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mercoledì 12 gennaio 2011

L’India e l’incontro con l’Occidente. Vicende storiche, culti, racconti di viaggio, parte IV.

Riprendiamo con la pubblicazione, a puntate, della tesi di laurea di Eleonora Luisi che costituirà un'ottima base per alcuni approfondimenti sull'India di oggi.
Per le sezioni precedenti, cliccare qui!


1.11 L’India Britannica

Il controllo inglese sull’India risale all’inizio del XIX sec., anche se il paese è diviso in stati governati dai sovrani locali chiamati maharaja (principi) e i nawab.
Da una parte vi sono questi stati che amministrano i loro territori, dall’altra vi è un governo centrale che ha come modello il sistema governativo inglese.
La Compagnia delle Indie Orientali amministra il territorio fino al 1858, anche se il governo inglese ha già il controllo sull’India in precedenza.
Gli inglesi con il loro interesse per il commercio e i profitti incrementano la produzione di tè, caffè, cotone e aumentano le estrazioni di carbone e ferro. Viene costruita una vasta rete ferroviaria indiana e si inizia a progettare canali di irrigazione e il sistema degli zamindar (proprietari terrieri che non abitano nelle loro terre), che determina un incremento del numero dei contadini impoveriti. L’inglese diventa la lingua ufficiale del paese, anche se continuano a essere parlate numerose lingue locali e questo fatto determina una distanza tra i dominatori e gli indiani.


1.12 La lotta per l’autogoverno


La rivolta contro gli Inglesi inizia nel 1857, nello stesso anno vengono fondate le tre principali università indiane a Bombay, Madras e Calcutta, che promuovono insegnamenti di tipo europeo in lingua inglese. La diffusione della cultura inglese in India ha formato una classe media occidentalizzata costituita dagli indiani che lavorano nella burocrazia statale, banchieri e mercanti che si sono arricchiti con la Compagnia delle Indie a cui si aggiungono i grandi industriali indiani del cotone e dell’acciaio.
Questa classe sociale è unita da interessi e da una cultura comune che non è solo inglese, ma molti aderiscono al nuovo Induismo riformato che si è sviluppato come risposta agli Europei che hanno criticato l’Induismo ortodosso.
Molti indiani indignati dal comportamento sprezzante europeo decidono di rivendicare i valori dell’Induismo e creare una nuova riforma contro le degenerazioni degli ultimi anni. La classe media occidentalizzata di impiegati e burocrati indiani il cui sviluppo è dovuto alla collaborazione con gli inglesi, capisce che i posti di comando vengono riservati soltanto agli inglesi, mentre gli indiani vengono esclusi.
La causa principale dello scoppio della ribellione del 1857 riguarda un episodio accaduto in una caserma militare di Meerut, nell’Uttar Pradesh, dove si diffonde la notizia che i proiettili forniti ai soldati sono lubrificati con grasso animale.
Negli ambienti indiani circolano le voci che si tratti di grasso di vacca, un animale ritenuto sacro per gli hindù, mentre fra i musulmani si parla di grasso di maiale, un animale ritenuto impuro dalla religione islamica e queste voci generano una situazione di tensione, che presto sfocia in una ribellione che viene presto sedata nel sangue dagli Inglesi. Questi fatti dimostrano evidenti segnali di instabilità nella vita del paese che necessita una fase di cambiamento. Quando nel 1883 un progetto di legge, che prevede che i giudici indiani possano giudicare cittadini inglesi, causa una reazione inglese, gli indiani decidono di organizzarsi per promuovere i propri diritti e fondano nel 1885 il Partito del Congresso.
All’interno del partito emerge la corrente moderata, che pensa che basti dimostrare all’Inghilterra che gli indiani sono capaci di governarsi da soli per cercare di ottenere l’autogoverno, promuovono diverse riforme sociali con lo scopo di educare le masse. I moderati capiscono che il Congresso è espressione delle classi medie occidentalizzate a cui manca la partecipazione delle masse. Per cercare di cambiare la situazione si pensa di usare la religione come strumento di propaganda e vengono organizzati pellegrinaggi e feste religiose per convincere le masse che è necessario ribellarsi agli inglesi. Nel 1905 si ha il primo scontro tra il Partito del Congresso e gli inglesi, in seguito a un provvedimento del Vicerè Lord Carzon che prevede che le scuole private indiane vengano controllate dagli inglesi.
Quando il Bengala viene diviso in due province in base alle divisioni religiose in modo da separare gli indù dai musulmani, il Congresso capisce che questa azione politica mira a dividere gli indù dai musulmani. Nel Bengala inizia un’agitazione che presto si diffonde in molte regioni indiane.
Il Congresso decide di utilizzare lo “swadeshi”, ossia il rifiuto di tutto quello che proviene dall’Inghilterra. Durante questa prima fase il governo coloniale ne esce vincitore: le agitazioni non riescono a unificare il Bengala, dove esistono forti tensioni tra gli estremisti e i moderati. Gli inglesi arrestano il capo della corrente estremista e cercano di appoggiare i moderati concedendo alcune riforme come quella dell’elezione di indiani nei consigli vicereali. La situazione indiana resta immutata fino allo scoppio della prima guerra mondiale e alla comparsa sulla scena internazionale di Gandhi.


1.13 Il Mahatma Gandhi


Gandhi è una delle più grandi personalità del XX sec. e svolge un ruolo centrale nella lotta per l’indipendenza indiana dal dominio coloniale britannico.
Nasce nel 1869 da una famiglia di commercianti a Portbandar nel nord-ovest dell’India e si sposa all’età di tredici anni secondo la tradizione hindù. Studia a Londra e dopo la laurea in giurisprudenza esercita la professione di avvocato a Bombay, ma soltanto per breve tempo.
Infatti nel 1863 parte per il Sud-Africa dove resta per venti anni e lavora come consulente legale presso una ditta indiana. In questi anni Gandhi viene a contatto con la realtà della “segregazione razziale” e inizia la sua lotta per il riconoscimento dei diritti degli indiani. Nel 1906 promuove il suo metodo di lotta basato sulla resistenza non violenza, detta “satyagraha”. Lo stesso Gandhi definisce il significato di satyagraha nel seguente modo:

Negli ultimi trenta anni ho predicato il satyagraha. Sono giunto alla conclusione che i principi del satyagraha costituiscano un’evoluzione graduale. Il termine satyagraha è stato coniato da me in Sud Africa per definire la forza che in quel paese gli indiani utilizzarono per ben otto anni, e fu coniato con lo scopo di distinguere tale forza dal movimento che allora si andava sviluppando in Inghilterra e in Sud Africa con il nome di Resistenza Passiva.
Il suo significato profondo è l’adesione alla verità, e dunque la forza della verità. Lo ho definito anche forza dell’amore o forza dell’anima. Nell’ applicazione del satyagraha ho scoperto fin dai primi momenti che la ricerca della verità non ammette l’uso della violenza contro l’avversario, ma che questo deve essere distolto dall’errore con pazienza e la comprensione.
Infatti ciò che sembra la verità ad uno può sembrare un errore ad un altro. E pazienza significa disposizione a soffrire. Dunque il senso della dottrina è la difesa della verità attuata non infliggendo sofferenze all’avversario ma a se stessi.
Ma in campo politico la lotta per il bene del popolo consiste soprattutto nell’opporsi all’errore nella forma delle leggi ingiuste. Quando non si è riusciti a convincere il legislatore dell’errore attraverso petizioni e cose del genere, l’unica strada che rimane aperta, se non ci si vuole sottomettere all’ingiustizia, è di costringerlo a cedere con la forza o di soffrire nella propria persona esponendosi alla punizione per la violazione della legge. Per questo satyagraha per la maggior parte della gente significa Disobbedienza civile o Resistenza Civile.
È civile perché non è criminale.
Il criminale viola la legge furtivamente, e cerca di evitare la punizione; del tutto differente è invece il comportamento di colui che pratica la resistenza civile. Questo obbedisce sempre alle leggi dello stato cui appartiene, non per paura delle punizioni ma perché le considera utile al benessere della società.
Ma si verificano alcuni casi, generalmente rari, in cui egli considera alcune leggi ingiuste e l’obbedienza ad esse un disonore. Egli dunque apertamente e civilmente viola queste leggi e sopporta con pazienza la punizione che gli viene inflitta per tale violazione. E per manifestare la sua protesta contro l’azione dei legislatori egli può rifiutare la sua collaborazione allo stato, disobbedendo anche ad altre leggi la cui violazione non implica un comportamento immorale.
A mio parere la bellezza e l’efficacia del satyagraha sono grandiose, e la dottrina è così semplice da poter essere insegnata anche ad un bambino.
In Sud Africa l’ho predicata a migliaia di uomini, donne, bambini indiani, con eccellenti risultati.


(“Young India”, 14 Gennaio 1920).

Gandhi si prefigge l’obiettivo di raggiungere l’uguaglianza sociale e politica per mezzo delle marce e delle ribellioni pacifiche e grazie al suo operato il governo sudafricano elimina alcune leggi discriminatorie, viene riconosciuta la parità dei diritti agli immigrati indiani e vengono riconosciuti i matrimoni religiosi. Nel 1915, dopo il suo rientro in patria, diviene il leader del Partito del Congresso e svolge un ruolo di rilievo nella lotta contro il colonialismo inglese. Diventa il promotore della prima campagna di disubbidienza civile e di non collaborazione con il governo britannico così definite:

…La disubbidienza civile è la violazione civile delle leggi immorali e oppressive. L’espressione, a quanto mi risulta, fu coniata da Thoreau per indicare la sua resistenza contro le leggi di uno stato schiavista. Egli ha lasciato un’opera magistrale sul dovere della disubbidienza civile. Ma Thoreau forse non era un vero campione della non-violenza. Probabilmente inoltre egli limitò la sua violazione delle leggi alla legge sulle entrate, ossia al pagamento delle tasse.
Al contrario la disubbidienza civile che venne praticata nel 1919 comportava la violazione di tutte le leggi oppressive e immorali. Essa significava porsi fuori legge in modo civile, ossia non-violento. Il seguace della disubbidienza civile si esponeva alle sanzioni previste dalla legge e si sottometteva di buon grado all’incarnazione. La disobbedienza civile è una parte del satyagraha.
La non-collaborazione implica fondamentalmente il rifiuto di collaborare con lo stato che a giudizio del seguace della non-collaborazione è divenuto corrotto, ed esclude la disubbidienza civile di tipo totale sopra descritta.
Per la sua stessa natura la non-collaborazione può essere praticata anche dai bambini che hanno appena l’età della ragione e può essere agevolmente praticata dalle masse. La disobbedienza civile presuppone la disposizione ad obbedire spontaneamente alle leggi, non per timore delle sanzioni che esse prevedono. Essa può dunque essere praticata solo come mezzo estremo e, almeno in una prima fase, soltanto da pochi elementi selezionati. Anche la non-collaborazione, come la disobbedienza civile, è una parte del satyagraha, che comprende ogni forma di resistenza non-violenta per l’affermazione della verità.

(“Young India”, 23 marzo 1921).

Nel 1920 Gandhi riesce a far entrare le masse contadine nell’organizzazione del Partito del Congresso e sono proprio i contadini che lo chiamano “Mahatma”, che in sanscrito significa “Grande Anima”. Viene incarcerato e rilasciato più volte durante la sua lotta, prende parte alla Conferenza di Londra, dove rivendica il diritto di indipendenza per il suo paese.
Nel 1930 è il promotore della “marcia del sale”, una delle tasse più ingiuste perché colpisce le classi più deboli. Nel marzo dello stesso anno scrive una lettera al vicerè elencando le ingiustizie che devono essere eliminate dal governo britannico e nella parte finale espone il metodo del satyagraha e l’intenzione di avviare una campagna di disubbidienza civile che riguarda la violazione della legge sale:

Sarebbe colpevole aspettare ancora. È opinione generale che per quanto disorganizzato e per il momento ancora numericamente debole, il partito della violenza stia guadagnando terreno e cominci a farsi sentire. I suoi fini sono gli stessi che mi prefiggo. Ma sono convinto che esso non può dare sollievo alle sofferenze delle grandi masse indiane. E si fa sempre più profonda in me la convinzione che soltanto l’assoluta non-violenza può costituire un antidoto valido alla violenza organizzata dal governo inglese. Molti pensano che la non violenza non sia una forza attiva . La mia esperienza, per quanto limitata possa essere, mi ha invece dimostrato che la non-violenza può essere una forza intensamente attiva. È mia intenzione dirigere questa forza tanto contro la violenza organizzata dal dominio inglese quanto contro la violenza disorganizzata dal partito della violenza in rapida ascesa. Rimanere ancora passivi significherebbe dare libero corso a entrambe queste forze. Vedo una cieca e incrollabile fede nell’efficacia della non-violenza come io ho, sarebbe colpevole da parte mia attendere ancora. Questa non-violenza sarà espressa attraverso la disobbedienza civile, che per il momento sarà limitata ai componenti dell’ashram del satyagraha, ma che in seguito dovrà estendersi a tutti coloro che vorranno unirsi al movimento accettandone i naturali limiti.

La mia ambizione. La conversione del popolo inglese. So che portando avanti un’azione non violenta io correrò un rischio che potrebbe essere giustamente definito folle. Ma le vittorie della verità non sono mai state ottenute senza correre rischi, e spesso sono state ottenute soltanto grazie alla capacità di correre i rischi più gravi. La conversione di una nazione che consciamente o inconsciamente vive alle spalle di un’altra nazione molto più popolosa, molto più antica e non meno civile di essa è una cosa che merita che si corrano dei rischi.
Ho deliberamene usato la parola conversione. La mia ambizione infatti è quella di convertire il popolo inglese attraverso la non-violenza, e di far si che esso comprenda il male che ha fatto all’India. Non intendo arrecar danno al vostro popolo. Voglio servirlo né più né meno come voglio servire il mio. E credo di averlo sempre servito. Fino al 1919 lo ho servito ciecamente.
Ma anche quando i miei occhi si aprirono e concepii l’idea della non collaborazione, il fine della mia azione rimase quello di servire il popolo inglese. Ho usato contro di esso la stessa arma che, con tutta umiltà, ho usato con successo contro i membri più cari della mia famiglia. Se nutro per il vostro popolo lo stesso amore che nutro per il mio, questo amore non potrà rimanere a lungo disconosciuto. Esso si rivelerà al vostro popolo come si è rivelato ai membri della mia famiglia dopo numerosi anni di scontri. Se il popolo si unirà a me, come credo che farà, le sofferenze che esso affronterà, se l’Inghilterra non muterà al più presto il suo atteggiamento, saranno capaci di toccare i cuori più duri.

Se poi non saprà eliminare le ingiustizie. Il progetto di Disubbidienza Civile è destinato a combattere le ingiustizie che ho menzionato. È a causa di tali ingiustizie che noi vogliamo troncare i nostri rapporti con l’Inghilterra. Quando esse saranno eliminate tutto diverrà facile, e si aprirà la via delle trattative amichevoli. Se le relazioni inglesi con l’India verranno purificate dall’avidità, non avrete difficoltà a riconoscere la nostra indipendenza. La invito dunque rispettosamente ad impegnarsi immediatamente nell’eliminazione di tali ingiustizie, per aprire la via a delle vere trattative tra eguali, dirette unicamente a promuovere il bene comune dell’umanità attraverso la volontaria collaborazione, e a stabilire i termini di un aiuto reciproco e di rapporti soddisfacenti per entrambe le parti. Lei ha dato un eccessivo risalto ai problemi che affliggono le comunità di questo paese. Per quanto importanti questi problemi possono essere per chiunque voglia governare il paese, essi hanno una rilevanza del tutto secondaria rispetto ai ben più gravi problemi che sono al di sopra delle comunità e che le riguardano tutte indistintamente. Ma se lei non saprà eliminare le ingiustizie da me menzionate e se questa mia lettera non riuscirà a toccare il suo cuore, il giorno 11 di questo mese inizierò, con i compagni dell’ashram che vorranno seguirmi, a violare le disposizione sulla marcia del sale. Io considero la tassa sul sale la più iniqua di tutte dal punto di vista dei poveri. E poiché il movimento per l’indipendenza punta essenzialmente al bene dei più poveri del paese, si inizierà dalla lotta contro questa ingiustizia. La cosa che meraviglia è che ci siamo sottomessi al crudele monopolio del sale per così lungo tempo. So che lei ha la possibilità di impedirmi di agire facendomi arrestare. Ma io spero che vi siano decine di migliaia di persone pronte, in modo disciplinato, a prendere il mio posto e, disobbedendo alla legge sul sale, ad esporsi alle sanzioni previste da una legge che non avrebbe mai dovuto deturpare i nostri codici.

Non una minaccia ma un sacro dovere. Non ho alcun desiderio di causarle delle difficoltà immotivate e in generale di causarle delle difficoltà, per quanto mi è possibile. Se lei pensa che nella mia lettera vi siano degli argomenti validi e se è disposto a discutere con me le questioni in essa trattate e se a tal fine preferisce che io rinvii la pubblicazione della lettera, sarò lieto di fare quanto lei gradisce purchè riceva indicazioni telegrafiche in tal senso a giro di posta. La prego tuttavia di non tentare di distogliermi dai miei propositi se non vede la possibilità di risolvere i problemi sollevati in questa lettera.
Questa lettera non vuole essere in alcun modo una minaccia, ma corrisponde ad un elementare e sacro dovere, imprescindibile per un seguace della resistenza civile. La farò recapitare da un giovane amico inglese che crede nella causa indiana ed è un fedele seguace della non-violenza e che la Provvidenza sembra avermi inviato appositamente per assolvere a questo mio incarico.


(“Young India”, 12 marzo 1930).

La campagna non-violenta di Gandhi promuove anche il boicottaggio delle merci provenienti dall’estero e dopo che viene incarcerato con la moglie protesta con lunghissimi scioperi della fame, il più famoso è quello intrapreso per combattere la situazione degli “intoccabili”:

Il digiuno è una potente arma dell’arsenale del satyagraha. Esso non può essere intrapreso da tutti. La semplice capacità fisica di sopportarlo non è una qualità sufficiente. Il digiuno è completamente inutile senza una profonda fede in Dio. Esso non deve mai essere uno sforzo meccanico o una semplice imitazione. Deve essere ispirato dal profondo dell’anima. Per questo è estremamente raro. Io sembro tagliato per esso. È degno di nota il fatto che nessuno di coloro che in campo politico si trova nelle mie stesse posizioni ha sentito l’impulso del digiuno. E sono lieto di poter dire che nessuno di essi ha mai criticato i miei digiuni. Neppure i miei compagni membri dell’ashram hanno mai sentito l’impulso del digiuno, tranne in rare occasioni. Essi hanno sempre accettato la regola di non intraprendere i digiuni penitenziari senza il mio permesso, a prescindere da quanto impellente l’impulso al digiuno possa sembrar loro.
Il digiuno dunque, sebbene sia un’arma potentissima, è governato da regole severissime e può essere intrapreso soltanto da chi si è adeguatamente preparato ad esso. E, secondo il mio metro di giudizio, la maggioranza dei digiuni non sono assolutamente riconducibili all’ambito del satyagraha e sono, come vengono generalmente chiamati, degli scioperi della fame intrapresi senza alcuna preparazione e coscienza. Se si ripetono troppo spesso, questi scioperi
della fame sono destinati a perdere anche la limitata efficacia che possono avere a cadere nel ridicolo.


(Harjan, 18 marzo 1939).

Quando il 15 agosto del 1947 l’India raggiunge l’indipendenza, Gandhi vive questo periodo con sofferenza, dedicandosi alla preghiera e al digiuno. Infatti viene sancita la divisione del subcontinente indiano in due stati: India e Pakistan. Questa divisione sancisce definitivamente la separazione tra hindù e musulmani e determina lo scoppio di una guerra civile che causa un milione di morti e sei milioni di profughi. Il Mahatma che ha assunto un atteggiamento moderato sul problema della divisione del paese, suscita l’odio di un fanatico hindù, che lo uccide durante un raduno di preghiera il 30 gennaio 1948.