare, a Roma, con il Bibliothè. Dunque da ottobre a giugno, da circa 8 anni, faccio dei cicli regolari di introduzione ed approfondimento della lingua sanscrita.

A livello religioso quale è la tua formazione?

Ho avuto una formazione tipicamente cristiana fino a che i miei genitori, in particolare mio padre, hanno conosciuto, negli anni ’70, il movimento di Prabhupada. Sono dunque venuto in contatto con i devoti di Krishna, fin da bambino. I miei mi hanno lasciato sempre molto libero, ad esclusione del fronte alimentare in quanto, avendo abbracciato loro il vegetarianesimo, in casa non si mangiava carne. Io in principio ho seguito loro poi la mia adesione al vegetarianesimo ha iniziato ad essere consapevole. Verso i 18 anni ho preso in seria considerazione i principi cui si ispira il movimento di Prabhupada, fondamentalmente i principi del Bhakti Yoga che consistono nel condurre una vita in armonia con le regole celesti e con la dedizione, in amore, a Dio ed alle creature (significato di bhakti). Ho approfondito dunque gli studi della tradizione monoteistica indiana che si ispira al culto di Krishna e degli avatara (Rama, Varaha, Buddha ecc) e comunque all’Essere Supremo che si manifesta come avatara (in sanscrito, letteralmente, “discesa”), con nomi differenti ma che comunque rimandano sempre a lui, all’Essere Unico da cui tutto ha origine e verso il quale tutto tende nella percezione. Per me non è stato un rinnegare le mie origini occidentali ma è stato un prosieguo bellissimo, affascinante.
Posso dunque dire che la mia formazione spirituale sia di tipo cristiano-bhaktivedantico

Tu Gesù lo consideri un avatara? C’è molto dibattito all’interno dei cristiani che guardano con interesse all’India. C’è chi sostiene che Gesù abbia viaggiato in India e vi sia anche morto. Io sono stato sulla sua presunta tomba a Srinagar (in Kashmir) ed ho letto diversi libri. Ho anche conosciuto un docente kashmiro che ha fatto ricerche approfondite al riguardo. Tu cosa ne pensi? E come si pone, al riguardo, la vostra tradizione?

Non c’è una posizione ufficiale, in tal senso per quanto la maggiorparte dei leaders del movimento dei devoti di Krishna in Occidente propende a ritenere che Gesù abbia fatto effettivamente l’esperienza in India. Personalmente voglio mantenermi aperto a questa possibilità ma mi viene da pensare che a volte alcune grandi figure spirituali siano oggetto della tendenza ad appropriarsene, anche culturalmente. Sappiamo che c’è questo “buco” nei vangeli che va dai dodici ai 30 anni di Gesù e che ha generato tantissime teorie. Io penso ci siano tante possibilità, a partire dall’ipotesi che abbia vissuto presso gli esseni. Sono teorie belle che non possono essere negate a priori. Io amo pensare che siccome lo spirito soffia dove e come vuole ed essendo Gesù il figlio prediletto di Dio non avesse bisogno di una particolare educazione. Credo dunque che abbia avuto una formazione chiaramente ebraica e la cosa bella è che ci siano dei punti di contatto tra il suo messaggio ed i Veda e la cultura indiana.

Infatti è anche questo che fa propendere per una formazione indiana di Gesù. In ambito ebraico, difatti, il concetto stesso di incarnazione era assente anzi era considerato blasfemo (al punto che il Sinedrio condannò Gesù per bestemmia) mentre, come tu mi insegni, è un concetto assolutamente orientale, riprendendo proprio quello degli avatara. Il professor Hassnain ha scritto il libro “Sulle tracce di Gesu’ l’esseno” dove cita molte fonti sanscrite.
A questo proposito, iniziamo a parlare del sanscrito. Come ti sei avvicinato a questa lingua?

Ho fatto il liceo linguistico e poi mi sono iscritto alla Facoltà di Lettere ad indirizzo linguistico, a Pisa. All’inizio cercavo la Facoltà di Filosofia Orientale ma sarei dovuto andare a Venezia o a Napoli. Era il 1990. Sono dunque rimasto a Pisa, ripiegando sulle lingue. Il secondo anno mi è stato detto da un carissimo benefattore che lì si insegnava lingua sanscrita. E’ stata una scoperta ed un innamoramento immediato. Dunque ho sostenuto tutti gli esami di sanscrito e di indologia che potevo (due per corso). Nel frattempo avevo preso contatto con il Centro Studi Bhaktivedanta che aveva iniziato a collaborare con l’Università di Siena ed i corsi sulla filosofia delle Upanishad o della Bhagavadgita che ho seguito al Centro hanno contribuito a darmi un ordine più definito in merito alla letteratura ed alla filosofia indiana. Ho dunque sposato l’aspetto linguistico del sanscrito con quello filosofico. A Villa Vrindavan (principale sede italiana dell’ISKON), a metà anni ’90, ho tenuto il mio primo corso di sanscrito per i devoti residenti. Successivamente ho tenuto altri corsi sempre a Villa Vrindavan fino a quando, dopo la laurea, è diventata una professione.

In Italia quali sono i maggiori esperti di sanscrito? Io conoscevo Giuliano Boccali e Raffaele Torella…

A livello di grammatica, filologia, linguistica indoiranica io ringrazio il mio professore, Saverio Sani che insegna all’Università di Pisa. A mio avviso a livello linguistico lui è una delle persone più preparate che ci sia. Non conosco Raffaele Torella, nel senso che non ho mai avuto, con lui, un rapporto sul campo. Al contrario, ho avuto un ottimo rapporto con Saverio Sani ed ho potuto constatarne la grande preparazione. Lui aveva compilato una grammatica sanscrita, utilizzata in diversi atenei. Quest’anno è uscito il primo, grande, dizionario sanscrito-italiano da lui coordinato che per la ricerca italiana rappresenta un fiore all’occhiello. Sino ad oggi c’era un piccolo dizionario, edizione Vallardi. Ora è uscito questo enorme che include oltre 18000 lemmi ed è un’opera straordinaria.
Il sanscrito è una lingua meravigliosa, già il nome; sanscrito significa “lingua perfetta”. Ha un alfabeto straordinario, il Devanagari che vuol dire letteralmente “la scrittura della città degli esseri celesti”. L’alfabeto ha contribuito a creare il mito del sanscrito come lingua perfetta. Essenzialmente per due motivi: c’è una corrispondenza esatta tra oralità e grafia. Il sanscrito si legge come si scrive e si scrive come si legge. Io in italiano posso dire, ad esempio, “cigno” o “cane” ed utilizzo sempre la C ma in cigno la pronuncio come suono palatale, in cane come suono gutturale. Dunque uno stesso grafema è suscettibile di suoni diversi. In sanscrito ogni suono corrisponde ad un unico segno e viceversa e questo rimanda alla sua origine. Panini, considerato il maggior linguista dell’antichità, vissuto nel quinto secolo avanti Cristo, per preservare la lingua degli antichi Veda, chiamata Vac, caratterizzata da perfezione, purezza, armonia, creò un canone linguistico all’interno del quale sistematizzò questa lingua per sottrarla all’evoluzione naturale. Da allora si parla di lingua sanscrita che dunque nasce da una lingua, orale, bellissima, purissima. In altre parole possiamo dire che nasca dal suono vedico e riservi una grandissima attenzione alla fonetica. Si crede didattiche il suono non possa essere disperso perchè è l’origine di tutto, della creazione stessa. Prima caratteristica di quest’alfabeto è che riflette in maniera fedele tutti i suoni e va detto che, in quanto “alfabeto fonetico”, rappresenta la base delle ricerche più moderne sulla fonetica. Inoltre, al contrario del nostro alfabeto, derivato da quello latino che si rifaceva a quello greco ed ha un ordine casuale, l’alfabeto sanscrito è ordinato in questo modo: prima vengono tutte le vocali poi le consonanti, a seconda della successione degli organi fonatori, da quelli più profondi a quelli più esterni. E’ come se seguisse, questo alfabeto, la colonna d’aria e vedesse dove si pronunciano i suoni. Dunque prima vengono i suoni gutturali, che vengono pronunciati nella gola poi, seguendo la colonna d’aria, i suoni palatali, pronunciati nel palato. Dopo, i suoni cacuminali, pronunciati nella parte alta del palato e, infine, i dentali ed i labiali. La struttura stessa della lingua è straordinaria. Il nome presenta 8 casi. Noi conosciamo i 6 casi del latino, i 5 del greco. Gli 8 casi sono: nominativo, vocativo, accusativo, strumentale, dativo, ablativo, genitivo, locativo. Ci sono poi tre numeri: singolare, duale, plurale e tre generi: maschile, femminile e neutro.
Ci possono essere nomi che terminano in vocale: Krishna, Rama, Agni o nomi che terminano in consonate: Vac (parola), manas (mente).

Il sanscrito può essere considerata la regina delle lingue indoeuropee o, come sostengono alcuni studiosi, l’indoeuropeo stesso?

L’indoeuropeo è un concetto nato proprio con la scoperta del sanscrito. A livello ufficiale il sanscrito entra in Europa con la colonizzazione dell’India da parte del governo britannico. I primi indologi e sanscritisti famosi sono inglesi e tedeschi. La scoperta del sanscrito cambia la storia. Sino ad allora si parlava di una famiglia linguistica europea. Con la scoperta del sanscrito si arriva a parlare di una famiglia linguistica indoeuropea. Si vede che ci sono delle parole, nel lessico, che sono identiche non solo nelle lingue europee ma anche nelle lingue indo-iraniche. Ad esempio, se del lessico fondamentale dico “madre”, ho mater in latino, mother in inglese, matar in sanscrito. All’italiano padre corrisponde il latino pater, l’inglese father ed il sanscrito pitar. A Fratello: frater, brother e, in sanscrito, bhratar. Dunque, che ci sia una parentela è abbastanza evidente. La conoscenza del sanscrito portò a pensare ad una famiglia linguistica in quanto c’erano lingue tra loro sorelle. Sorse in quel periodo il dibattito in merito a quale fosse la lingua madre, da cui originavano le altre lingue della famiglia indoeuropea. Molti studiosi romantici (il romantico, a differenza del classicista, ricercava le proprie radici) si concentrarono sulla ricerca della lingua e della cultura originarie, giungendo spesso a sostenere che fossero riconducibili al sanscrito. La comunità scientifica, tuttavia, non ha mai accettato queste tesi perchè non si potevano dimostrare in maniera empirica. Venne dunque coniato, a tavolino, il concetto di indoeuropeo, una lingua che si ipotizza si sia estinta. C’è da rilevare che non c’è nessuna traccia della sua esistenza. E’ stata ricostruita sulla base della comparazione linguistica. Per questo credo sia più corretto parlare di famiglia linguistica indoeuropea nella quale il sanscrito ha un ruolo fondamentale in quanto gli studiosi ritengono che sia, comunque, la sorella maggiore delle altre lingue.

Sembra che la grammatica sanscrita e la grammatica greca siano molto simili. Ti risulta?

Certamente sono simili. Ci sono i casi, la struttura del verbo è molto simile. Abbiamo, nel sanscrito, i tempi dell’Aoristo, del perfetto, dell’Imperfetto che sono molto simili al tempo greco.

Non si può ipotizzare, a livello grammaticale, un’influenza del sanscrito sul greco?

E’ un’ipotesi suggestiva ma non ne so assolutamente nulla. A livello di ricerca non è presa nemmeno in considerazione.

Oggi il sanscrito è ancora parlato in India?

Sì, da cerchie ristrette di studiosi. Si studia ancora a scuola, in India.

In Italia e nel mondo sta aumentando lo studio del sanscrito?

Senz’altro sì. E’ recentemente uscito un articolo su La Repubblica, a seguito dell’uscita del dizionario cui ti facevo cenno prima. Su questo articolo il professor Sani sostiene che, rispetto agli anni ’90, gli studenti di sanscrito sono oggi decuplicati. Probabilmente per una concomitanza di fattori. Merita segnalare che circa la metà dei partecipanti ai miei corsi vengono dagli ambienti dello yoga che ha avuto un boom negli ultimi anni.

Mi vuoi dire qualcosa riguardo i numeri sanscriti?

Quelli che noi chiamiamo numeri arabi, gli arabi ce li hanno trasmessi nel medioevo. La numerologia araba ha inciso profondamente nei costumi della società del tempo. Sino ad allora si utilizzavano i numeri romani che altro non erano che lettere dell’alfabeto latino. L’utilizzo era veramente precario. Ne venivano fuori calcoli generalmente macchinosi ed imperfetti. I numeri cosiddetti arabi hanno rappresentato una rivoluzione culturale in Europa, dando impulso alle scienze moderne ed allo sviluppo poderoso dei commerci. Si è scoperto che questi numeri che noi abbiamo chiamato arabi sono, in realtà, di origine indiana. La cosa è accertata al punto che i nuovi libri di storia non parlano più di numeri arabi ma di numeri indo-arabi. Dunque le 10 cifre (dall’uno al nove e lo zero) che posizionate in modo diverso possono dare luogo alle decine, alle centinaia eccetera sono di origine indiana.

Quali sono a tuo parere le ragioni per avventurarsi nello studio del sanscrito?

Studiare il sanscrito è un po’ ritrovare le proprie origini. Una lingua è sempre il riflesso di un modo di pensare, di una cultura, una civiltà. Studiare la lingua sanscrita significa studiare una lingua che ha espresso valori altissimi quali quelli della civiltà antico-indiana che ha dato al mondo delle opere sublimi come il Mahabharata, il Ramayana dove ci sono dei valori universali che fanno parte della cosiddetta filosofia perenne della quale viene detto che il testo maggiormente rappresentativo sia la Bhagavadgita. Lo sosteneva lo stesso Aldous Huxley. Dunque studiare il sanscrito può dare l’opportunità di ritrovare dei valori dei quali purtroppo oggi la nostra società è abbastanza carente. Oltre al fatto che per chi ha interessi puramente linguistici è una scoperta continua che rivela come le lingue indoeuropee siano strettamente imparentate. Ad esempio se dico chirurgo o chiromante, posso ricondurlo al greco “cheir”, mano. Ma se so che in sanscrito mano si dice “cara”, davvero mi posso rendere conto quanto le parole che utilizziamo siano, in qualche modo, sempre le stesse. Mutano nella forma ma nella loro radici sono sempre le stesse. Noi nel nostro quotidiano utilizziamo un numero enorme di parole che hanno una radice sanscrita.

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