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sabato 27 ottobre 2012

Comunità e società: riflessioni sulla vita comunitaria del nuovo millenio.


Di seguito un'intervista di Albero Re, laureando in sociologia alla statale di Milano a Manuel Olivares, autore del testo Comuni, comunità, ecovillaggi. In fotografia il sociologo tedesco Ferdinand Tönnies, autore, nel 1887, del testo Comunità e società.
Buona lettura!

- Raccontami un po’ di te, del tuo percorso di studi e di quando e come hai iniziato ad approcciarti al fenomeno delle comunità intenzionali e degli ecovillaggi.

Mi sono laureato in sociologia nel 1999 con una tesi sul campo su Osho Rajneesh ed i neo-sannyasin. Osho Rajneesh, in uno dei libri scritti con i suoi discorsi (La grande sfida), parla del superamento degli stati in un mondo di comuni. A me l’argomento interessava da tempo anche perchè avevo approfondito un minimo il pensiero anarchico. Dunque, rafforzato nel mio interesse dalla visione di Osho, di cui avevo allora molta stima, ho deciso di andare più a fondo iniziando a cercare le poche comuni e comunità esistenti allora in Italia e finii dagli elfi. Fu un’esperienza molto forte cui seguì, pochi anni dopo, la decisione di curare una pubblicazione sul fenomeno comunitario che prese corpo con l’amico editore Angelo Quattrocchi con cui pubblicai Comuni, comunità, ecovillaggi in Italia cui seguirono altri due testi. L’ultimo nel 2010: Comuni, comunità, ecovillaggi.

- Secondo te cosa può scoprire una disciplina come la sociologia sulle comuni? Può portare a conoscenze interessanti?

Le comunità intenzionali credo debbano essere un po’ il pane quotidiano della sociologia in quanto laboratori  sociali a cielo aperto dove si sperimentano concretamente ipotesi, modelli di convivenza sociale, di risoluzione dei conflitti, di amministrazione di risorse comuni, eccetera. Possono essere senz’altro una sorta di cartina di tornasole di quanto può funzionare o meno nella società ordinaria.

- Vista la tua lunga esperienza sul movimento comunitario puoi dire che si stanno diffondendo progetti di comuni ed ecovillaggi nel mondo? E se sì a cosa è dovuto?

Senz’altro quella delle comunità intenzionali e degli ecovillaggi è una realtà in espansione. Le ragioni di questa crescita sono da ricercarsi nella crisi sistemica che stiamo vivendo. In Occidente i posti di lavoro sono sempre più precari, è sempre più difficile permettersi una famiglia ed un’abitazione decente. Mi sembra abbastanza chiaro che, in una situazione del genere, si pensi ad unire le forze, sviluppando voglia di comunità. Credo sia una voglia sana.

- Pensando alla società in generale, si può notare un lento cambiamento di rotta ecologico e di ricerca di comunità, oppure il consumismo e l'alienazione continuano la loro corsa inesorabilmente?

Senz’altro mi sembra si stiano sviluppando nuove consapevolezze al riguardo. Credo ci sia un salto da fare e credo che questo salto vada fatto in avanti e non, come sostengono alcuni in ambito comunitario, “tornando indietro”. Bisognerebbe dibattere su concetti quali benessere, qualità della vita, personal development senza rifiutare in maniera manichea il consumismo (anche perché in questo caso non si avrebbe presa su un’enorme fetta di popolazione) ma considerandolo in una prospettiva che amo definire più evoluta. Coltivando valori nobili come la conoscenza, la crescita integrale, a mio modo di vedere è difficile si finisca a consumare in maniera compulsiva ed insensata. Alla base del consumismo insensato c’è incultura, ignoranza, mentre un consumismo sensato è quello che mantiene ragionevolmente alto il livello di benessere, di una sobria prosperià, che non credo proprio debbano essere esclusi da scelte ecologiche e comunitarie.

- Le comuni e gli ecovillaggi possono essere una valida alternativa di società per il futuro? E nel presente stanno influenzando la società circostante oppure rimangono "isole felici" dove rifugiarsi dal resto del mondo?

Credo che possano essere dei buoni tasselli di una società plurale, in cui vivere in una comunità intenzionale o in un ecovillaggio non sia più una scelta da marziani. Senz’altro possono influenzare la società circostante, non foss’altro come modello vivente di una vita diversa. Non ho mai pensato alle comunità come isole felici, ho sempre pensato ad un buon lavoro di networking per evitare che, loro malgrado, lo diventino.

- In un paese come l'Italia, con un welfare state lacunoso e politiche sociali scarse, pensi che le comuni e gli ecovillaggi possano rappresentare un buon sostituto dello stato?

Mi sembra ancora prematuro pensare in questi termini. Sicuramente il fatto di lavorare ad una legge per il riconoscimento delle comunità intenzionali e degli ecovillaggi come precisi soggetti giuridici (come sta accadendo da tempo in Italia, dove si sta profondendo un buon impegno in questa direzione) può farne, nel tempo, realtà più strutturate che possano offrire maggiori garanzie ai propri membri.

- Parlando sempre dell'Italia, un paese non molto aperto verso il nuovo ed il diverso, stanno avendo parecchie difficoltà a farsi accettare dalla società?

Delle difficoltà anche pesanti di tanto in tanto emergono. Ogni tanto una comunità finisce sotto accusa sui giornali o sui media del mainstream. Le comunità possono essere particolarmente vulnerabili perché sono strutture con aperture più o meno importanti all’esterno e dunque con flussi di persone che non sempre manifestano, nel tempo, buone intenzioni. Capita dunque che qualcuno che ha vissuto un periodo in una comunità denunci abusi o cose simili. Io non dico che queste denunce siano necessariamente campate in aria (in alcuni casi lo sono state, ad esempio quando venne messa sotto accusa la comunità Ananda Assisi, nel 2004, i cui membri imputati sono stati tutti assolti con formula piena alcuni anni dopo), dico che, in primo luogo, incontrano molto spesso il favore di un pubblico in molti casi pesantemente prevenuto e, in secondo luogo, che quanto avviene in una comunità (come si diceva prima particolarmente vulnerabile perché è una struttura con aperture più o meno importanti all’esterno) è molto più facilmente smascherabile di quanto può avvenire in strutture più chiuse ed impenetrabili come sono ancora oggi alcune famiglie, dove avvengono talora le cose più turpi.
La famiglia, come istituzione, gode tuttavia di un tutt’altro status rispetto a quello che possono avere “gli eredi dei figli dei fiori”.
Dunque, per rispondere alla tua domanda, le difficoltà certo non mancano ma non mancano nemmeno aperture sempre maggiori della società civile nei confronti di questo fenomeno emergente. E’ importante informare, divulgare e smentire alcuni luoghi comuni.
- Comuni religiose e comuni "atee": quali tra queste due secondo te funzionano meglio?

Mah, forse è una distinzione un po’ troppo dicotomica quella che mi hai proposto. Io vedo un generale “coinvolgimento spirituale” nei comunitari di oggi. Magari, a mio modo di vedere, con qualche eccessiva caduta new age ma io vivo la maggiorparte del mio tempo in Oriente, a contatto con una spiritualità più tradizionale. Questo può rendermi un minimo intollerante ma conosco bene il mio paese e benino l’Occidente in generale e mi rendo conto che alcune derive new age sono il prodotto di una tradizione (quella cristiana) che non ha saputo adeguatamente preservarsi, che ha indotto il rigetto in troppe persone le quali, “orfane di sacro”, si rivolgono a versioni necessariamente semplificate dello stesso.
Io, dunque, il termine atee non lo utilizzerei. Semmai laiche.
Va detto, per rimanere nel solco della tua domanda, che la religione è notoriamente un grande collante a livello sociale. Quando una comunità intenzionale si impernia su un credo abbastanza strutturato può avere discrete possibilità di successo (dico discrete perché, in generale, i livelli di “mortalità” degli esperimenti comunitari sono piuttosto alti).
Per quello che ho visto io, comunità sorte attorno ad un credo strutturato (penso alla già citata Ananda ma anche alla comunità cattolica di Nomadelfia che è la più antica in Italia, ad MCF –Movimento di Comunità e Famiglia-, di matrice soprattutto cattolica o alla stessa Damanhur, sorta attorno ad un credo inusuale ma, credo di poter dire, ben strutturato) stanno dando prova di una buona tenuta. Esistono tuttavia anche comunità laiche che stanno reggendo bene alla prova del tempo, basti pensare alla Comune di Bagnaia o a Torri  Superiore. Diciamo che il fattore religioso può senz’altro essere d’aiuto ma non è necessariamente indispensabile. Esistono forti attitudini esistenziali che possono essere altrettanto motivanti.

- Mi ha colpito quando nel tuo libro "Comuni, comunità, ecovillaggi" riporti la discussione avuta con un professore di Auroville sul perchè non venivano rilasciati diplomi ai ragazzi nella scuola della loro comune, sentendoti rispondere che "ad Auroville non servono diplomi". Qual'è il limite tra insegnare dei giusti valori ai figli, sperando che seguano le orme dei genitori ed imporre determinate idee senza possibilità di scelta? E in riferimento alle comuni, pensi che le generazioni nate all'interno di progetti comunitari siano portate a continuare quel percorso o preferiscano uscirne?

È una domanda abbastanza complessa e rischio di risponderti in maniera molto generica.
Sicuramente trovo che la risposta che mi è stata data ad Auroville sia, come ho scritto, profondamente idiota ma forse ho fatto una domanda sbagliata alla persona sbagliata. La questione che sollevi è molto delicata, io ti posso dire quello che idealmente farei se vivessi in una comunità o in un ecovillaggio ed avessi dei figli: tenterei di non far perdere loro i contatti con la società ordinaria, dando loro maggiori opportunità possibili di muoversi a cavallo di due mondi (capita che le comunità e gli ecovillaggi rappresentino una sorta di realtà separata, penso, ad esempio, agli elfi).
Vorrei in altre parole che, una volta grandi fossero davvero liberi di scegliere se vivere in una comunità o se vivere nel mondo ordinario senza aver in alcun modo tarpato loro le ali.
Ci sono comunità in cui, ad esempio, si vive un forte rifiuto di tutto ciò che è moderno (un caso paradigmatico in questo senso sono gli Amish). Ecco, io oggi un figlio non lo farei crescere senza una connessione ad Internet perché lo manterrei fuori da un universo di simboli, di linguaggi, di immaginari condivisi e questo potrebbe contribuire, un domani, a farlo sentire prigioniero della comunità, in quanto deprivato degli strumenti necessari per viverne anche fuori.
È talora oggetto di dibattito, in ambito comunitario, la questione della scuola: è giusto che la scuola sia interna alla comunità o è giusto che i ragazzi frequentino le scuole ordinarie, statali o private che siano?
Io ti consiglio di porre questa stessa domanda a membri di comunità intenzionali o ecovillaggi, confrontandoti con una rosa di argomentazioni dalla loro viva esperienza.

- Tra tutte le realtà che hai visitato, qual'è secondo te la più riuscita tenendo conto del livello economico, sociale, spirituale ed ecologico?

Io trovo esistano diverse esperienze comunitarie (l’eterogeneità è una delle caratteristiche fondanti del fenomeno) che mi sono sembrate abbastanza riuscite.
Rimaniamo in Italia che è più semplice. Ti porto l’esempio di due modelli molto diversi ma, a mio parere, entrambi abbastanza riusciti: Damanhur e gli elfi. Senza nulla togliere ad altre esperienze ugualmente riuscite, in parte le ho citate in precedenza. Non mi far fare graduatorie, ti prego…

- Visto l'ultimo "scandalo" sulla Federazione di comunità di Damanhur ed altri usciti nel corso degli anni, pensi che sia una macchinazione per buttare fango sul fenomeno comunitario oppure un fondo di verità c'è?

Io ho da anni buoni rapporti con Damanhur ma non ci ho mai vissuto dunque non posso dirti se ci sia o meno un fondo di verità, non sarebbe serio da parte mia.
Nella mia esperienza personale, i damanhuriani con cui mi sono relazionato mi sono sembrate persone competenti ed efficienti. Mi è sembrato che tutto quello che viene fatto a Damanhur mantenga buoni standards di professionalità. È senz’altro una realtà potente che ha sempre avuto buoni rapporti con alcuni settori dell’Università e della ricerca. Ad esempio ne ho sentito parlare bene dal sociologo Massimo Introvigne, di orientamento cattolico o dalla mia professoressa di Sociologia delle Religioni, Maria Immacolata Macioti. Realtà potenti, sappiamo, possono anche mettere paura e la proposta di stili di vita profondamente alternativi che si fa carne (è questo un aspetto affascinante delle comunità, che quello che viene teorizzato diventa, in maniera più o meno compiuta, realtà sociale) può indurre preoccupazioni anche serie in alcuni ambienti deputati alla gestione del potere. Mi piace l’espressione che utilizzò una volta un mio amico che si era occupato di antipsichiatria. Parlando della “normalità” la definiva una sorta di “follia consensuale”.
Sicuramente la cosiddetta normalità è una sorta di stato ipnotico collettivo e nel momento in cui arriva qualcuno, che non sia un cialtrone, sufficientemente capace da riuscire, battendo le mani, a risvegliare uno, due, cento, 1000 persone, quel qualcuno si mette in una posizione scomoda. Bisogna poi fare attenzione che questo qualcuno (un esempio calzante in questo senso può essere quello di  Osho che sembra proprio sia stato eliminato da una sofisticata operazione di intelligence, che venne poi chiamata Operazione Socrate, cui è stato dedicato un libro) risvegli le persone per poi, volente o nolente, farle ricadere in un altro stato ipnotico, di segno semplicemente diverso. Una cosa è certa, però, che per il potere dominante costoro possono essere seriamente dei sovversivi.
Io penso che la dimensione damanhuriana abbia diverse carte in regola per essere temuta come sovversiva e questo credo possa aver avuto la sua influenza nell’aver attivato una “macchina del fango”.

- Se ti va, vuoi esprimermi qualche critica rispetto al fenomeno comunitario in Italia? Quache evento o altre impressioni negative (se ce ne sono)?

Impressioni negative ce ne sono per forza, altrimenti sarei un mero apologeta e non è una cosa che mi si confà molto.
Io credo che il movimento comunitario, oggi, abbia una buona potenzialità di crescita e credo che nel tempo possa anche iniziare ad incidere nel tessuto sociale. Credo possa essere un buon vettore di valori ecologici ma anche umanistici. Mi piace molto che sia un movimento propositivo e concreto (uno slogan della Rete Italiana Villaggi Ecologici è: un altro mondo è possibile, noi lo stiamo costruendo!).
Quello che francamente proprio non mi convince è un orientamento (che credo sia solo uno degli orientamenti anche se sembra prevalere) tendenzialmente “pauperista”. Molti considereranno l’aggettivo inadeguato ma a mio modo di vedere non lo è. Io punterei ad una rete di comunità prospere e ben organizzate, con una dimensione di scambi economici vivaci, che si sostengano bellamente con business dal volto umano. C’è chi invece vede le comunità intenzionali e gli ecovillaggi come un ambito in cui imparare a consumare sempre meno, a ridurre sempre più i bisogni all’essenziale. Secondo me è un’attitudine miope perché in questo modo si rischia di impoverire un movimento che anche con le giuste risorse economiche può, come si diceva, avere un buon potenziale nel contribuire ad un processo di trasformazione sociale. Io temo che un movimento orientato all’austerità, alla cosiddetta decrescita felice rischi di finire per apparire come un movimento sfigato, con poco appeal sulla famosa maggioranza silenziosa. Io affronterei molto seriamente, ad esempio, la questione del lavoro nelle comunità intenzionali e negli ecovillaggi. Credo debbano essere  in grado di offrire opportunità di lavoro e di acquisire un minimo benessere economico più che limitarsi ad essere — in diversi casi, non in tutti — posti in cui sia centrale il concetto, pur importante, di autoproduzione. In questo mi sembra di trovare delle convergenze con ambienti comunitari come quelli di Ananda Assisi e Damanhur in Italia, per portarti appena un paio di esempi concreti.
Ovvio che tutto questo è stato espresso in modo molto generico, credo debba essere oggetto di approfondimento e dibattito in ambito comunitario, senza preclusioni di sorta.
A me piace dire chiaramente quello che penso ma ho una concezione inclusiva del mondo comunitario. Io credo che in un ampio network comunitario debba esserci posto per tutti ma che sia anche giusto, poi, all’interno dello stesso network, dibattere anche vivacemente in merito alle direzioni in cui si propone di andare.

- Premesso che si possa individuare, esiste un obiettivo condiviso di tutte le comuni e degli ecovillaggi?
Praticamente, perchè nasce una comune secondo te?

Una comune può nascere per molti motivi ma alla base di tutto io situerei il desiderio, il bisogno di vivere insieme, di condividere: valori, ideali, sogni. Cambiano le modalità ma il filo rosso che può unire esperienze tanto diverse, dagli elfi al co-housing credo sia proprio una buona propensione al vivere a contatto più o meno stretto con gli altri, alla voglia di comunità.
Credo che l’armonia nella diversità sia uno degli obiettivi più interessanti per un movimento come quello comunitario.

- Quali sono i maggiori motivi di conflitto all'interno di una comune? Perchè molte comuni falliscono?

Questo, amico mio, devi chiederlo ai comunitari, ci vuole l’eperienza diretta, possibilmente di anni ed io rischierei solo di dirti delle banalità.

- Qual'è invece il maggior collante tra i comunardi?

Same same, come si dice in Thailandia, ti do la stessa risposta che ho dato alla precedente domanda.

- Come si rapportano le comuni e gli ecovillaggi con le leggi e con la tassazione in Italia?

È una domanda molto tecnica, ogni realtà fa storia a sé, ha una propria veste giuridica e, di conseguenza, una propria dimensione fiscale.

- Con la creazione della RIVE, gli ecovillaggi possono contare su una rete importante per proporsi come interlocutori con la società in generale. Non c'è il rischio che si istituzionalizzino e burocratizzino un po’ troppo?

Io credo che un certo livello di organizzazione sia necessario. Lo spontaneismo è finito con gli anni settanta, le comunità e gli ecovillaggi hanno bisogno di una rete che ne favorisca i momenti di incontro e di confronto. Mi sembra la RIVE sia organizzata in maniera molto democratica, non ravviso il rischio di cui parli.

- Secondo te visto l'aumento di attenzione da parte della gente e dei media sul fenomeno comunitario, pensi che le comunità  stiano cercando di salvaguardarsi in qualche modo, diventando più selettive e restie nell'ospitare persone o nella scelta di nuovi comunardi?

Non so, anche qui credo ogni realtà faccia storia a sé. In generale non concordo con l’approccio per cui il mondo ordinario sia un elemento da cui doversi in qualche modo difendere. Mi sembra un po’ troppo una logica da trincea. Io quello che vorrei vedere in un prossimo futuro è, come ti accennavo prima, una società plurale, tollerante, in cui le comunità intenzionali e gli ecovillaggi rappresentino una delle diverse forme di convivenza sociale. Esperienze da cui imparare ma anche da considerare in maniera critica (non credo siano il paradiso, non credo le si debba troppo idealizzare, rappresentano uno stile di vita, può piacere o meno, ci si può ritrovare o meno ). Il tutto con la maggiore dose possibile di serenità. Da buddhista ti dico: tutto è impermanente, tutto è in costante movimento, chi è granitico rischia di finire per sgretolarsi su se stesso.
Le comunità e gli ecovillaggi possono senz’altro dare un contributo in termini ecologici e, come ti dicevo, umanistici. Da sole, da soli non salveranno il mondo. Meno ci saranno attitudini settarie, più prevarrà un’attitudine pragmatica e realista e meglio potranno fare. Questo secondo me, adesso, poi, come si diceva, tutto è impermanente, anche i punti di vista…

- Concludendo vorrei che parlassi liberamente sulla tua esperienza nelle comuni italiane e magari potresti raccontarmi qualche aneddoto simpatico che ti è capitato negli anni.

Ci sarebbe molto da dire e da raccontare, un’intervista merita un generoso prolificare di parole ma un buon libro resta sempre un buon libro…per frammenti di esperienze ed aneddoti vi rimando ai miei libri. A coloro che volessero decrescere e volessero risparmiare anche i pochi euro di costo di un libro, posso consigliare di visitare il mio sito ed il mio blog: viverealtrimenti.com, viverealtrimenti.blogspot.com, aperti anche e sorpattutto alle esperienze degli altri…