E’ con immenso piacere che condivido con il lettori di viverealtrimenti questo articolo comparso due giorni fa sul corriere della sera on line.
Riguarda il Bal Ashram di Varanasi di cui abbiamo gia’ parlato su questo blog-magazine, nel post un eco-park educativo a Varanasi, firmato da Lokhnath e Kamala che altri non sono che Camilla e Lorenzo, citati nell’articolo che segue.
Con ogni probabilità si tornerà a parlare del Bal Ashram su viverealtrimenti, in virtù di un gemellaggio prima di tutto affettivo.
Personalmente, ho sempre incoraggiato il lavoro di Kamala e Lokhnath in quanto credo sia un valido contributo per la costruzione di un'auspicabile India di domani: meno disumana, più egualitaria, più ecologica.
Torneremo senz’altro su questo discorso, troppo importante ed impegnativo perché possa essere trattato in queste poche righe introduttive. In un prossimo post, Lokhnath e Kamala stessi presenteranno, più dettagliatamente, la loro esperienza. Per ora non possiamo che congratularci ed essere loro immensamente grati e rimandare i lettori che volessero avere subito qualche elemento in più al loro web site www.associazioneanjali.it.
L'articolo...
A Varanasi (Benares) nella città santa indiana sulla riva del Gange, nell'ashram dei bambini perduti: due italiani gestiscono un centro per l'alfabetizzazione e il recupero degli orfani e dei bambini di strada
La sveglia suona per tutti alle quattro e mezzo del mattino. La vita comincia con il sorgere del sole e finisce poco dopo il tramonto. I bambini fanno la doccia, si vestono, poi trascorrono una ventina di minuti nel tempio, per i canti del mattino. Il tempo di fare una semplicissima colazione e poi vanno a scuola. È l'inizio di una giornata ordinaria al Bal Ashram di Varanasi, India. Alcuni bambini escono, per andare a scuola in città, altri invece arrivano per fare lezione all'Anjali school, la scuola dell'Asharm.
Qui, due giovani italiani vivono da due anni, contibuendo alla riuscita di quello che sembra un miracolo. Camilla Previato e Lorenzo Bonaventura, 34 e 35 anni, da Treviso, sono perfettamente integrati nell'ambiente. Vestono, mangiano, soprattutto parlano perfettamente indiano. Il Bal Ashram, raccontano, è famoso anche come «l'ashram dei bambini». Quattordici bambini vivono qui, in stanze pulite, ordinate, decorse. Si tratta di orfani, che sono rimasti in un modo o in un altro senza genitori. Espressione curiosa «in un modo o in un altro», più spiegabile se si guardano le ultime pagine di alcuni quotidiani, nazionali e locali. Sono occupate dalla rubrica missing persons. In India, soprattutto nelle grandi città, come Delhi o Mumbay, o nei centri di grandi pellegrinaggi, come Varanasi, le persone si perdono. O perdono i loro figli. Altre volte invece i bambini vengono abbandonati per motivi di povertà. Altre volte diventano orfani perché i loro genitori muoiono. E allora diventano bambini strada. Prima vagano alla stazione ferroviaria o degli autobus, poi vengono avvicinati per i motivi più diversi.
L'India è famosa nel mondo per il traffico di organi a basso costo, presi proprio ai bambini, ed è famosa anche per il lavoro minorile. I più fortunati, si fa per dire, finiscono a lavorare in una fabbrica, per poche rupie al mese. I più sfortunati invece devono stare per strada a mendicare. E sono più sfortunati perché per guadagnare di più devono fare più pietà degli altri. E per fare più pietà vengono spesso mutilati dai propri aguzzini.
Gli altri, i bambini che vengono dalla città di Varanasi a studiare all'Anjali school del Bal Ashram, sono una settantina e non sono orfani. Vivono con i propri familiari sui marciapiedi della città. Sui marciapiedi mangiano, giocano, si lavano e fanno i loro bisogni. Uno spettacolo consueto a Varanasi, la città più santa dell'induismo. Quasi un miliardo di indiani di religione indù sognano di morire qui, e di essere cremati su uno dei suoi gat, una delle discese al fiume, per poi disperdere le ceneri nel Gange. Per ogni indu è un obbligo immergersi e dunque purificarsi almeno una volta nella sua vita nelle acque della madre Ganga.
La città è estesa, popolatissima, caotica fino all'inverosimile. Insieme alla spaventosa quantità di automobili con il clacson continuamente pizzicato, circolano risciò a pedali, moto, tre ruote ape riadattati per il trasporto delle persone. E insieme alle folle che evitano i marciapiedi, bisogna evitare mucche, cani, bufali, scimmie, macachi. La città è infernale. Poi ci sono i gat che guardano il Gange. Qui la vita ferve all'inversimile. Cibo di strada, mendicanti, centinaia di persone che fanno il bucato, barcaioli, animali, gente che dorme in terra, ragazze inglesi che giocano a racchettoni con giovani indiani, bagni purificatori, bagni col sapone, albergatori e ristoratori che richiamano i clienti. E qui tanta gente vive per strada. Insieme ai quattordici orfani, gli altri settanta bambini che frequentano la scuola del Bal Ashram non sono bambini di strada, ma vivono per strada. E all'Asharm dei bambini trovano ordine, pulizia, vestiti decorosi, un ambiente sereno e familiare, la scuola. E un metodo pedagogico importato in India da un altro italiano, il progetto Alice di Valentino Giacomin.
Eppure quando si parla di ashram, si parla normalmente di «comunità spirituale». Qui l'elemento della spiritualità non manca. L'ashram è stato infatti fondato nel 2001 da Baba Harihar Ramji, detto Babaji. Emigrato per qualche anno negli Stati Uniti, dove ha fondato un ashram in California, Babaji appartiene alla tradizione spirituale vecchia di cinquecento anni, detta aghor. Sono cinque i sadu che appartengono a questa tradizione. Lui è l'unico ad aver deciso di non liberarsi di tutti i suoi beni e i suoi averi, ma di investirli in un progetto. Questa tradizione spirituale, più simile a una filosofia che a una religione così come la intendiamo in Occidente, mette tutta l'enfasi possibile sul «servizio» che si può rendere in vita agli altri. Insieme alla sadana, la pratica spirituale che - come racconta Babaji - «serve per riconoscere la propria autentica natura. Ed è estremamente inclusiva. La nostra è una strada che è possibile percorrere da indù o da musulmani o da ebrei. Non pratichiamo discriminazioni né di casta, né di sesso».
Insieme dunque alla radice culturale indiana «l'educazione - dice Camilla Previato - è per noi la colonna portante per un messaggio di riforma».
Il Bal Ashram è costruito poco distante dal caos della città. E si trova sulla riva del fiume. Il Gange è la madre, il suo bacino idrografico si snoda su di un territorio di un milione di chilometri quadrati, permette di vivere a 600 milioni di persone, durante il suo percorso di 2.510 chilometri. La metà della popolazione indiana. Un decimo della popolazione mondiale. E insieme è il fiume più inquinato del mondo, la semplice immersione per la balneazione comporta rischi altissimi di infezione. Sul Gange gira a ciclo continuo una gigantesca macchina del sacro, in funzione da quattromila anni. Il lavaggio purificatorio della mattina, la spettacolare puja della sera, che si svolge tutte le sere da migliaia di anni, con i brahmini che fanno danzare le statue di luce davanti a centinaia di persone che assistono dai gat e dalle barche. E poi i crematori, che funzionano notte e giorno e bruciano la media di 150 cadaveri al giorno.
I parenti maschi si rasano i capelli a zero, procedono all'acquisto della legna, e si tratta di un'arte. Comprarne troppa significherebbe sprecare soldi, comprarne poca significherebbe non bruciare completamente il corpo del congiunto. Alla cerimonia gli stranieri non sono graditi, le foto sono proibite. I cadaveri dei bambini, delle donne gravide, dei morti di vaiolo, dei sadu e delle mucche, vengono bagnati e abbandonati nel Gange interi, senza essere creamati, perché sono già considerati puri. Dopo un pasto semplicissimo, fatto di riso e verdure bollite, e consumato nella mensa del Bal Asharm, Camilla e Lorenzo ci portano in barca sull'altra riva del Gange, quella deserta, quella considerata impura. Qui siamo costretti a immergerci nel Gange a causa di una secca che blocca la barca lontano dalla riva. E sulla riva troviamo teschi, ossa, i resti delle cremazioni più povere. Sulla riva impura tutto costa meno. Alcuni cani selvatici si aggirano minacciosi e famelici. Le scimmie stanno nella vegetazione.
È qui che Babaji sogna, con i suoi collaboratori del Bal Ashram, di costruire un vero e proprio ecoparco. Poco distante stanno costruendo un ponte che unirà le due sponde del Gange, i prezzi stanno già lievitando e - dice Lorenzo - «la cementificazione di questa riva avverrà in pochi anni». L'urbanizzazione, stando alla crescita di una città che cresce a ritmi esponenziali, sarà velocissima. «Abbiamo fretta», racconta ancora Lorenzo. «Abbiamo bisogno di 20 acri, ne abbiamo acquistato solo un terzo e servono fondi per acquistare il resto. Presto arriverà il cosiddetto sviluppo e spazzerà via tutto».
Tornati al Bal Ashram, Babaji racconta che in India «sviluppo vuol dire plastica ovunque, tappeti di automobili, inquinamento insostenibile. Varanasi - racconta Babaji seduto nel giardino dell'ashram - è una città santa, è luogo di pellegrinaggio da tutto il mondo. Anticamente chiamata Anandavan, foresta di beatitudine, oggi non ha un singolo parco ed è difficile trovare alberi. L'ambiente è terribilmente inquinato. La mia idea è di creare un modello educativo basato sulle pratiche ambientali, sulle energie rinnovabili, il riciclaggio dei rifiuti. Dobbiamo educare le persone a essere meno avide e possiamo solo partire dai bambini. L'ecoparco potrà essere un luogo dove le persone, da tutto il mondo, potranno trovare ispirazione».
La stanza dove all'ashram si medita e si pratica yoga va sempre tenuta chiusa. Le scimmie tentano continuamente di entrare. La giornata è finita e, dopo i compiti, la musica e le attività ricreative, i quattordici bambini che dormono qui, si ritrovano di nuovo tutti insieme, con Babaji, Camilla, Lorenzo e tutto il personale che vive e lavora, spesso volontariamente, all'asharm. «Adesso, per un'ora», dice Camilla, «condivideremo con i bambini la giornata. Per noi è il momento più bello e più prezioso».
Raffaele Palumbo
12 febbraio 2009
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Il già citato Un eco-park educativo a Varanasi e Il bivacco e la vetta, sulla citata esperienza pedagogica di Valentino Giacomin.