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venerdì 25 marzo 2011

L’India e l’incontro con l’Occidente. Vicende storiche, culti, racconti di viaggio, parte IX.

Torniamo nuovamente sulla tesi di Elonora Luisi. Oggi verra' considerata la dimensione ritualistica indiana. Per accedere alle sezioni precedenti, cliccare qui!

I riti della vita (samskara)
Nella vita di ogni hindù gli atti rituali costituiscono una componente fondamentale della loro religiosità e sono chiamati “samskara”, che possiamo affermare corrispondano ai nostri “sacramenti”.
Nell’antichità, a partire dal periodo vedico sono elencate alcune decina di samskara, ma più recentemente i vari manuali sui rituali ritengono che i principali siano sedici .
I samskara hanno in comune alcune componenti rituali come per esempio la scelta di un giorno propizio secondo gli astri, il compimento delle oblazioni nel fuoco domestico. È necessario un bagno rituale prima dell’inizio del rito, la delimitazione di uno spazio con linee colorate e purificato con lo sterco di vacca sul quale vengono poste due brocche d’acqua e altri oggetti. Nell’area sacra è seduto il sacrificante, con la moglie alla destra e non lontano siedono i brahmani.
I primi due samskara riguardano l’embrione, mentre il terzo la madre.
Il primo samskara detto garbhadhana, che significa “concepimento”, di solito viene eseguito una sola volta o dopo il ciclo mestruale della donna, nel periodo fertile, fino alla nascita del primo figlio.
Consiste nel pronunciare una serie di mantra sacri con lo scopo di un buon fine del rapporto coniugale e del concepimento e nella pratica di libagioni al fuoco domestico. Fin dall’antichità in tutta l’India è stata attribuita molta importanza alla prole maschile, in quanto avrebbe continuato i riti in onore degli avi.
Il secondo samskara detto pumsavana, che significa “che fa nascere un maschio”, viene celebrato nel terzo mese di gravidanza, quando la Luna è in congiunzione con una costellazione maschile.
La madre deve digiunare e compiere un abluzione, poi bere un liquido a base di cagliata o una spremuta di germogli assunta tramite la narice destra.
Il terzo samskara prenatale chiamato mantonnayana, ossia “partizione dei capelli della madre”, è una festa in onore del dio Soma, durante la quale il marito traccia una nuova ripartizione dei capelli della moglie.
Altri sei samskara riguardano l’infanzia a partire dal concepimento.
Un mese prima della nascita hanno inizio i riti: viene scelta una stanza per la partoriente e si cercano attenzioni per cacciare gli spiriti maligni. Dopo il parto, prima del taglio del cordone ombelicale, il padre prende il figlio e lo porta davanti al fuoco sacrificale e dopo aver pronunciato apposite formule versa sul bimbo burro fuso e siero di latte; recita nell’orecchio destro del neonato la parola “vak”, che vuol dire “parola”, con lo scopo di creare intelligenza.
Infine il bambino lecca un fluido di burro fuso, latte e miele e gli è imposto il nome che nessuno deve sapere, poi viene condotto dalla madre, che lo mette al suo seno.
Quando il neonato compie il decimo o dodicesimo giorni di vita avviene la cerimonia per l’imposizione del nome, che può essere scelto in base al sesso e alla casta. Di solito è il padre che pronuncia il nome nell’orecchio destro del piccolo dopo aver ottenuto l’approvazione dei brahmani.
Altri due samskara di minore importanza vengono svolti quando il neonato compie quattro e sei mesi di vita. Nel terzo anno viene invece compiuto un importante samskara che è quello del taglio dei capelli, nel quale viene rasata tutta la testa a eccezione di una piccola ciocca che rappresenta la lunga vita.
La “foratura delle orecchie” è l’ultimo samskara compiuto durante l’infanzia.
La cerimonia dell’inizio dell’apprendimento viene eseguita al quinto anno di vita e consiste nella prima istruzione ricevuta. Per questo evento i mesi più propizi sono fra novembre e dicembre e fra maggio-giugno, perché negli altri periodi secondo la mitologia Visnu dorme.
La prima lezione che l’alunno riceve dal maestro è lo studio dell’alfabeto.
L’upanayana è uno dei più antichi e importanti samskara, che risale al periodo indo-iranico e consiste nel condurre il fanciullo al maestro per l’insegnamento dei Veda. Si ritiene che questa cerimonia sia riservata solo ai maschi delle prime tre caste, nel Codice di Manu viene indicata l’età per la cerimonia che deve essere otto anni per i brahamani, undici per i ksatriya e dodici per i vaisya. In passato è il padre che si occupa dell’educazione religiosa dl figlio, poi con il passare del tempo ha assunto un ruolo centrale la figura del maestro e la serie di cerimonie che accompagnano l’iniziazione. I brahmani devono cominciare l’iniziazione nella primavera, gli ksatriya in estate e i vaisya in autunno.
Nei Purana viene descritta la cerimonia che ha luogo sotto un baldacchino preceduta da riti in favore del dio Ganesh e altre divinità. Il ragazzo deve trascorrere la notte in silenzio e dopo aver mangiato insieme alla madre, si reca sotto in baldacchino dove è stato preparato il fuoco sacro.
I brahamani rasano il ragazzo eccetto una piccola ciocca di capelli sul capo e poi avviene la purificazione tramite dei bagni rituali. Una volta terminato il bagno, il giovane riceve delle vesti per coprire le parti intime, di solito di cotone bianco, attorno alla vita gli viene legato un triplice cordoncino che è diventato il simbolo dei tre Veda. In seguito il maestro compie le oblazioni al fuoco sacro. La cerimonia continua con la recitazione di mantra, poi il maestro riempie in segno di purificazione le mani dell’allievo con acqua. L’iniziato deve rivolgere lo sguardo verso il Sole e compiere un movimento rotatorio su se stesso portando la mano sul cuore e dopo che è salito con il piede destro sopra una pietra del fuoco sacro, deve stringere la mano del maestro che in seguito gli lega il cordoncino sacro dalla spalla sinistra al fianco destro, simbolo del suo nuovo status di “rigenerato”. Oggi soltanto i brahmani portano il cordoncino sacro.
Il maestro insegna al discepolo una preghiera vedica che deve essere ripetuta, infine il ragazzo riceve un bastone come simbolo della condizione di studente religioso che si assicura il cibo con la questua. La cerimonia si conclude con le offerte al fuoco sacro da parte del giovane.
Il Vedarambha, che è la successiva samksara dopo la upanayana, consiste nello studio dei Veda.
Durante la cerimonia, che per la casta dei brahmani si compie quando il ragazzo ha sedici anni, avviene la rasatura della barba e si rinnova il voto di castità che dura per tutto il periodo degli studi.
Il samskara del matrimonio detto vivaha è uno dei più importanti. Per sposarsi bisogna appartenere alla stessa casta, ma è anche consentito che l’uomo sposi una donna di casta inferiore, solo in seguito grazie a una normativa britannica è stato possibile per le donne sposare un marito di casta inferiore. A seconda delle epoche l’età per il matrimonio è variata: nel medioevo viene considerato indispensabile per le donne ed è stata notevolmente abbassata l’età, una bambina di otto nove anni di casta brahmana può già sposarsi; soltanto nel 1938 è stata stabilita a quattordici anni l’età minima per le ragazze di contrarre matrimonio. I genitori degli sposi di solito combinano il matrimonio in base a svariati criteri, tra cui l’importanza attribuita all’astrologia ha assunto anche oggi un ruolo importante.
Vengono fissate otto forme di matrimonio secondo la trattistica sul dharma, ma solo i primi quattro sono conformi alla casta dei brahmana e prevedono che la tutela sulla fanciulla passi dal padre al futuro marito.
Nella prima forma di matrimonio il padre concede in dono la figlia a un uomo colto che conosce i Veda; nella seconda forma la fanciulla viene donata a un sacerdote che compie un sacrificio e la ragazza rappresenta il compenso per il sacrificio stesso; nella terza forma il padre dona la figlia ancora a un sacerdote che offre al padre due bovini; nella quarta forma la figlia viene donata dal padre a una persona rispettabile con la quale può compiere i doveri religiosi; la quinta forma prevede che la figlia sia data allo sposo dopo il pagamento di denaro ai familiari; la sesta forma è quella in cui il matrimonio avviene con il consenso di entrambi gli sposi; la settima forma è quella in cui, dopo l’uccisione dei parenti, uno spasimante rapisce con la forza la fanciulla; l’ottava forma matrimoniale consiste nello sposare con l’inganno una fanciulla mentre dorme.
Nella nostra epoca sono rimasti in uso soltanto la prima e la quinta forma di matrimonio.
Oggi esiste la consuetudine da parte del padre della sposa di dover versare una somma di denaro come dote al marito e questo fatto ha creato diversi problemi nell’India moderna.
La cerimonia matrimoniale è molto complessa seguita da numerosi rituali e può durare diversi giorni. Lo sposo invia al padre dei messaggeri per chiedere in sposa la fanciulla. Se il padre acconsente si fissa la data della celebrazione delle nozze, che di solito avviene un giorno di Luna crescente. Prima che si svolga il matrimonio viene compiuto un rito che consiste nel prendere della terra per far crescere dei germogli dentro un cesto di bambù , che serviranno come decorazioni e come buon auspicio. All’aperto verrà eretto un baldacchino al di sotto del quale verrà preparato il fuoco sacro per le oblazioni, mentre il padre dopo le abluzioni indosserà abiti nuovi e pronuncerà formule augurali. Fra i preparativi per il matrimonio deve rientrare anche il rito in onore del dio Ganesa.
Il giorno dello sposalizio gli sposi dopo il bagno rituale devono recitare dei versi vedici e altre preghiere. Il sacerdote pronuncia la benedizione, mentre lo sposo adorno di fiori si reca a casa della sposa, dove viene fatto sedere, gli vengono lavati i piedi, gli viene offerta acqua, un liquido a base di miele e una vacca. I due ragazzi vengono unti dal padre della giovane poi escono all’aperto sotto il baldacchino dove sono separati da un velo che verrà rimosso in seguito per permettere di vedersi.
Il dono della ragazza allo sposo da parte del padre di lei rappresenta il punto centrale della cerimonia, durante la quale viene pronunciato un inno a Kama. La ragazza indossa al polso un cordoncino per proteggerla dalle impurità. Dopo che è pronunciata la formula che sancisce la loro unione, lo sposo prende la mano della sposa e annuncia che lo scopo principale della loro unione è la procreazione. I due compiono in senso orario un giro intorno al fuoco sacro, poi un oblazione con grani fritti e burro. Con il “rito dei sette passi”, che consiste nel compimento di sette passi a nord del fuoco sacro, gli sposi sono considerati marito e moglie. Dopo che il capo della sposa è stato cosparso di acqua, lo sposo le tocca il cuore e pronuncia un mantra con lo scopo di un’unione duratura, infine la scriminatura della sposa viene colorata di rosso. Dopo la recitazione di preghiere la sposa guarda verso il Sole, oppure se è notte lo sposo alza il dito verso la stella polare per confermare la sua decisione. Al termine della cerimonia l’officiante riceve in dono una vacca come ricompensa. Quando la cerimonia è finita gli sposi si recano a casa dello sposo, che dovrà attizzare il fuoco sacro simbolo della vita e della continuità nel matrimonio.
L’inizio della vita coniugale prevede un rito al fuoco sacro che consiste nel gettare otto offerte dentro il fuoco e portare doni a numerose divinità hindù.
L’ultimo dei samskara chiamato antyesti è quello che prevede l’insieme dei riti funebri .
Nella religione indiana la forma più comune di rito funebre sembra sia stata fin dall’antichità la cremazione, ci risulta che la sepoltura venisse praticata in passato solo per le persone ritenute sante o per i bambini. Anche il rito funebre come i precedenti viene accompagnato dalla recitazione di mantra vedici tratti dal Rg-Veda, con l’eccezione se il defunto sia una donna o un sudra. Con il tempo è declinata l’usanza di donare offerte al fuoco quando muore un parente, ma un rituale ancora oggi in uso prevede che venga versata una goccia d’acqua santa, per esempio quella del Gange, nella bocca del moribondo insieme ad alcune foglie di un basilico sacro chiamato tulsi. Il corpo del defunto viene sdraiato sopra una barella e intanto si offre in dono una vacca al brahamano, perché esiste la credenza che l’animale aiuti il morto ad attraversare il fiume per raggiungere l’oltretomba.
La barella con il defunto che indossa un abito nuovo e ghirlande di fiori, viene accompagnato dal figlio maschio e dai parenti che intonano canti in onore di dio al luogo della cremazione.
Un volta arrivati viene costruita la pira, intanto che il corpo del defunto viene lavato e spruzzato con burro fuso e poi adagiato sulla pira, mentre i parenti recitano preghiere e mantra e offrono cibo.
Poi avviene la cremazione che è ritenuta un offerta al fuoco capace di accompagnare il morto fino al cielo. Il fuoco viene acceso dal figlio maschio primogenito, che continua la recitazione di preghiere, invece i parenti compiono un’ abluzione e un’offerta all’acqua e gettano chicchi di riso bollito per gli uccelli, secondo la credenza che i morti avrebbero assunto le sembianze di uccelli.
Il lutto dei familiari dura da dieci giorni fino a un mese, questo varia a seconda del sesso, dell’età e della casta del defunto. Finito questo periodo si raccolgono le ceneri, che vengono conservate in un’urna oppure seppellite sotto terra, anche se oggi si preferisce disperderle in un fiume sacro.
Inoltre si devono compiere delle offerte che consistono in pallottole di riso, che secondo la tradizione serviranno al defunto nell’oltretomba, per la durata di dodici giorni dopo che è avvenuto il rito funebre. Il rito si conclude con l’offerta di cibo ai bramani, che durerà per un anno, il tempo che servirà al parente per raggiungere il regno dei morti o regno di Yama.
Un altro rito connesso a quello funebre è quello che si compie il dodicesimo giorno dopo la cremazione ed è legato agli antenati, in quanto si ritiene che serva a unire lo spirito del morto con quello degli antenati. Questo rituale viene compiuto per entrambi i genitori o i per i bisnonni, sono escluse le donne e i samnyasin. Esiste la credenza che i doni portati ai brahmani saranno di aiuto ai propri morti. Infatti durante la cerimonia vengono offerte ai brahmani acqua, riso cotto, miele, sesamo, cereali e altri doni. Si pensa che grazie a queste offerte il defunto si congiunga con gli antenati. Una caratteristica del rito funebre è la pratica della sati, dove le vedove di immolano sulla pira ardente insieme al marito. Numerosi sono state le normative che hanno dichiarato questa pratica illegale, ma ancora oggi soprattutto nelle zone rurali questa usanza è ancora praticata.

I cinque grandi sacrifici
Questi rituali sono stati celebrati fin dall’epoca vedica in relazione alla necessità di rimuovere il peccato che un individuo involontariamente ha commesso uccidendo piccoli esseri viventi con l’uso del fuoco, della scopa, della macina, del mortaio, della brocca.
Nella tradizione brahamanica si ritiene che nell’arco della sua vita l’individuo debba rimediare a cinque debiti tramite dei riti sacrificali.
Il primo debito è quello che deriva dalla rivelazione dei Veda e viene pagato con lo studio a memoria di tutti i testi sacri e nella cosiddetta japa, ossia la preghiera recitata fra sé. Questo rituale di solito viene praticato soltanto da gente colta come i brahmani .
Il secondo debito è quello nei confronti degli dei al quale si pone rimedio gettando schegge di legno unte di burro nel fuoco, con il passare del tempo questo sacrificio è stato sostituito con quello della deva-puja o culto individuale, durante la quale il fedele davanti alle immagini divine compie delle cerimonie con offerte di fiori, incensi, acqua.
Con la nascita di un figlio maschio si paga il debito nei confronti degli antenati, perché il maschio continuerà la stirpe degli antenati. Il sacrificio verso gli antenati è costituito da una serie di offerte che assicureranno benessere alla loro permanenza nell’aldilà, per esempio con piccole libagioni d’acqua o porzioni di cibo cotto.
Per il debito nei confronti di tutti gli esseri viventi si deve offrire riso cotto purificato con l’acqua e gettato al suolo.
Il quinto sacrificio è quello agli uomini e questo debito si annulla con l’ospitalità dei nostri simili. Di solito l’ospite preferito è di casta elevata, verrà accolto all’ingresso di casa, gli verrà offerta dell’acqua per lavarsi i piedi, una sedia, una lampada, cibo e un letto per riposare e quando partirà sarà accompagnato sulla strada.
Una forma semplificata dell’insieme di questi rituali prevede per il primo sacrificio un bastoncino di combustibile come dono al fuoco, per il secondo sacrificio gettare acqua per gli avi, per il terzo sacrificio offrire una palla di riso, per il quarto sacrificio offrire cibo ai brahmani, per l’ultimo sacrificio basta memorizzare un verso dei Veda.

I riti quotidiani
I rituali religiosi vengono svolti nell’arco di tutta la giornata, che inizia ad essere suddivisa fin dall’epoca dei Rg-Veda in alba, mattino, mezzogiorno, pomeriggio e sera. Il calendario hindù riveste un ruolo di rilievo in quanto per la pratica del rituale religioso è fondamentale scegliere un tempo propizio. Il calendario hindù è un calendario lunare che si basa sulla data lunare, sul giorno della settimana, sull’asterismo, sulla congiunzione astronomica e sulla divisione astrologica del giorno.
Il devoto hindù si deve alzare prima dell’alba e il suo primo compito è la riflessione sul dharma e sui Veda, poi lavarsi il viso pronunciando una preghiera.
Dopo aver compiuto i bisogni fisiologici, si procede alla pulizia, che deve avvenire con la mano sinistra, utilizzando terra o sabbia e poi acqua.
Per quanto riguarda l’igiene personale bisogna lavarsi i piedi e le mani e sciacquarsi dodici volte la bocca con l’acqua e in caso di una sua assenza si può toccare l’orecchio destro: questo gesto ha assunto un valore di purificazione.
La procedura seguente riguarda la pulizia dei denti, che deve avvenire con un ramoscello di pianta che viene utilizzato come fosse uno spazzolino, ad eccezione dei giorni in cui questo atto è proibito dai testi sacri. In seguito si devono compiere le abluzioni che consentono il compimento dei riti come l’oblazione al fuoco o la ripetizione di formule sacre. Sono previste due abluzioni, una all’alba e l’altra a mezzogiorno per i brahmani e tre per gli asceti. Le abluzioni devono essere compiute con acqua fredda, la migliore è quella del fiume, ma può essere usata anche l’acqua di un tempio, di un lago o quella che viene da un pozzo.
Durante il bagno avviene la recitazione di mantra e preghiere e si deve indossare solo una veste che copre le parti intime. Durante l’immersione si deve assumere la posizione eretta e si deve eseguire l’offerta dell’acqua: con le palme verso l’alto di uniscono le mani e si raccoglie l’acqua e la si getta nella corrente. Una volta terminata l’abluzione, il devoto indossa una veste nuova e pulita e si deve tracciare sulla fronte con pasta di sandalo il segno della sua appartenenza religiosa.
Il rito successivo è quello della recitazione della preghiera mormorata o japa, che si può eseguire anche con un rosario e può essere recitata a voce alta, a voce bassa, in silenzio o mentalmente.
Con il passare degli anni i mantra vedici sono stati abbandonati e sono state adottare preghiere tratte dai Purana e dai Tantra, oppure i fedeli hanno iniziato a
ripetere dei mantra in onore delle divinità: il più famoso è quello in onore del dio Shiva “ Om namah sivaya” , che tradotto significa “in onore al dio Shiva”.
L’oblazione al fuoco è uno dei rituali più antichi e si deve compiere due volte al giorno: all’alba e alla sera. Secondo l’antica tradizione i brahamana devono accendere i tre fuochi sacri e compiere un offerta con burro fuso, ma questa usanza nell’India moderna è quasi del tutto scomparsa. Nelle case comuni il fuoco sacro si trova nei pressi del fuoco domestico e in caso di matrimonio gli sposi devono conservare il fuoco sacro della cerimonia nuziale in un recipiente, per poi collocarlo nella loro casa. Tutti questi riti sono distribuiti nella prima parte della giornata, mentre la seconda parte deve essere dedicata allo studio dei Veda, alla raccolta di oggetti per il culto della divinità e per cercare l’erba sacra. La terza parte è dedicata al lavoro per il mantenimento della famiglia e termina intorno al mezzogiorno, quando si deve compiere un’altra abluzione e poi è previsto il culto devozionale del proprio dio che è detto deva-puja.