TRANSUMANZA

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giovedì 11 febbraio 2010

Torniamo in Oriente: itinerari tamil (prima parte).

E’ il 31 Gennaio 2009. Partiamo dall’headquarters di Sarvodaya ad un orario improponibile: le 4 di mattina! In strada i soliti cani, padroni della notte! Siamo Io, Gabriele, il Dr. Mariappan, editore del magazine Sarvodaya Talisman ed un professore tamil che, per rispettarne l’anonimato (volendone parlare in libertà), chiamerò N.
Non mi dispiace lasciare lo Sri Lanka, dopo quasi tre mesi di permanenza (e pensare che erano previste 2/3 settimane appena).
Voliamo su Tiruchirappalli (Trichy), lasciando Gabriele all’aeroporto a prendere il volo successivo al nostro. Arriviamo intorno alle 8.00/9.00 di mattina. Ci fermiamo a mangiare in un discreto ristorante. In Tamil Nadu non si usano i piatti ma foglie di banano. Le portano, in genere, bagnate, in segno di un servizio pulito. Tuttavia, la leggera patina di acqua che le ricopre, può rappresentare un rischio da non sottovalutare. Come molti lettori sapranno, nell’acqua, in Asia come del resto in Africa ed in America Latina, possono trovare ricetto parassiti come la Giardia e l’Ameba che possono avere conseguenze poco simpatiche (in particolare l’Ameba).
È buona norma, dunque, asciugare con un fazzoletto le foglie bagnate.
Non si usano, in genere, posate, come del resto in Sri Lanka.
Mangiamo un masala dosa, piatto tipico tamil, una crêpe preparata con una pastella a base di riso e lenticchie e del puri (frittelle di farina di ceci fritte in olio di mostarda o di semi). Sorprendo un topo di abbondanti dimensioni medie uscire da un buco sul marciapiede ― nello spazio verandato in cui stiamo mangiando — per poi tornare, sollecito, a nascondersi. Siamo di nuovo in India! Da Trichy dobbiamo raggiungere l’Università Rurale di Gandhigram, poco distante da una cittadina-non luogo (Dindigul) e dalla più celebre Madurai (celebre, in passato, come "l'Atene dell'Asia").
Non è un viaggio da poco! Io ho l’intera nottata sulle spalle; si è fatto tardi la sera e tra mezzanotte e le tre, orario a cui avevo puntato la sveglia, non sono riuscito a chiudere occhio.
Resto solo con il professor N., dopo aver messo il Dr. Mariappan su un taxi.
Prendiamo un autobus governativo, non senza avere le solite difficoltà per sistemare i bagagli. Gli autobus governativi, in India, non hanno difatti spazi preposti oltre a nicchie anguste sopra i sedili. Questo vale anche nel caso di autobus che coprano distanze piuttosto lunghe e che dunque, si presume, debbano ospitare persone con un minimo di effetti personali. Bisogna dunque adattarsi e fare il giusto affidamento sulla compiacenza degli altri passeggeri. Lo spazio non abbonda di certo, al contrario degli esseri umani, costantemente in sovrannumero.
La cosa antipatica è che l’autobus non arriva diretto nell’area di Gandhigram. Bisogna cambiare. Scendiamo dunque in un paese affollato, sporco, maleodorante. Dobbiamo aspettare sotto il sole. Il professore, senza grande ascendente, si muove tra vetture vecchie e rantolanti, mastodonti di lamiera, cercando di combinare un passaggio. Non riesco a capire quale problema ci sia, fatto sta che diversi guidatori ci negano l’accesso sull’autobus. Gli propongo di prendere un tuk tuk, sono disposto a pagarlo io, per quanto sia sprovvisto di rupie indiane e debba prelevare in qualche banca. «Non è necessario!», mi dice. Gli rispondo che almeno, mentre lui si adopera flemmaticamente senza risultato per ottenere un passaggio, posso raggiungere rapidamente una banca e prelevare. Sono senza un soldo e non è una situazione che ami particolarmente.
«Più tardi», mi risponde. Mi sembra di intuire (e ne avrò presto conferma) quale sia la sua tattica: rendermi completamente dipendente da lui. Mi è capitato diverse volte di imbattermi in questo genere di comportamenti. Un occidentale per amico è una grande risorsa in India. È motivo di vanto e “fa status”. È bene dunque tenerselo stretto, vincolandolo a doppia mandata ed è questa esattamente la strategia per farlo allontanare! Riusciamo a salire su un autobus con i nostri bagagli. Si sta pressati peggio delle sardine in scatola ma il tragitto non è lungo. Lui mi dice: «avremo potuto prendere un taxi ma così tu hai l’opportunità di vedere da vicino la realtà indiana» (scusa più stupida non la poteva davvero trovare!). Arriviamo poco distante da Gandhigram. A questo punto bisogna prendere un tuk tuk. Lo prendiamo per appena 500 metri. Arriviamo davanti ad una casa a due piani, rosa. «Per essere un ostello universitario (era difatti previsto fosse quella la mia accommodation) è ben misero!», penso tra me.
Varcato il cancello N. mi fa: «per ora stiamo qui, a casa mia, in ostello possiamo andare dopo!» ed il tentacolo della piovra fa un alro giro di stretta; senza soldi, a casa sua, senza sapere esattamente dove sia l’ostello!
N. ha una bella casa. Semplice ma bella. Mi mostra una stanza angusta con letto-tavolaccio durissimo ed il materassino intriso di polvere. Sarà dura, lo so! Mangiamo un cibo semplice, sattvico (puro, non carneo e non eccitante), lui, del resto, è un gandhiano militante (sai che festa!).
Mi berrei volentieri un bicchiere di vino bianco, ne sento davvero nostalgia in questo momento! Mangiamo il pasto frugalissimo accuditi dalla moglie di lui, perfetta donna di casa che infatti vibra di una pulizia semplice, senza utilizzo di detersivi ed elettrodomesitici sofisticati e, tuttavia, autentica.
Il piccolo soggiorno di casa, in transito tra l’ingresso e la cucina, ha poltrone che sembrano comprate da appena qualche giorno. Non tradiscono la minima usura mentre i mobili sembrano essere stati spolverati la mattina stessa, come le tante suppellettili; statuine di diversi maestri spirituali tra cui non può mancare Gandhi ma anche i due Sai Baba: Shirdi Sai Baba, quello storico, venerato in tutta l’India e Satya Sai Baba, sedicente reincarnazione del primo, guru che ha avuto grande successo in Occidente, finanche nella famiglia Craxi. Mi ritiro per tentare di riposare. La stanza, in verità, non è solo a mia disposizione. Sarebbe la stanza del figlio di circa 20 anni che mi ritroverò spesso attorno, successivamente, senza essere mai avvertito da un precedente, educato, bussare. In risposta, io avrò l’accortezza di chiudermi a chiave, di modo che dovrà bussare per forza!
Il letto è scomodo da morire ma mi addormento presto. Mi sveglio con i rumori del figlio che traffica in stanza. Esco in soggiorno. C’è un amico del professore, un polacco obeso che ha una fabbrica in paese. Mi trovo la serata completamente pianificata. Bisogna andare al Rotary Club di Dindigul, poi nelle campagne circostanti per un giro di parties (è pur sempre il 31 Gennaio). La sede del Rotary è piuttosto dimessa ma ci offrono dell’ottimo cibo tamil. Inizia poi il giro dei parties. Ci muoviamo con la macchina del polacco, un SUV con musichetta, un po’ snervante, abbinata alla retromarcia. Raggiungiamo una casa nelle colline circostanti. Ci abitano una coppia di olandesi con abbondante servitù. La serata sembra davvero moscia. Saranno una decina di persone sedute ad un lungo tavolo su di una terrazza vagamente rutilante di modeste luminarie. Un laptop collegato a buone casse diffonde musica lirica che contribuisce a creare un’atmosfera tardo-coloniale. Tra gli ospiti ci sono un paio di anziane sorelle malesi, una delle quali inizia a parlarmi ossessivamente del suo paese. Mi offrono whiskey e coca cola. I discorsi non decollano. Sostanzialmente ci si annoia! Per fortuna il polacco prende una buona iniziativa, si alza ed in modo gentile ma deciso avvia un’operazione di congedo. Ci aspetta un altro party, decisamente più vivace! Raggiungiamo un’altra, grande abitazione, adibita anche a resort. Il grande cancello si apre lentamente ad accogliere il SUV ed anche in questo caso non si è risparmiato sulla servitù. Ci accolgono tre o quattro portieri tamil in tradizionale abito elegante, con copricapo versione barocca ed annodata di un turbante. Il SUV si inerpica lungo una strada sterrata, fino a raggiungere il resort, spavaldamente rutilante questa volta. Si sente la voce concitata di un’animatrice. È su un palco all’aperto, in tutta la sua imponenza matronale a strepitare simpaticamente in un microfono. Alle sue spalle casse ciclopiche rimandano, nelle pause dell’animazione, una discreta musica techno. Il proprietario del resort è un imprenditore musulmano: Saleem. Sembra avere il volto segnato da un passato faticoso, probabilmente travagliato.
«Saleem ci sa fare davvero», mi dice il polacco, «è un ottimo businessman!».
L’animatrice organizza giochi simpatico sul palco. È una dimensione da Club Med a tenuta casta. Uomini e donne non possono giocare e ballare assieme. Ci sono giiochi e momenti di ballo separati. It is India! Passiamo comunque una bella serata. Saleem è molto sollecito nei miei confronti. Vuole mostrarmi una lealtà maschile tutta musulmana. Morale: mi chiede di continuo cosa voglia bere, riempiendomi di whiskey e coca cola. Comprendo subito che faccio bene a bere lentamente se non voglio ritrovarmi, per compiacenza eccessiva con Saleem, ubriaco fradicio. Torniamo a casa del professore alle 2 di mattina, orario più che decente per essere un capodanno! Poche ore di riposo sul tavolaccio e poi, sussunto nella pianificazione sua e del polacco, ci aspetta, in mattinata, la visita ad un posto che credo si possa definire quantomeno inquietante. Se ne parlerà in un prossimo post; restate in linea!