Ho ricevuto oggi questo messaggio ed ho deciso di condividerlo con i lettori di viverealtrimenti, sperando in questo modo di contribuire, nel mio piccolo, alla riuscita dell'iniziativa proposta di seguito. Mi auguro davvero la ripresa economica non tardi ad arrivare ed arrivi sotto le insegne di una "economia pulita". Che impariamo tutti non a consumare meno (non credo sia necessario, sicuramente consumare meno stronzate...) ma a consumare meglio (possibilmente "etico" e "verde" e quanto implementi il proprio benessere psicofisico e la propria "crescita integrale") e che, come ha sostenuto fino alla fine Osho Rajneesh, si faccia convergenza, a livello planetario, su di un serio piano di controllo demografico. Forse, in presenza di una minima volontà politica, può essere meno difficile di quanto si pensi, in barba a catastrofisti e "profeti di sciagure".
Il messaggio...
Avaaz.org - The World in Action
Cari amici,
I leader dell´Unione Europea si riuniscono questo fine settimana per discutere della crisi economica. E´ una grandissima opportunità per creare nuovi posti di lavoro e salvare il pianeta.
Di fronte alle crisi economica e climatica, sta prendendo piede una nuova efficace idea: la rinascita verde. Dal cinese Hu Jintao allo statunitense Obama, i leader si stanno rendendo conto che una rinascita verde - investire in fonti di energia rinnovabili, efficienza e nuove tecnologie - è il miglior modo per creare nuovi posti di lavoro e allo stesso tempo salvare il pianeta.
Tuttavia, nel vertice che si tiene questo fine settimana, i leader europei rischiano di non cogliere questa opportunità , se non facciamo sentire numerosi la nostra voce.
Alcuni politici europei, condizionati da interessi particolari, non riescono a superare la vecchia visione secondo cui per sostenere l´economia è necessario danneggiare l´ambiente, e viceversa. Se questa visione si impone,ingenti somme di denaro saranno spese per una crescita che avrà effetti devastanti per l´ambiente, mettendo in pericolo il mondo intero. Ma se alziamo ora la voce, possiamo far sì che si affermi un´inversione di rotta verso un´economia più verde e pulita che benefici tutti.
Clicca qui sotto per mandare un messaggio ai leader europei, chiedendo loro di impegnarsi per un piano di rinascita verde.
http://cdn.avaaz.org/it/europe_green_recovery
La rinascita verde non è un sogno, è già cominciata. Gli Stati uniti si sono impegnati a investire quasi l´1% del PIL in programmi di ripresa sostenibili. La Cina sta facendo veloci progressi, dedicando oltre un terzo del suo vasto programma per la ripresa economica a investimenti per l´ambiente, mentre la Corea del sud sta investendo due terzi del suo pacchetto economico nell´efficienza energetica, in lavori "verdi", trasporto pubblico ed energie rinnovabili.
La corsa globale verso un futuro più verde e più pulito potrebbe cominciare da qui. Ma se non riusciamo a passare a un sistema alimentato da energia pulita, qualsiasi crescita economica rischia di essere strozzata da una nuova impennata dei prezzi del petrolio nei prossimi due anni.
E´ in gioco molto più dell´Europa. Ad aprile, i rappresentanti delle 20 più grandi economie del mondo si riuniranno a Londra per discutere i piani globali per una risposta coordinata alla crisi economica. Agendo ora, possiamo far sì che la ricrescita sostenibile sia al centro della loro agenda economica e che i leader del mondo comincino il cammino che porta al nuovo accordo sul clima che sarà firmato a dicembre a Copenhagen.
Se un numero sufficiente di persone scrive ora ai nostri leader, possiamo mostrare loro che rifiutiamo l´aut aut tra economia oggi e clima domani,perché è falso. Vai ora al nostro link per chiedere all´Europa di aderire subito alla rinascita verde, che crea i lavori del futuro, pone fine alla nostra dipendenza dai combustibili inquinanti e pone le basi per una crescita economica sostenibile:
http://cdn.avaaz.org/it/europe_green_recovery
Con rinnovata speranza,
Ben, Luis, Iain, Ricken, Paul, Alice, Brett, Paula, Graziela, Milena,
Pascal, Veronique - e tutto il team di Avaaz.
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TRANSUMANZA
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sabato 28 febbraio 2009
venerdì 27 febbraio 2009
Nuove non proprio buone dall'India.
Riporto dal sito www.comedonchisciotte.org un articolo sul drammatico e costante incremento di suicidi, tra gli agricoltori indiani, a partire dal 2001. Della questione si sta scrupolosamente occupando, da diversi anni, la scienziata Vandana Shiva, una delle figure più in vista del movimento No Global. Ho avuto modo di intervistarla a Delhi nel febbraio 2006, per un articolo sul mensile ecologico AAM Terranuova, registrando la sua amarezza per un’India che sta sicuramente irrompendo nella storia ma sulle spalle di milioni , centinaia di milioni di persone che stanno ogni giorno peggio anziché meglio. Tra questi senz’altro gli agricoltori, prime vittime dello “sviluppo agricolo del paese” e del mantra “l’esportazione porta alla crescita”.
Per quello che ho avuto modo di vedere, la campagna indiana è sorprendentemente magica. Vi si respira quel che molti indologi hanno definito “l’abolizione del tempo”. Tuttavia, drammi inenarrabili si celano dietro i poveri teli delle sue casupole, legati alla miseria e a tutte le espressioni di degrado ad essa correlate: analafabetismo, alcoolismo, violenza. Lascio ora spazio all’articolo citato sperando che il pessimismo, presso voi lettori, non prenda il sopravvento.
Il numero di agricoltori che si sono suicidati in India tra il 1997 e il 2007 ha raggiunto ora le 182.936 unità. Quasi i due terzi di questi suicidi si sono verificati in cinque stati (l’India è composta da 28 Stati e da sette Unioni territoriali). Questi 5 grandi stati, Maharashtre, Karnataka, Andhra Pradesh, Madya e Chattisgarh, rappresentano circa un terzo della popolazione dell’intero Paese e i due terzi dei contadini suicidi. In questi stati l’indice di suicidi tra gli agricoltori è molto più alto di quello rilevato in altre fasce sociali. I suicidi di questo tipo stanno aumentando anche in altri stati del Paese.
E’ significativo notare che il numero di contadini che si tolgono la vita è in aumento anche se il numero di agricoltori è in diminuzione, perciò l’indice è valutato su un numero base che si sta contraendo. Nel decennio che va dal 1991 e il 2001 quasi 8 milioni di persone hanno lasciato il lavoro nelle fattorie. Da allora l’indice di abbandono è sempre cresciuto, ma solo nel 2011 potremo avere dei dati aggiornati.
Questi dati sui suicidi sono ufficiali, ma sono tendenzialmente molto sottostimati anche se già così sono abbastanza brutti. Il numero dei suicidi in India viene registrato dal National Crime Records Bureau (NCRB), un settore del Ministero degli affari interni del Governo indiano. Lo stesso NCRB sembra dare poco credito a questi dati. Tuttavia gli Stati nei quali vengono raccolti lasciano fuori migliaia di persone dalla definizione di “agricoltori” e quindi questo abbassa le cifre. Ad esempio, le donne che fanno questo lavoro non vengono usualmente accettate come “agricoltrici” (abitualmente le terre non sono quasi mai a loro nome). Esse lavorano in agricoltura ma sono considerate solo “mogli di coltivatori”. Ciò permette al governo di escludere un’ infinità di donne suicide. Infatti vengono registrate solo come “morte per suicidio”, ma non come “contadine suicide”. In ugual modo anche molte altre fasce sociali sono state escluse da questa lista.
L’esplosione di suicidi fra gli agricoltori, la più grossa ondata di morti simili mai registrata nella storia, s’è verificata in parallelo al fatto che l’India ha abbracciato il neoliberismo dello 'splendido nuovo mondo' ['brave new world' citazione del romanzo di A. Huxley n.d.r.]. Su questo processo e su come abbia influenzato l’agricoltura, sono state scritte sino ad ora numerose relazioni sul sito Counterpunch. L’indice dei contadini suicidi è peggiorato in particolare dopo il 2001, anno in cui l’India seguiva già il percorso indicato dal WTO (World Trade Organization) per lo sviluppo agricolo. Il numero dei suicidi nei cinque anni che vanno dal 1997 al 2001 è stato di 78.737 unità (ovvero una media di 15.747 suicidi l’anno). Lo stesso indice nel quinquennio che va dal 2002 al 2006 è stato di 87.567 (cioè 17.513 suicidi in media all’anno). Ciò significa che nei cinque anni successivi al 2001, in media ogni 30 minuti un agricoltore, o una contadina, si sono tolti la vita. I dati del 2007 (in dettaglio più avanti) collocano anche quest’anno fra quelli con l’andamento più elevato.
Che cosa hanno in comune tutti questi agricoltori suicidi? Coloro che si sono uccisi avevano grossi debiti – i debiti delle famiglie contadine sono raddoppiati nella prima decade di "riforme economiche" neoliberiste, passando dal 26 al 48,6 per cento. Abbiamo avuto questi dati dal National Sample Survey. Ma negli stati peggiori, la percentuale di questi contadini è ben più elevata. Per esempio l’82 per cento di tutti i proprietari di fattorie dell’Andhra Predesh erano indebitati a partire dal 2001/02. Quelli che si sono suicidati erano agricoltori che producevano raccolti da porre subito in vendita ["cash crop" n.d.r.] e che sono stati sopraffatti dai debiti : coltivatori di cotone, caffè, canna da zucchero, noccioline, pepe e vaniglia. (Ci sono meno suicidi fra i coltivatori di raccolti per l’alimentazione, cioè coltivatori di riso, frumento, mais e legumi). La splendida filosofia del nuovo mondo ha costretto milioni di coltivatori del Terzo Mondo a lasciare la coltivazione destinata all’alimentazione (con il mantra “l’esportazione porta alla crescita”). In India per milioni di coltivatori di prodotti per la sussistenza ciò ha significato coltivazioni a costi molto più elevati, con oneri molto più pesanti, debiti maggiori, e ritrovarsi inseriti in un mercato con prezzi soggetti alla grande volatilità del mercato globale. Questo è un settore dominato e gestito da una manciata di società multinazionali. La portata dell’impatto che lo spostamento del mercato ha avuto sui coltivatori si può rilevare da questo: di solito coltivare a riso un acro in Kerala costava più o meno 8.000 rupie (circa 165 dollari di oggi) all’ingrosso. Quando molti hanno spostato la coltivazione sulla vaniglia, il costo per acro (nel 2003/04) è salito quasi a 150.000 rupie (pari a 3.000 dollari; un dollaro equivale a circa 50 Rupie).
Con grandi società che commerciano semi e sostituiscono i semi ibridi e le varietà tradizionali, a buon mercato, con i loro prodotti, un coltivatore di cotone avrebbe dovuto pagare alla rete di Monsanto per le semenze molto più di quanto avesse mai immaginato di spendere. Le varietà locali e quelle ibride erano state espulse dal mercato con l’entusiastico supporto dello stato. Nel 1991 potevate comperare un chilo di semenza locale per poco, più o meno per 7 Rs o per 9 Rs nelle zone più care come Vidarbha. Dal 2003 avreste dovuto pagare 350 Rs (7 dollari) per un sacchetto da 450 grammi di semi ibridi. Dal 2004 i soci di Monsanto hanno messo sul mercato un sacchetto da 450 grammi di semi di Bt Cotone per un costo che oscillava fra le 1.650 e le 1800 Rs (da 33 a 36 dollari). Questi prezzi sono drammaticamente caduti nel giro di una notte a causa di un forte intervento governativo nell’Andhra Pradesh dove il Governo era cambiato dopo le elezioni del 2004. Il prezzo è caduto abbassandosi a circa 900 Rs (18 dollari), ma resta tuttavia ancora molto più alto del 1991 e anche del 2003.
Nel contempo la diseguaglianza era il grande cannibale fra le nazioni “Tigri emergenti” del mondo in via di sviluppo. La commercializzazione predatoria delle aree rurali aveva devastato tutti gli altri aspetti della vita sia per gli agricoltori che per i braccianti. I costi sanitari, ad esempio, salirono alle stelle. Migliaia di ragazzi lasciarono sia la scuola che le università per andare a lavorare con i loro genitori agricoltori (inclusi molti ricercatori). Per gli agricoltori indiani la media mensile delle spese pro capite era di 503 rupie (10 dollari) all’inizio dell’ultimo decennio. Il 60 per cento di questa cifra veniva speso per il cibo ed un altro 18 per cento per carburante, abiti e calzature.
Gli agricoltori spendono così tanto per mangiare? Per cominciare, milioni di piccoli o marginali coltivatori indiani sono acquirenti di cereali. Non producono abbastanza per sfamare anche la loro famiglia e devono lavorare nei campi altrui e anche altrove per superare il problema. Dovendo acquisire sul mercato parte dei cereali di cui necessitano, vengono duramente colpiti dall’aumento dei prezzi alimentari, così come è accaduto sin dal 1991 e con particolare forza all’inizio di quest’anno. La fame, fra coloro che producono cibo, è una cosa molto diffusa e reale. A ciò s’aggiunge il fatto che la disponibilità di cereali pro capite fra gli indiani s’è drammaticamente abbassata a cominciare dall’inizio della “riforma”: dai 510 grammi per indiano del 1991 ai 422 grammi del 2005. (Non si tratta di una goccia di 88 grammi. E’ una cascata di 88 grammi moltiplicati per 365 e poi per un miliardo di indiani). Come ha sempre evidenziato con forza il professor Utsa Patnaik, il principale esperto di economia del settore agricolo, le famiglie povere oggi hanno in media 100 chili in meno di quanto avevano solo 10 anni fa – mentre l’élite mangia a più non posso. Per molti lo spostamento dal raccolto per uso alimentare a coltivazioni da porre in vendita (o esportare) ha peggiorato le cose. A fine giornata potete ancora mangiare il vostro piatto di riso. E’ difficile digerire il cotone!. Frattanto anche il settore dei cereali sta passando sotto il controllo delle aziende che truccano i prezzi. All’inizio di quest’anno le speculazioni sui mercati dei futures hanno fatto lievitare il costo del grano in tutto il mondo.
Il modello neoliberista che ha forzato la crescita attraverso un certo genere di consumi, intanto , ha quasi imposto un reindirizzo di grosse quantità di denaro distogliendole dal credito rurale per alimentare lo stile di vita cui aspirano le fasce sociali alte delle città (ed anche della campagna). Migliaia di Banche rurali hanno chiuso nei quindici anni che vanno dal 1993 al 2007.
I guadagni degli agricoltori sono crollati, così come i prezzi per i raccolti posti sul mercato, grazie agli osceni contributi alle corporazioni ed ai ricchi agricoltori dell’occidente, da parte degli USA e dell’Europa. La loro battaglia sui sussidi ai cotonieri (un valore di miliardi di dollari) ha distrutto gli agricoltori del settore e non solamente in India, ma anche in nazioni africane quali il Burkina Faso, il Benin, il Mali ed il Chad. Nel contempo, tutt’insieme, l’India ha cominciato a ridurre gli investimenti nell’agricoltura (la procedura standard del sistema neoliberista). La vita così è diventata sempre più impossibile per i piccoli agricoltori.
Mentre i costi salgono, il credito si riduce. Il debito è fuori controllo. I sussidi hanno distrutto i loro prezzi. La mancanza di investimenti per l’agricoltura (un valore di miliardi di dollari ogni anno) ha mandato in malora le campagne. L’India ha anche tagliato gran parte dei pochi patetici aiuti che manteneva verso i suoi agricoltori. Il caos era completo. A cominciare dalla fine degli Anni Novanta i suicidi si sono susseguiti a un tasso che è apparso poi molto spedito. Infatti la crisi agraria dell’India si può riassumere in cinque parole (chiamiamola "Crisi dell’agricoltura 101"): la spinta verso l'agricoltura aziendale. La strada (in cinque parole): la commercializzazione predatoria della campagna. Il risultato: la più grande destituzione della nostra storia.
Le corporazioni non hanno ancora il diretto controllo delle terre agricole indiane e non vi operano direttamente giorno per giorno. Però hanno bloccato ogni altro settore, entrate, sbocchi, distribuzione, prezzi e stanno anche intestandosi il controllo delle acque (che in India è già privatizzato in un modo o in un altro).
Il più alto numero di suicidi si è verificato nello Stato del Maharashstra, che accoglie la Borsa valori di Mumbai e nella cui capitale, Mumbai appunto, vivono 21 dei 51 miliardari (in dollari) indiani ed oltre un quarto dei 100 mila milionari (in dollari) del Paese. Mumbai è balzata alla ribalta della cronaca mondiale lo scorso novembre quando i terroristi hanno massacrato 180 persone nella città durante un orribile attacco. Dal 1995, nello stato del quale Mumbai è la capitale, si sono verificati 40.666 suicidi di agricoltori, senza che la stampa vi abbia dato grande importanza.
Nel Maharashstra i suicidi degli agricoltori hanno superato le 4000 unità ancora nel 2007, per la quarta volta in quattro anni, secondo i dati del National Crime Records Bureau. Quell’anno si sono tolti la vita 4.238 agricoltori e sono queste le ultime stime disponibili sul totale di 16.632 suicidi nell’intero Stato. Questa cifra totale è leggermente in decrescita rispetto ai 17.060 suicidi del 2006. Ma l’andamento degli ultimi dieci anni non sembra essersi mosso. Gli agricoltori suicidi nell’intero Paese dal 1997 a ora hanno raggiunto le 182.936 unità.
Ripetiamo che le statistiche dei cinque Stati peggiori - Maharashstra, Andhra Pradesh, Karnataka, madhya Pradesh e Chattisgarh – rappresentano i due terzi di tutti gli agricoltori che si sono suicidati in India. Nel 2007, tutti insieme, hanno visto 11.026 suicidi. Il 38 per cento di questi si è verificato nello Stato di Maharashtra. L’Andhra Pradesh ha visto una riduzione di 810 suicidi rispetto al totale raggiunto nel 2006. Il Karnataka ha invece visto un aumento di 415 suicidi rispetto allo stesso periodo. Madhya Pradesh con 1.375 ha registrato una diminuzione di 112. Ma Chattisgarh con 1593 suicidi ha avuto un aumento di 110 unità rispetto al 2006.
Ci sono precisi fattori, in questi Stati, che favoriscono e aumentano il problema. Queste sono zone a grande diversificazione nella commercializzazione dei prodotti agricoli, nelle quali dominai 'cash crops'. Il problema dell’acqua è sempre stato comune più o meno a tutti gli Stati ed è peggiorato con l’uso delle tecnologie quali i semi Bt che richiedono un grande quantitativo d’acqua. Sono anche fattori comuni i forti impulsi esterni sui costi così come l’uso di pesticidi e di prodotti chimici. E’ indubbio che la deregulation scava un sacco di tombe e accende moltissime pire.
Il Maharashtra ha registrato una diminuzione di 215 unità nei suicidi di agricoltori nel 2007. Comunque nessun altro Stato ha ancora raggiunto le 3000 unità. E l’Andhra Pradesh (con 1.797 morti suicidi) ed il Karnataka (2.135) – gli altri due Stati peggiori – insieme non raggiungono i 4000 morti del Maharashtra. Nel Maharashstra un solo anno ha registrato una diminuzione di 221 suicidi, nel 2005, ma è stato seguito da un 2006 con 4.453 morti, un record nella statistica di suicidi. La tendenza in questo Stato non mostra modifiche e resta lugubre.
I numeri del 2007 nel Maharashtra, 4.238 suicidi, giungono dopo un anno e mezzo di “pacchetti-soccorso” destinati agli agricoltori per un valore di 5000 crore di rupie (1 miliardo di dollari) ed una visita del primo ministro a metà del 2006 nella dissestata regione del Vidharbha. Lo Stato ha anche visionato una pletora di rapporti ufficiali, studi e commissioni d’inchiesta tra il 2005 e il 2007, destinate ad affrontare il problema. In ogni caso i 12.617 agricoltori suicidatisi negli stessi anni è il peggior indice mai raggiunto prima sulle stime triennali da quando lo Stato ha cominciato a registrare questi dati, e cioè dal 1995. E in realtà, gli agricoltori che si sono suicidati nel Maharashtra a cominciare da quell’anno hanno toccato le 40.000 unità. Le cause strutturali di questa crisi paiono comunque intatte.
A livello nazionale, i suicidi degli agricoltori tra il 2002 e il 2007 sono stati di più rispetto al periodo che va dal 1991 al 2001. Ora sono disponibili i dati del NCRB dal 1997 al 2007 rispetto all’intero paese. Nei cinque anni sino al 2001 ci sono stati 15.747 suicidi di media all’anno. Per i sei anni successivi, dal 2002 al 2007, questa media è di 17.366 suicidi per anno. L’aumento è dolorosamente più alto negli stati dove la crisi è maggiore.
P.Sainath è l’editore della rivista rurale “The Hindu” ed è l’autore di “Everybody loves a Good Drought”. Collabora regolarmente al sito Countr Punch gli si può scrivere una mail a psainath@vsnl.com.
Titolo originale: "The Largest Wave of Suicides in History "
Fonte: http://www.counterpunch.org
Link 12.02.2009
Per quello che ho avuto modo di vedere, la campagna indiana è sorprendentemente magica. Vi si respira quel che molti indologi hanno definito “l’abolizione del tempo”. Tuttavia, drammi inenarrabili si celano dietro i poveri teli delle sue casupole, legati alla miseria e a tutte le espressioni di degrado ad essa correlate: analafabetismo, alcoolismo, violenza. Lascio ora spazio all’articolo citato sperando che il pessimismo, presso voi lettori, non prenda il sopravvento.
Il numero di agricoltori che si sono suicidati in India tra il 1997 e il 2007 ha raggiunto ora le 182.936 unità. Quasi i due terzi di questi suicidi si sono verificati in cinque stati (l’India è composta da 28 Stati e da sette Unioni territoriali). Questi 5 grandi stati, Maharashtre, Karnataka, Andhra Pradesh, Madya e Chattisgarh, rappresentano circa un terzo della popolazione dell’intero Paese e i due terzi dei contadini suicidi. In questi stati l’indice di suicidi tra gli agricoltori è molto più alto di quello rilevato in altre fasce sociali. I suicidi di questo tipo stanno aumentando anche in altri stati del Paese.
E’ significativo notare che il numero di contadini che si tolgono la vita è in aumento anche se il numero di agricoltori è in diminuzione, perciò l’indice è valutato su un numero base che si sta contraendo. Nel decennio che va dal 1991 e il 2001 quasi 8 milioni di persone hanno lasciato il lavoro nelle fattorie. Da allora l’indice di abbandono è sempre cresciuto, ma solo nel 2011 potremo avere dei dati aggiornati.
Questi dati sui suicidi sono ufficiali, ma sono tendenzialmente molto sottostimati anche se già così sono abbastanza brutti. Il numero dei suicidi in India viene registrato dal National Crime Records Bureau (NCRB), un settore del Ministero degli affari interni del Governo indiano. Lo stesso NCRB sembra dare poco credito a questi dati. Tuttavia gli Stati nei quali vengono raccolti lasciano fuori migliaia di persone dalla definizione di “agricoltori” e quindi questo abbassa le cifre. Ad esempio, le donne che fanno questo lavoro non vengono usualmente accettate come “agricoltrici” (abitualmente le terre non sono quasi mai a loro nome). Esse lavorano in agricoltura ma sono considerate solo “mogli di coltivatori”. Ciò permette al governo di escludere un’ infinità di donne suicide. Infatti vengono registrate solo come “morte per suicidio”, ma non come “contadine suicide”. In ugual modo anche molte altre fasce sociali sono state escluse da questa lista.
L’esplosione di suicidi fra gli agricoltori, la più grossa ondata di morti simili mai registrata nella storia, s’è verificata in parallelo al fatto che l’India ha abbracciato il neoliberismo dello 'splendido nuovo mondo' ['brave new world' citazione del romanzo di A. Huxley n.d.r.]. Su questo processo e su come abbia influenzato l’agricoltura, sono state scritte sino ad ora numerose relazioni sul sito Counterpunch. L’indice dei contadini suicidi è peggiorato in particolare dopo il 2001, anno in cui l’India seguiva già il percorso indicato dal WTO (World Trade Organization) per lo sviluppo agricolo. Il numero dei suicidi nei cinque anni che vanno dal 1997 al 2001 è stato di 78.737 unità (ovvero una media di 15.747 suicidi l’anno). Lo stesso indice nel quinquennio che va dal 2002 al 2006 è stato di 87.567 (cioè 17.513 suicidi in media all’anno). Ciò significa che nei cinque anni successivi al 2001, in media ogni 30 minuti un agricoltore, o una contadina, si sono tolti la vita. I dati del 2007 (in dettaglio più avanti) collocano anche quest’anno fra quelli con l’andamento più elevato.
Che cosa hanno in comune tutti questi agricoltori suicidi? Coloro che si sono uccisi avevano grossi debiti – i debiti delle famiglie contadine sono raddoppiati nella prima decade di "riforme economiche" neoliberiste, passando dal 26 al 48,6 per cento. Abbiamo avuto questi dati dal National Sample Survey. Ma negli stati peggiori, la percentuale di questi contadini è ben più elevata. Per esempio l’82 per cento di tutti i proprietari di fattorie dell’Andhra Predesh erano indebitati a partire dal 2001/02. Quelli che si sono suicidati erano agricoltori che producevano raccolti da porre subito in vendita ["cash crop" n.d.r.] e che sono stati sopraffatti dai debiti : coltivatori di cotone, caffè, canna da zucchero, noccioline, pepe e vaniglia. (Ci sono meno suicidi fra i coltivatori di raccolti per l’alimentazione, cioè coltivatori di riso, frumento, mais e legumi). La splendida filosofia del nuovo mondo ha costretto milioni di coltivatori del Terzo Mondo a lasciare la coltivazione destinata all’alimentazione (con il mantra “l’esportazione porta alla crescita”). In India per milioni di coltivatori di prodotti per la sussistenza ciò ha significato coltivazioni a costi molto più elevati, con oneri molto più pesanti, debiti maggiori, e ritrovarsi inseriti in un mercato con prezzi soggetti alla grande volatilità del mercato globale. Questo è un settore dominato e gestito da una manciata di società multinazionali. La portata dell’impatto che lo spostamento del mercato ha avuto sui coltivatori si può rilevare da questo: di solito coltivare a riso un acro in Kerala costava più o meno 8.000 rupie (circa 165 dollari di oggi) all’ingrosso. Quando molti hanno spostato la coltivazione sulla vaniglia, il costo per acro (nel 2003/04) è salito quasi a 150.000 rupie (pari a 3.000 dollari; un dollaro equivale a circa 50 Rupie).
Con grandi società che commerciano semi e sostituiscono i semi ibridi e le varietà tradizionali, a buon mercato, con i loro prodotti, un coltivatore di cotone avrebbe dovuto pagare alla rete di Monsanto per le semenze molto più di quanto avesse mai immaginato di spendere. Le varietà locali e quelle ibride erano state espulse dal mercato con l’entusiastico supporto dello stato. Nel 1991 potevate comperare un chilo di semenza locale per poco, più o meno per 7 Rs o per 9 Rs nelle zone più care come Vidarbha. Dal 2003 avreste dovuto pagare 350 Rs (7 dollari) per un sacchetto da 450 grammi di semi ibridi. Dal 2004 i soci di Monsanto hanno messo sul mercato un sacchetto da 450 grammi di semi di Bt Cotone per un costo che oscillava fra le 1.650 e le 1800 Rs (da 33 a 36 dollari). Questi prezzi sono drammaticamente caduti nel giro di una notte a causa di un forte intervento governativo nell’Andhra Pradesh dove il Governo era cambiato dopo le elezioni del 2004. Il prezzo è caduto abbassandosi a circa 900 Rs (18 dollari), ma resta tuttavia ancora molto più alto del 1991 e anche del 2003.
Nel contempo la diseguaglianza era il grande cannibale fra le nazioni “Tigri emergenti” del mondo in via di sviluppo. La commercializzazione predatoria delle aree rurali aveva devastato tutti gli altri aspetti della vita sia per gli agricoltori che per i braccianti. I costi sanitari, ad esempio, salirono alle stelle. Migliaia di ragazzi lasciarono sia la scuola che le università per andare a lavorare con i loro genitori agricoltori (inclusi molti ricercatori). Per gli agricoltori indiani la media mensile delle spese pro capite era di 503 rupie (10 dollari) all’inizio dell’ultimo decennio. Il 60 per cento di questa cifra veniva speso per il cibo ed un altro 18 per cento per carburante, abiti e calzature.
Gli agricoltori spendono così tanto per mangiare? Per cominciare, milioni di piccoli o marginali coltivatori indiani sono acquirenti di cereali. Non producono abbastanza per sfamare anche la loro famiglia e devono lavorare nei campi altrui e anche altrove per superare il problema. Dovendo acquisire sul mercato parte dei cereali di cui necessitano, vengono duramente colpiti dall’aumento dei prezzi alimentari, così come è accaduto sin dal 1991 e con particolare forza all’inizio di quest’anno. La fame, fra coloro che producono cibo, è una cosa molto diffusa e reale. A ciò s’aggiunge il fatto che la disponibilità di cereali pro capite fra gli indiani s’è drammaticamente abbassata a cominciare dall’inizio della “riforma”: dai 510 grammi per indiano del 1991 ai 422 grammi del 2005. (Non si tratta di una goccia di 88 grammi. E’ una cascata di 88 grammi moltiplicati per 365 e poi per un miliardo di indiani). Come ha sempre evidenziato con forza il professor Utsa Patnaik, il principale esperto di economia del settore agricolo, le famiglie povere oggi hanno in media 100 chili in meno di quanto avevano solo 10 anni fa – mentre l’élite mangia a più non posso. Per molti lo spostamento dal raccolto per uso alimentare a coltivazioni da porre in vendita (o esportare) ha peggiorato le cose. A fine giornata potete ancora mangiare il vostro piatto di riso. E’ difficile digerire il cotone!. Frattanto anche il settore dei cereali sta passando sotto il controllo delle aziende che truccano i prezzi. All’inizio di quest’anno le speculazioni sui mercati dei futures hanno fatto lievitare il costo del grano in tutto il mondo.
Il modello neoliberista che ha forzato la crescita attraverso un certo genere di consumi, intanto , ha quasi imposto un reindirizzo di grosse quantità di denaro distogliendole dal credito rurale per alimentare lo stile di vita cui aspirano le fasce sociali alte delle città (ed anche della campagna). Migliaia di Banche rurali hanno chiuso nei quindici anni che vanno dal 1993 al 2007.
I guadagni degli agricoltori sono crollati, così come i prezzi per i raccolti posti sul mercato, grazie agli osceni contributi alle corporazioni ed ai ricchi agricoltori dell’occidente, da parte degli USA e dell’Europa. La loro battaglia sui sussidi ai cotonieri (un valore di miliardi di dollari) ha distrutto gli agricoltori del settore e non solamente in India, ma anche in nazioni africane quali il Burkina Faso, il Benin, il Mali ed il Chad. Nel contempo, tutt’insieme, l’India ha cominciato a ridurre gli investimenti nell’agricoltura (la procedura standard del sistema neoliberista). La vita così è diventata sempre più impossibile per i piccoli agricoltori.
Mentre i costi salgono, il credito si riduce. Il debito è fuori controllo. I sussidi hanno distrutto i loro prezzi. La mancanza di investimenti per l’agricoltura (un valore di miliardi di dollari ogni anno) ha mandato in malora le campagne. L’India ha anche tagliato gran parte dei pochi patetici aiuti che manteneva verso i suoi agricoltori. Il caos era completo. A cominciare dalla fine degli Anni Novanta i suicidi si sono susseguiti a un tasso che è apparso poi molto spedito. Infatti la crisi agraria dell’India si può riassumere in cinque parole (chiamiamola "Crisi dell’agricoltura 101"): la spinta verso l'agricoltura aziendale. La strada (in cinque parole): la commercializzazione predatoria della campagna. Il risultato: la più grande destituzione della nostra storia.
Le corporazioni non hanno ancora il diretto controllo delle terre agricole indiane e non vi operano direttamente giorno per giorno. Però hanno bloccato ogni altro settore, entrate, sbocchi, distribuzione, prezzi e stanno anche intestandosi il controllo delle acque (che in India è già privatizzato in un modo o in un altro).
Il più alto numero di suicidi si è verificato nello Stato del Maharashstra, che accoglie la Borsa valori di Mumbai e nella cui capitale, Mumbai appunto, vivono 21 dei 51 miliardari (in dollari) indiani ed oltre un quarto dei 100 mila milionari (in dollari) del Paese. Mumbai è balzata alla ribalta della cronaca mondiale lo scorso novembre quando i terroristi hanno massacrato 180 persone nella città durante un orribile attacco. Dal 1995, nello stato del quale Mumbai è la capitale, si sono verificati 40.666 suicidi di agricoltori, senza che la stampa vi abbia dato grande importanza.
Nel Maharashstra i suicidi degli agricoltori hanno superato le 4000 unità ancora nel 2007, per la quarta volta in quattro anni, secondo i dati del National Crime Records Bureau. Quell’anno si sono tolti la vita 4.238 agricoltori e sono queste le ultime stime disponibili sul totale di 16.632 suicidi nell’intero Stato. Questa cifra totale è leggermente in decrescita rispetto ai 17.060 suicidi del 2006. Ma l’andamento degli ultimi dieci anni non sembra essersi mosso. Gli agricoltori suicidi nell’intero Paese dal 1997 a ora hanno raggiunto le 182.936 unità.
Ripetiamo che le statistiche dei cinque Stati peggiori - Maharashstra, Andhra Pradesh, Karnataka, madhya Pradesh e Chattisgarh – rappresentano i due terzi di tutti gli agricoltori che si sono suicidati in India. Nel 2007, tutti insieme, hanno visto 11.026 suicidi. Il 38 per cento di questi si è verificato nello Stato di Maharashtra. L’Andhra Pradesh ha visto una riduzione di 810 suicidi rispetto al totale raggiunto nel 2006. Il Karnataka ha invece visto un aumento di 415 suicidi rispetto allo stesso periodo. Madhya Pradesh con 1.375 ha registrato una diminuzione di 112. Ma Chattisgarh con 1593 suicidi ha avuto un aumento di 110 unità rispetto al 2006.
Ci sono precisi fattori, in questi Stati, che favoriscono e aumentano il problema. Queste sono zone a grande diversificazione nella commercializzazione dei prodotti agricoli, nelle quali dominai 'cash crops'. Il problema dell’acqua è sempre stato comune più o meno a tutti gli Stati ed è peggiorato con l’uso delle tecnologie quali i semi Bt che richiedono un grande quantitativo d’acqua. Sono anche fattori comuni i forti impulsi esterni sui costi così come l’uso di pesticidi e di prodotti chimici. E’ indubbio che la deregulation scava un sacco di tombe e accende moltissime pire.
Il Maharashtra ha registrato una diminuzione di 215 unità nei suicidi di agricoltori nel 2007. Comunque nessun altro Stato ha ancora raggiunto le 3000 unità. E l’Andhra Pradesh (con 1.797 morti suicidi) ed il Karnataka (2.135) – gli altri due Stati peggiori – insieme non raggiungono i 4000 morti del Maharashtra. Nel Maharashstra un solo anno ha registrato una diminuzione di 221 suicidi, nel 2005, ma è stato seguito da un 2006 con 4.453 morti, un record nella statistica di suicidi. La tendenza in questo Stato non mostra modifiche e resta lugubre.
I numeri del 2007 nel Maharashtra, 4.238 suicidi, giungono dopo un anno e mezzo di “pacchetti-soccorso” destinati agli agricoltori per un valore di 5000 crore di rupie (1 miliardo di dollari) ed una visita del primo ministro a metà del 2006 nella dissestata regione del Vidharbha. Lo Stato ha anche visionato una pletora di rapporti ufficiali, studi e commissioni d’inchiesta tra il 2005 e il 2007, destinate ad affrontare il problema. In ogni caso i 12.617 agricoltori suicidatisi negli stessi anni è il peggior indice mai raggiunto prima sulle stime triennali da quando lo Stato ha cominciato a registrare questi dati, e cioè dal 1995. E in realtà, gli agricoltori che si sono suicidati nel Maharashtra a cominciare da quell’anno hanno toccato le 40.000 unità. Le cause strutturali di questa crisi paiono comunque intatte.
A livello nazionale, i suicidi degli agricoltori tra il 2002 e il 2007 sono stati di più rispetto al periodo che va dal 1991 al 2001. Ora sono disponibili i dati del NCRB dal 1997 al 2007 rispetto all’intero paese. Nei cinque anni sino al 2001 ci sono stati 15.747 suicidi di media all’anno. Per i sei anni successivi, dal 2002 al 2007, questa media è di 17.366 suicidi per anno. L’aumento è dolorosamente più alto negli stati dove la crisi è maggiore.
P.Sainath è l’editore della rivista rurale “The Hindu” ed è l’autore di “Everybody loves a Good Drought”. Collabora regolarmente al sito Countr Punch gli si può scrivere una mail a psainath@vsnl.com.
Titolo originale: "The Largest Wave of Suicides in History "
Fonte: http://www.counterpunch.org
Link 12.02.2009
lunedì 23 febbraio 2009
La comunità della settimana: la comune di Urupia.
Per rispettare il volere "delle comunarde" che non vogliono altri scrivano della loro realtà senza sottoporre ad un loro esame critico quanto scritto, riporto di seguito la presentazione che loro stesse hanno fatto dell'esperienza comunitaria di cui sono protagoniste.
Urupia: una comune libertaria nel Salento.
Il progetto Urupia nasce all'inizio degli anni novanta dall'incontro tra un gruppo di salentini – all'epoca quasi tutti redattori della rivista Senza Patria – e alcune persone di origine tedesca, “militanti” della sinistra radicale in Germania.
Tre anni di seminari, scambi epistolari, incontri dibattiti, accompagnano un percorso di conoscenza, di chiarificazione degli obiettivi e dei contenuti del progetto, di definizione dei metodi organizzativi, delle prospettive economiche, delle possibilità politiche, ecc.
Il progetto decolla “uffucialmente” nel 1995, con l'acquisto di alcuni fabbricati rurali e di circa 24 ettari di terreno nelle campagne di francavilla Fontana, nel Salento, a metà strada tra brindisi e taranto.
La masseria – così da noi si chiamano i cascinali di campagna – e i terreni vengono acquistati grazie alle (poche) possibilità economiche delle comunarde e a diverse sottoscrizioni, crediti e donazioni di compagne e compagni italiani e tedeschi. La proprietà di questi beni viene intestata all'Associazione Urupia, figura giuridica senza scopo di lucro, creata appositamente per poter sottrarre alla proprietà privata la disponibilità legale dei beni e dei mezzi di produzione della Comune.
La Comune Urupia diviene così realtà: suoi principi costitutivi sono soprattutto l'assenza della proprietà privata e il principio del consenso, ossia l'unanimità delle decisioni. Questi “punti consensuali” vengono scelti nella convinzione che, in qualsiasi contesto sociale, una vera uguaglianza politica non sia realizzabile senza la base di una uguaglianza economica, e vengono assunti come corollario al desiderio di porre l'individuo, la sua autonomia e la sua felicità a fondamento di qualsiasi sviluppo sociale.
Urupia comincia a “vivere” nella primavera del '95 con la ristrutturazione dei fabbricati – quasi 2000 metri quadri di strutture murarie coperte – e con la messa a coltura dei terreni della Comune, entrambi da anni in condizioni di avanzato abbandono.
Da allora tutti gli impianti fondamentali sono stati realizzati: acqua, luce, gas, riscaldamento, un impianto pilota di fitodepurazione per le acque di scarico, due impianti solari per la produzione di acqua calda, una fitta rete di tubazioni per l'irrigazione delle colture nelle campagne. Diversi spazi abitativi sono stati ristrutturati, così come molte delle infrastrutture della vita quotidiana: la cucina, i bagni, i magazzini , i forni, diversi laboratori, ricoveri per attrezzi, un campeggio attrezzato per gli ospiti estivi, un locale per lo stoccaggio e la vendita dell'olio, una nuova cantina, un capannone per le attività sociali e culturali...
I terreni sono stati quasi tutti messi a coltura: più di 10 ettari di oliveto, tre ettari e mezzo di vigne, un ettaro di orto, i seminativi, i frutteti, ecc. Migliaia di nuove piante sono state messe a dimora.
Qualcuno ha detto che a urupia si lavora “troppo”: e in realtà, se ci si guarda in giro, e si è stati qui almeno una volta all'inizio, non ci si può sottrarre alla sensazione di un'enorme, fervida, interminabile mole di attività che ha trasformato completamente, in poco più di 10 anni, l'aspetto di questo posto. Ma il lavoro a Urupia non è solo quello sui cantieri o nei campi: migliaia di ore di assemblee hanno impostato la nostra vita e le nostre scelte, regalandoci nello scambio maggiore consapevolezza e maggiore libertà praticamente su tutto: sui nostri limiti e sui nostri sogni, sulla cura dei figli e sull'uso delle auto, sulla guerra nei mille angoli del mondo e sull'allevamento degli animali, sui nostri consumi e sulle risorse del pianeta, sulla repressione politica ed economica e sulle nostre relazioni sociali...
Difficile descrivere oggi, dopo oltre 10 anni di vita, che cos'è la Comune Urupia; difficile dare un'idea, sia pure approssimativa, delle innumerevoli attività – poitiche, sociali, lavorative, economiche – svolte dal 1995 ad oggi dalle centinaia di persone che hanno animato questo laboratorio sociale dell'utopia. Nelle intenzioni delle comunarde che diedero vita al progetto, la Comune avrebbe dovuto rappresentare la realizzazione pratica di un'utopia libertaria: la possibilità, cioè, di raggiungere un alto livello di autosufficienza economica, di libertà politica e di solidarietà sociale attraverso il lavoro e l'agire collettivo, eliminando ogni forma di gerarchia, sia quelle determinate dalla proprietà che quelle legate al sesso, sia quelle fisiche che quelle intellettuali. Urupia doveva essere un laboratorio quotidiano dell'autogestione che riuscisse a permettere al tempo stesso il massimo sviluppo delle possibilità individuali e la massima negazione delle leggi del mercato, il rispetto delle diversità umane e l'opposizione alle leggi del privilegio e del profitto; la dimostrazione concreta, insomma, della possibilità di un vivere individuale e collettivo che negasse, di per sè, il più possibile, le ingiustizie del sistema dominante.
Quanto di tutto ciò siamo riusciti a realizzare, anche questo è difficile dire, e comunque, forse, non spetta neanche a noi, questo compito. Lontana da noi la presunzione di aver anche solo sfiorato il raggiungimento di simili ideali, viviamo invece quotidianamente la consapevolezza della difficoltà di un percorso di vera autogestione: i continui conflitti tra privato e collettivo, il costante riemergere di comodi meccanismi di delega e di ambigue gerarchie informali, la difficoltà del raggiungimento di una vera uguaglianza tra i sessi e di un rapporto di serena, efficace collaborazione tra uomini e donne, la risucchiante prepotenza delle peggiori leggi dell'economia, sono tutte contraddizioni che stanno lì ad indicarci quanta strada abbiamo ancora da fare, e quanto difficile sia questo percorso.
Contraddizioni alle quali, tuttavia, non abiamo alcuna intenzione di sottrarci, semplicemente rivendicando un ingenuo, quanto ipocrita, immobile “purismo”.
Ciò che è certo è che in questi anni non c'è stata critica – o suggerimento, o consiglio, o obiezione – che, per quanto brutalmente o confusamente espressa, non sia stata da noi seriamente presa in considerazione e discussa. Siamo sempre stati convinti del carattere sperimentale del nostro progetto e abbiamo sempre creduto di dover cercare soprattutto nelle nostre menti e nei nostri cuori le strade di una sincera e reale trasformazione sociale. Così alla fine urupia potrebbe anche essere vista come un crocevia di esperienze e di idee, come un teatro di sofferenze e di emozioni, di speranze e di amori, di rabbie e di incertezze; una piccola – ma quotidiana, continua – rappresentazione di una personale e collettiva ricerca di quel mondo migliore, più libero e giusto, nel quale sarebbe anche ora che cominciassimo a vivere, noi che ci avveleniamo il sangue per questo schifo di mondo che invece dobbiamo sopportare.
Associazione urupia
c.p. 29 – 74020 San Marzano di S.G. - TA
tel. 0831.890855
e-mail urupia@libero.it
Dall'etichetta dei prodotti:
La Cooperativa La Petrosa è gestita dalle comunarde di Urupia, un progetto libertario che dal '95 unisce nell'Alto Salento uomini e donne di diverse lingue e culture.
Principi costitutivi della Comune – nata come laboratorio di alternative concrete al modello sociale dominante – sono la proprietà collettiva dei beni e l'unanimità delle decisioni.
La cura dei terreni e la trasformazione dei prodotti non sono garantite per scelta da nessun marchio, ma solo dalla trasparenza delle pratiche adottate e dal rapporto diretto con le persone.
Urupia: una comune libertaria nel Salento.
Il progetto Urupia nasce all'inizio degli anni novanta dall'incontro tra un gruppo di salentini – all'epoca quasi tutti redattori della rivista Senza Patria – e alcune persone di origine tedesca, “militanti” della sinistra radicale in Germania.
Tre anni di seminari, scambi epistolari, incontri dibattiti, accompagnano un percorso di conoscenza, di chiarificazione degli obiettivi e dei contenuti del progetto, di definizione dei metodi organizzativi, delle prospettive economiche, delle possibilità politiche, ecc.
Il progetto decolla “uffucialmente” nel 1995, con l'acquisto di alcuni fabbricati rurali e di circa 24 ettari di terreno nelle campagne di francavilla Fontana, nel Salento, a metà strada tra brindisi e taranto.
La masseria – così da noi si chiamano i cascinali di campagna – e i terreni vengono acquistati grazie alle (poche) possibilità economiche delle comunarde e a diverse sottoscrizioni, crediti e donazioni di compagne e compagni italiani e tedeschi. La proprietà di questi beni viene intestata all'Associazione Urupia, figura giuridica senza scopo di lucro, creata appositamente per poter sottrarre alla proprietà privata la disponibilità legale dei beni e dei mezzi di produzione della Comune.
La Comune Urupia diviene così realtà: suoi principi costitutivi sono soprattutto l'assenza della proprietà privata e il principio del consenso, ossia l'unanimità delle decisioni. Questi “punti consensuali” vengono scelti nella convinzione che, in qualsiasi contesto sociale, una vera uguaglianza politica non sia realizzabile senza la base di una uguaglianza economica, e vengono assunti come corollario al desiderio di porre l'individuo, la sua autonomia e la sua felicità a fondamento di qualsiasi sviluppo sociale.
Urupia comincia a “vivere” nella primavera del '95 con la ristrutturazione dei fabbricati – quasi 2000 metri quadri di strutture murarie coperte – e con la messa a coltura dei terreni della Comune, entrambi da anni in condizioni di avanzato abbandono.
Da allora tutti gli impianti fondamentali sono stati realizzati: acqua, luce, gas, riscaldamento, un impianto pilota di fitodepurazione per le acque di scarico, due impianti solari per la produzione di acqua calda, una fitta rete di tubazioni per l'irrigazione delle colture nelle campagne. Diversi spazi abitativi sono stati ristrutturati, così come molte delle infrastrutture della vita quotidiana: la cucina, i bagni, i magazzini , i forni, diversi laboratori, ricoveri per attrezzi, un campeggio attrezzato per gli ospiti estivi, un locale per lo stoccaggio e la vendita dell'olio, una nuova cantina, un capannone per le attività sociali e culturali...
I terreni sono stati quasi tutti messi a coltura: più di 10 ettari di oliveto, tre ettari e mezzo di vigne, un ettaro di orto, i seminativi, i frutteti, ecc. Migliaia di nuove piante sono state messe a dimora.
Qualcuno ha detto che a urupia si lavora “troppo”: e in realtà, se ci si guarda in giro, e si è stati qui almeno una volta all'inizio, non ci si può sottrarre alla sensazione di un'enorme, fervida, interminabile mole di attività che ha trasformato completamente, in poco più di 10 anni, l'aspetto di questo posto. Ma il lavoro a Urupia non è solo quello sui cantieri o nei campi: migliaia di ore di assemblee hanno impostato la nostra vita e le nostre scelte, regalandoci nello scambio maggiore consapevolezza e maggiore libertà praticamente su tutto: sui nostri limiti e sui nostri sogni, sulla cura dei figli e sull'uso delle auto, sulla guerra nei mille angoli del mondo e sull'allevamento degli animali, sui nostri consumi e sulle risorse del pianeta, sulla repressione politica ed economica e sulle nostre relazioni sociali...
Difficile descrivere oggi, dopo oltre 10 anni di vita, che cos'è la Comune Urupia; difficile dare un'idea, sia pure approssimativa, delle innumerevoli attività – poitiche, sociali, lavorative, economiche – svolte dal 1995 ad oggi dalle centinaia di persone che hanno animato questo laboratorio sociale dell'utopia. Nelle intenzioni delle comunarde che diedero vita al progetto, la Comune avrebbe dovuto rappresentare la realizzazione pratica di un'utopia libertaria: la possibilità, cioè, di raggiungere un alto livello di autosufficienza economica, di libertà politica e di solidarietà sociale attraverso il lavoro e l'agire collettivo, eliminando ogni forma di gerarchia, sia quelle determinate dalla proprietà che quelle legate al sesso, sia quelle fisiche che quelle intellettuali. Urupia doveva essere un laboratorio quotidiano dell'autogestione che riuscisse a permettere al tempo stesso il massimo sviluppo delle possibilità individuali e la massima negazione delle leggi del mercato, il rispetto delle diversità umane e l'opposizione alle leggi del privilegio e del profitto; la dimostrazione concreta, insomma, della possibilità di un vivere individuale e collettivo che negasse, di per sè, il più possibile, le ingiustizie del sistema dominante.
Quanto di tutto ciò siamo riusciti a realizzare, anche questo è difficile dire, e comunque, forse, non spetta neanche a noi, questo compito. Lontana da noi la presunzione di aver anche solo sfiorato il raggiungimento di simili ideali, viviamo invece quotidianamente la consapevolezza della difficoltà di un percorso di vera autogestione: i continui conflitti tra privato e collettivo, il costante riemergere di comodi meccanismi di delega e di ambigue gerarchie informali, la difficoltà del raggiungimento di una vera uguaglianza tra i sessi e di un rapporto di serena, efficace collaborazione tra uomini e donne, la risucchiante prepotenza delle peggiori leggi dell'economia, sono tutte contraddizioni che stanno lì ad indicarci quanta strada abbiamo ancora da fare, e quanto difficile sia questo percorso.
Contraddizioni alle quali, tuttavia, non abiamo alcuna intenzione di sottrarci, semplicemente rivendicando un ingenuo, quanto ipocrita, immobile “purismo”.
Ciò che è certo è che in questi anni non c'è stata critica – o suggerimento, o consiglio, o obiezione – che, per quanto brutalmente o confusamente espressa, non sia stata da noi seriamente presa in considerazione e discussa. Siamo sempre stati convinti del carattere sperimentale del nostro progetto e abbiamo sempre creduto di dover cercare soprattutto nelle nostre menti e nei nostri cuori le strade di una sincera e reale trasformazione sociale. Così alla fine urupia potrebbe anche essere vista come un crocevia di esperienze e di idee, come un teatro di sofferenze e di emozioni, di speranze e di amori, di rabbie e di incertezze; una piccola – ma quotidiana, continua – rappresentazione di una personale e collettiva ricerca di quel mondo migliore, più libero e giusto, nel quale sarebbe anche ora che cominciassimo a vivere, noi che ci avveleniamo il sangue per questo schifo di mondo che invece dobbiamo sopportare.
Associazione urupia
c.p. 29 – 74020 San Marzano di S.G. - TA
tel. 0831.890855
e-mail urupia@libero.it
Dall'etichetta dei prodotti:
La Cooperativa La Petrosa è gestita dalle comunarde di Urupia, un progetto libertario che dal '95 unisce nell'Alto Salento uomini e donne di diverse lingue e culture.
Principi costitutivi della Comune – nata come laboratorio di alternative concrete al modello sociale dominante – sono la proprietà collettiva dei beni e l'unanimità delle decisioni.
La cura dei terreni e la trasformazione dei prodotti non sono garantite per scelta da nessun marchio, ma solo dalla trasparenza delle pratiche adottate e dal rapporto diretto con le persone.
martedì 17 febbraio 2009
La comunità della settimana: ecovillaggio di Basilico.
Basilico è, al momento, ancora un progetto di ecovillaggio in cui sono coinvolte circa 10 persone.
La buona volontà e la laboriosità non mancano ma i presupposti, al momento, sono piuttosto penalizzanti.
I ruderi che si vorrebbero recuperare, difatti, (il micro-borgo di Corricelli, nei dintorni del Mugello) sono in condizioni quasi disarmanti mentre le prospettive di spesa potrebbero scoraggiare anche i più motivati.
È previsto che quest’anno parta un deciso progetto di ristrutturazione ma, al momento, la situazione non può non definirsi “pionieristica”.
Le persone coinvolte hanno tentato di valorizzare al massimo l’ettaro di terra acquistato dall’Associazione Basilico, su cui si trovano i ruderi menzionati: una colonica con degli annessi.
In assenza, al momento, di alloggi in pietra è stata costruita, utilizzando per lo più materiali di recupero, una sorta di palafitta, cui è stato dato il nome di Basilica.
La Basilica, ospitando la cucina ed il tavolone dei pasti comuni, è diventata il cuore della vita comunitaria
Per il resto, ciascuno ha un proprio alloggio “di fortuna”: una tenda, una roulotte o una casa di paglia.
In prospettiva, prima che vengano ultimati gli impegnativi lavori di ristrutturazione, i 10 pionieri hanno ottenuto dal comune di Cantagallo il permesso di costruire, sul proprio terreno, altre costruzioni ecologiche, ancora in paglia e/o utilizzando materiali come legno ed argilla.
Per i bisogni fisiologici viene utilizzato un compost-toilet mentre per la doccia ci si deve più o meno arrangiare.
Uno degli obiettivi principali dell’associazione è valorizzare quanto più possibile l’agricoltura sinergica, non solo attraverso la creazione di orti sul proprio territorio e su quello di altre realtà comunitarie (ad esempio nella Comune di Bagnaia) ma anche attraverso l’organizzazione di conferenze, corsi e seminari.
Le commissioni per la realizzazione di orti sinergici costituiscono inoltre un’entrata importante nel bilancio dell’associazione.
Una cosa che mi ha colpito, a Basilico, è la discreta eterogeneità anagrafica dei membri ed un’armonica intergenerazionalità, con tracce di famiglie (un figlio o due figli con un genitore) ben integrate nel tessuto comunitario, spartano e libertario.
Data l’assenza di cavi ENEL sul proprio territorio, Basilico si è dotata di un generatore per la ricarica dei cellulari e l’alimentazione di un computer.
All’interno dell’associazione le decisioni vengono prese utilizzando il metodo del cerchio, mutuato da alcune tribù di nativi nord-americani ed utilizzato anche nell’ecovillaggio di Upacchi e nella Confederazione dei Villaggi Elfici.
È questo un buon antidoto alla cristallizzazione di forme più o meno esplicite di potere, in quanto offre l’opportunità a tutti i membri, seduti naturalmente in cerchio, di esprimersi senza limiti di tempo.
È sufficiente che ciascuno aspetti pazientemente il proprio turno, ovvero che arrivi nelle sue mani il “bastone della parola”, carico di significato simbolico.
Al metodo del cerchio tende ad essere connessa la ricerca di una decisionalità il più possibile unanime.
Sul versante economico, il gruppo si è dotato di una cassa comune, alimentata con il ricavato di corsi, conferenze, commissioni di orti, nonché contributi personali e donazioni.
A Basilico sono benvenuti volenterosi sostenitori del progetto, benché non sia ancora possibile adottare la formula dello scambio lavoro e venga gradita una minima partecipazione alle spese.
Ecovillaggio Basilico
Strada Vicinale di Corricelli, 18 - Cantagallo (PO)
Tel 333-9821475
www.associazionebasilico.it
La buona volontà e la laboriosità non mancano ma i presupposti, al momento, sono piuttosto penalizzanti.
I ruderi che si vorrebbero recuperare, difatti, (il micro-borgo di Corricelli, nei dintorni del Mugello) sono in condizioni quasi disarmanti mentre le prospettive di spesa potrebbero scoraggiare anche i più motivati.
È previsto che quest’anno parta un deciso progetto di ristrutturazione ma, al momento, la situazione non può non definirsi “pionieristica”.
Le persone coinvolte hanno tentato di valorizzare al massimo l’ettaro di terra acquistato dall’Associazione Basilico, su cui si trovano i ruderi menzionati: una colonica con degli annessi.
In assenza, al momento, di alloggi in pietra è stata costruita, utilizzando per lo più materiali di recupero, una sorta di palafitta, cui è stato dato il nome di Basilica.
La Basilica, ospitando la cucina ed il tavolone dei pasti comuni, è diventata il cuore della vita comunitaria
Per il resto, ciascuno ha un proprio alloggio “di fortuna”: una tenda, una roulotte o una casa di paglia.
In prospettiva, prima che vengano ultimati gli impegnativi lavori di ristrutturazione, i 10 pionieri hanno ottenuto dal comune di Cantagallo il permesso di costruire, sul proprio terreno, altre costruzioni ecologiche, ancora in paglia e/o utilizzando materiali come legno ed argilla.
Per i bisogni fisiologici viene utilizzato un compost-toilet mentre per la doccia ci si deve più o meno arrangiare.
Uno degli obiettivi principali dell’associazione è valorizzare quanto più possibile l’agricoltura sinergica, non solo attraverso la creazione di orti sul proprio territorio e su quello di altre realtà comunitarie (ad esempio nella Comune di Bagnaia) ma anche attraverso l’organizzazione di conferenze, corsi e seminari.
Le commissioni per la realizzazione di orti sinergici costituiscono inoltre un’entrata importante nel bilancio dell’associazione.
Una cosa che mi ha colpito, a Basilico, è la discreta eterogeneità anagrafica dei membri ed un’armonica intergenerazionalità, con tracce di famiglie (un figlio o due figli con un genitore) ben integrate nel tessuto comunitario, spartano e libertario.
Data l’assenza di cavi ENEL sul proprio territorio, Basilico si è dotata di un generatore per la ricarica dei cellulari e l’alimentazione di un computer.
All’interno dell’associazione le decisioni vengono prese utilizzando il metodo del cerchio, mutuato da alcune tribù di nativi nord-americani ed utilizzato anche nell’ecovillaggio di Upacchi e nella Confederazione dei Villaggi Elfici.
È questo un buon antidoto alla cristallizzazione di forme più o meno esplicite di potere, in quanto offre l’opportunità a tutti i membri, seduti naturalmente in cerchio, di esprimersi senza limiti di tempo.
È sufficiente che ciascuno aspetti pazientemente il proprio turno, ovvero che arrivi nelle sue mani il “bastone della parola”, carico di significato simbolico.
Al metodo del cerchio tende ad essere connessa la ricerca di una decisionalità il più possibile unanime.
Sul versante economico, il gruppo si è dotato di una cassa comune, alimentata con il ricavato di corsi, conferenze, commissioni di orti, nonché contributi personali e donazioni.
A Basilico sono benvenuti volenterosi sostenitori del progetto, benché non sia ancora possibile adottare la formula dello scambio lavoro e venga gradita una minima partecipazione alle spese.
Ecovillaggio Basilico
Strada Vicinale di Corricelli, 18 - Cantagallo (PO)
Tel 333-9821475
www.associazionebasilico.it
sabato 14 febbraio 2009
Alfabetizzazione ed ecologia al Bal Ashram di Varanasi.
E’ con immenso piacere che condivido con il lettori di viverealtrimenti questo articolo comparso due giorni fa sul corriere della sera on line.
Riguarda il Bal Ashram di Varanasi di cui abbiamo gia’ parlato su questo blog-magazine, nel post un eco-park educativo a Varanasi, firmato da Lokhnath e Kamala che altri non sono che Camilla e Lorenzo, citati nell’articolo che segue.
Con ogni probabilità si tornerà a parlare del Bal Ashram su viverealtrimenti, in virtù di un gemellaggio prima di tutto affettivo.
Personalmente, ho sempre incoraggiato il lavoro di Kamala e Lokhnath in quanto credo sia un valido contributo per la costruzione di un'auspicabile India di domani: meno disumana, più egualitaria, più ecologica.
Torneremo senz’altro su questo discorso, troppo importante ed impegnativo perché possa essere trattato in queste poche righe introduttive. In un prossimo post, Lokhnath e Kamala stessi presenteranno, più dettagliatamente, la loro esperienza. Per ora non possiamo che congratularci ed essere loro immensamente grati e rimandare i lettori che volessero avere subito qualche elemento in più al loro web site www.associazioneanjali.it.
L'articolo...
A Varanasi (Benares) nella città santa indiana sulla riva del Gange, nell'ashram dei bambini perduti: due italiani gestiscono un centro per l'alfabetizzazione e il recupero degli orfani e dei bambini di strada
La sveglia suona per tutti alle quattro e mezzo del mattino. La vita comincia con il sorgere del sole e finisce poco dopo il tramonto. I bambini fanno la doccia, si vestono, poi trascorrono una ventina di minuti nel tempio, per i canti del mattino. Il tempo di fare una semplicissima colazione e poi vanno a scuola. È l'inizio di una giornata ordinaria al Bal Ashram di Varanasi, India. Alcuni bambini escono, per andare a scuola in città, altri invece arrivano per fare lezione all'Anjali school, la scuola dell'Asharm.
Qui, due giovani italiani vivono da due anni, contibuendo alla riuscita di quello che sembra un miracolo. Camilla Previato e Lorenzo Bonaventura, 34 e 35 anni, da Treviso, sono perfettamente integrati nell'ambiente. Vestono, mangiano, soprattutto parlano perfettamente indiano. Il Bal Ashram, raccontano, è famoso anche come «l'ashram dei bambini». Quattordici bambini vivono qui, in stanze pulite, ordinate, decorse. Si tratta di orfani, che sono rimasti in un modo o in un altro senza genitori. Espressione curiosa «in un modo o in un altro», più spiegabile se si guardano le ultime pagine di alcuni quotidiani, nazionali e locali. Sono occupate dalla rubrica missing persons. In India, soprattutto nelle grandi città, come Delhi o Mumbay, o nei centri di grandi pellegrinaggi, come Varanasi, le persone si perdono. O perdono i loro figli. Altre volte invece i bambini vengono abbandonati per motivi di povertà. Altre volte diventano orfani perché i loro genitori muoiono. E allora diventano bambini strada. Prima vagano alla stazione ferroviaria o degli autobus, poi vengono avvicinati per i motivi più diversi.
L'India è famosa nel mondo per il traffico di organi a basso costo, presi proprio ai bambini, ed è famosa anche per il lavoro minorile. I più fortunati, si fa per dire, finiscono a lavorare in una fabbrica, per poche rupie al mese. I più sfortunati invece devono stare per strada a mendicare. E sono più sfortunati perché per guadagnare di più devono fare più pietà degli altri. E per fare più pietà vengono spesso mutilati dai propri aguzzini.
Gli altri, i bambini che vengono dalla città di Varanasi a studiare all'Anjali school del Bal Ashram, sono una settantina e non sono orfani. Vivono con i propri familiari sui marciapiedi della città. Sui marciapiedi mangiano, giocano, si lavano e fanno i loro bisogni. Uno spettacolo consueto a Varanasi, la città più santa dell'induismo. Quasi un miliardo di indiani di religione indù sognano di morire qui, e di essere cremati su uno dei suoi gat, una delle discese al fiume, per poi disperdere le ceneri nel Gange. Per ogni indu è un obbligo immergersi e dunque purificarsi almeno una volta nella sua vita nelle acque della madre Ganga.
La città è estesa, popolatissima, caotica fino all'inverosimile. Insieme alla spaventosa quantità di automobili con il clacson continuamente pizzicato, circolano risciò a pedali, moto, tre ruote ape riadattati per il trasporto delle persone. E insieme alle folle che evitano i marciapiedi, bisogna evitare mucche, cani, bufali, scimmie, macachi. La città è infernale. Poi ci sono i gat che guardano il Gange. Qui la vita ferve all'inversimile. Cibo di strada, mendicanti, centinaia di persone che fanno il bucato, barcaioli, animali, gente che dorme in terra, ragazze inglesi che giocano a racchettoni con giovani indiani, bagni purificatori, bagni col sapone, albergatori e ristoratori che richiamano i clienti. E qui tanta gente vive per strada. Insieme ai quattordici orfani, gli altri settanta bambini che frequentano la scuola del Bal Ashram non sono bambini di strada, ma vivono per strada. E all'Asharm dei bambini trovano ordine, pulizia, vestiti decorosi, un ambiente sereno e familiare, la scuola. E un metodo pedagogico importato in India da un altro italiano, il progetto Alice di Valentino Giacomin.
Eppure quando si parla di ashram, si parla normalmente di «comunità spirituale». Qui l'elemento della spiritualità non manca. L'ashram è stato infatti fondato nel 2001 da Baba Harihar Ramji, detto Babaji. Emigrato per qualche anno negli Stati Uniti, dove ha fondato un ashram in California, Babaji appartiene alla tradizione spirituale vecchia di cinquecento anni, detta aghor. Sono cinque i sadu che appartengono a questa tradizione. Lui è l'unico ad aver deciso di non liberarsi di tutti i suoi beni e i suoi averi, ma di investirli in un progetto. Questa tradizione spirituale, più simile a una filosofia che a una religione così come la intendiamo in Occidente, mette tutta l'enfasi possibile sul «servizio» che si può rendere in vita agli altri. Insieme alla sadana, la pratica spirituale che - come racconta Babaji - «serve per riconoscere la propria autentica natura. Ed è estremamente inclusiva. La nostra è una strada che è possibile percorrere da indù o da musulmani o da ebrei. Non pratichiamo discriminazioni né di casta, né di sesso».
Insieme dunque alla radice culturale indiana «l'educazione - dice Camilla Previato - è per noi la colonna portante per un messaggio di riforma».
Il Bal Ashram è costruito poco distante dal caos della città. E si trova sulla riva del fiume. Il Gange è la madre, il suo bacino idrografico si snoda su di un territorio di un milione di chilometri quadrati, permette di vivere a 600 milioni di persone, durante il suo percorso di 2.510 chilometri. La metà della popolazione indiana. Un decimo della popolazione mondiale. E insieme è il fiume più inquinato del mondo, la semplice immersione per la balneazione comporta rischi altissimi di infezione. Sul Gange gira a ciclo continuo una gigantesca macchina del sacro, in funzione da quattromila anni. Il lavaggio purificatorio della mattina, la spettacolare puja della sera, che si svolge tutte le sere da migliaia di anni, con i brahmini che fanno danzare le statue di luce davanti a centinaia di persone che assistono dai gat e dalle barche. E poi i crematori, che funzionano notte e giorno e bruciano la media di 150 cadaveri al giorno.
I parenti maschi si rasano i capelli a zero, procedono all'acquisto della legna, e si tratta di un'arte. Comprarne troppa significherebbe sprecare soldi, comprarne poca significherebbe non bruciare completamente il corpo del congiunto. Alla cerimonia gli stranieri non sono graditi, le foto sono proibite. I cadaveri dei bambini, delle donne gravide, dei morti di vaiolo, dei sadu e delle mucche, vengono bagnati e abbandonati nel Gange interi, senza essere creamati, perché sono già considerati puri. Dopo un pasto semplicissimo, fatto di riso e verdure bollite, e consumato nella mensa del Bal Asharm, Camilla e Lorenzo ci portano in barca sull'altra riva del Gange, quella deserta, quella considerata impura. Qui siamo costretti a immergerci nel Gange a causa di una secca che blocca la barca lontano dalla riva. E sulla riva troviamo teschi, ossa, i resti delle cremazioni più povere. Sulla riva impura tutto costa meno. Alcuni cani selvatici si aggirano minacciosi e famelici. Le scimmie stanno nella vegetazione.
È qui che Babaji sogna, con i suoi collaboratori del Bal Ashram, di costruire un vero e proprio ecoparco. Poco distante stanno costruendo un ponte che unirà le due sponde del Gange, i prezzi stanno già lievitando e - dice Lorenzo - «la cementificazione di questa riva avverrà in pochi anni». L'urbanizzazione, stando alla crescita di una città che cresce a ritmi esponenziali, sarà velocissima. «Abbiamo fretta», racconta ancora Lorenzo. «Abbiamo bisogno di 20 acri, ne abbiamo acquistato solo un terzo e servono fondi per acquistare il resto. Presto arriverà il cosiddetto sviluppo e spazzerà via tutto».
Tornati al Bal Ashram, Babaji racconta che in India «sviluppo vuol dire plastica ovunque, tappeti di automobili, inquinamento insostenibile. Varanasi - racconta Babaji seduto nel giardino dell'ashram - è una città santa, è luogo di pellegrinaggio da tutto il mondo. Anticamente chiamata Anandavan, foresta di beatitudine, oggi non ha un singolo parco ed è difficile trovare alberi. L'ambiente è terribilmente inquinato. La mia idea è di creare un modello educativo basato sulle pratiche ambientali, sulle energie rinnovabili, il riciclaggio dei rifiuti. Dobbiamo educare le persone a essere meno avide e possiamo solo partire dai bambini. L'ecoparco potrà essere un luogo dove le persone, da tutto il mondo, potranno trovare ispirazione».
La stanza dove all'ashram si medita e si pratica yoga va sempre tenuta chiusa. Le scimmie tentano continuamente di entrare. La giornata è finita e, dopo i compiti, la musica e le attività ricreative, i quattordici bambini che dormono qui, si ritrovano di nuovo tutti insieme, con Babaji, Camilla, Lorenzo e tutto il personale che vive e lavora, spesso volontariamente, all'asharm. «Adesso, per un'ora», dice Camilla, «condivideremo con i bambini la giornata. Per noi è il momento più bello e più prezioso».
Raffaele Palumbo
12 febbraio 2009
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Il già citato Un eco-park educativo a Varanasi e Il bivacco e la vetta, sulla citata esperienza pedagogica di Valentino Giacomin.
Riguarda il Bal Ashram di Varanasi di cui abbiamo gia’ parlato su questo blog-magazine, nel post un eco-park educativo a Varanasi, firmato da Lokhnath e Kamala che altri non sono che Camilla e Lorenzo, citati nell’articolo che segue.
Con ogni probabilità si tornerà a parlare del Bal Ashram su viverealtrimenti, in virtù di un gemellaggio prima di tutto affettivo.
Personalmente, ho sempre incoraggiato il lavoro di Kamala e Lokhnath in quanto credo sia un valido contributo per la costruzione di un'auspicabile India di domani: meno disumana, più egualitaria, più ecologica.
Torneremo senz’altro su questo discorso, troppo importante ed impegnativo perché possa essere trattato in queste poche righe introduttive. In un prossimo post, Lokhnath e Kamala stessi presenteranno, più dettagliatamente, la loro esperienza. Per ora non possiamo che congratularci ed essere loro immensamente grati e rimandare i lettori che volessero avere subito qualche elemento in più al loro web site www.associazioneanjali.it.
L'articolo...
A Varanasi (Benares) nella città santa indiana sulla riva del Gange, nell'ashram dei bambini perduti: due italiani gestiscono un centro per l'alfabetizzazione e il recupero degli orfani e dei bambini di strada
La sveglia suona per tutti alle quattro e mezzo del mattino. La vita comincia con il sorgere del sole e finisce poco dopo il tramonto. I bambini fanno la doccia, si vestono, poi trascorrono una ventina di minuti nel tempio, per i canti del mattino. Il tempo di fare una semplicissima colazione e poi vanno a scuola. È l'inizio di una giornata ordinaria al Bal Ashram di Varanasi, India. Alcuni bambini escono, per andare a scuola in città, altri invece arrivano per fare lezione all'Anjali school, la scuola dell'Asharm.
Qui, due giovani italiani vivono da due anni, contibuendo alla riuscita di quello che sembra un miracolo. Camilla Previato e Lorenzo Bonaventura, 34 e 35 anni, da Treviso, sono perfettamente integrati nell'ambiente. Vestono, mangiano, soprattutto parlano perfettamente indiano. Il Bal Ashram, raccontano, è famoso anche come «l'ashram dei bambini». Quattordici bambini vivono qui, in stanze pulite, ordinate, decorse. Si tratta di orfani, che sono rimasti in un modo o in un altro senza genitori. Espressione curiosa «in un modo o in un altro», più spiegabile se si guardano le ultime pagine di alcuni quotidiani, nazionali e locali. Sono occupate dalla rubrica missing persons. In India, soprattutto nelle grandi città, come Delhi o Mumbay, o nei centri di grandi pellegrinaggi, come Varanasi, le persone si perdono. O perdono i loro figli. Altre volte invece i bambini vengono abbandonati per motivi di povertà. Altre volte diventano orfani perché i loro genitori muoiono. E allora diventano bambini strada. Prima vagano alla stazione ferroviaria o degli autobus, poi vengono avvicinati per i motivi più diversi.
L'India è famosa nel mondo per il traffico di organi a basso costo, presi proprio ai bambini, ed è famosa anche per il lavoro minorile. I più fortunati, si fa per dire, finiscono a lavorare in una fabbrica, per poche rupie al mese. I più sfortunati invece devono stare per strada a mendicare. E sono più sfortunati perché per guadagnare di più devono fare più pietà degli altri. E per fare più pietà vengono spesso mutilati dai propri aguzzini.
Gli altri, i bambini che vengono dalla città di Varanasi a studiare all'Anjali school del Bal Ashram, sono una settantina e non sono orfani. Vivono con i propri familiari sui marciapiedi della città. Sui marciapiedi mangiano, giocano, si lavano e fanno i loro bisogni. Uno spettacolo consueto a Varanasi, la città più santa dell'induismo. Quasi un miliardo di indiani di religione indù sognano di morire qui, e di essere cremati su uno dei suoi gat, una delle discese al fiume, per poi disperdere le ceneri nel Gange. Per ogni indu è un obbligo immergersi e dunque purificarsi almeno una volta nella sua vita nelle acque della madre Ganga.
La città è estesa, popolatissima, caotica fino all'inverosimile. Insieme alla spaventosa quantità di automobili con il clacson continuamente pizzicato, circolano risciò a pedali, moto, tre ruote ape riadattati per il trasporto delle persone. E insieme alle folle che evitano i marciapiedi, bisogna evitare mucche, cani, bufali, scimmie, macachi. La città è infernale. Poi ci sono i gat che guardano il Gange. Qui la vita ferve all'inversimile. Cibo di strada, mendicanti, centinaia di persone che fanno il bucato, barcaioli, animali, gente che dorme in terra, ragazze inglesi che giocano a racchettoni con giovani indiani, bagni purificatori, bagni col sapone, albergatori e ristoratori che richiamano i clienti. E qui tanta gente vive per strada. Insieme ai quattordici orfani, gli altri settanta bambini che frequentano la scuola del Bal Ashram non sono bambini di strada, ma vivono per strada. E all'Asharm dei bambini trovano ordine, pulizia, vestiti decorosi, un ambiente sereno e familiare, la scuola. E un metodo pedagogico importato in India da un altro italiano, il progetto Alice di Valentino Giacomin.
Eppure quando si parla di ashram, si parla normalmente di «comunità spirituale». Qui l'elemento della spiritualità non manca. L'ashram è stato infatti fondato nel 2001 da Baba Harihar Ramji, detto Babaji. Emigrato per qualche anno negli Stati Uniti, dove ha fondato un ashram in California, Babaji appartiene alla tradizione spirituale vecchia di cinquecento anni, detta aghor. Sono cinque i sadu che appartengono a questa tradizione. Lui è l'unico ad aver deciso di non liberarsi di tutti i suoi beni e i suoi averi, ma di investirli in un progetto. Questa tradizione spirituale, più simile a una filosofia che a una religione così come la intendiamo in Occidente, mette tutta l'enfasi possibile sul «servizio» che si può rendere in vita agli altri. Insieme alla sadana, la pratica spirituale che - come racconta Babaji - «serve per riconoscere la propria autentica natura. Ed è estremamente inclusiva. La nostra è una strada che è possibile percorrere da indù o da musulmani o da ebrei. Non pratichiamo discriminazioni né di casta, né di sesso».
Insieme dunque alla radice culturale indiana «l'educazione - dice Camilla Previato - è per noi la colonna portante per un messaggio di riforma».
Il Bal Ashram è costruito poco distante dal caos della città. E si trova sulla riva del fiume. Il Gange è la madre, il suo bacino idrografico si snoda su di un territorio di un milione di chilometri quadrati, permette di vivere a 600 milioni di persone, durante il suo percorso di 2.510 chilometri. La metà della popolazione indiana. Un decimo della popolazione mondiale. E insieme è il fiume più inquinato del mondo, la semplice immersione per la balneazione comporta rischi altissimi di infezione. Sul Gange gira a ciclo continuo una gigantesca macchina del sacro, in funzione da quattromila anni. Il lavaggio purificatorio della mattina, la spettacolare puja della sera, che si svolge tutte le sere da migliaia di anni, con i brahmini che fanno danzare le statue di luce davanti a centinaia di persone che assistono dai gat e dalle barche. E poi i crematori, che funzionano notte e giorno e bruciano la media di 150 cadaveri al giorno.
I parenti maschi si rasano i capelli a zero, procedono all'acquisto della legna, e si tratta di un'arte. Comprarne troppa significherebbe sprecare soldi, comprarne poca significherebbe non bruciare completamente il corpo del congiunto. Alla cerimonia gli stranieri non sono graditi, le foto sono proibite. I cadaveri dei bambini, delle donne gravide, dei morti di vaiolo, dei sadu e delle mucche, vengono bagnati e abbandonati nel Gange interi, senza essere creamati, perché sono già considerati puri. Dopo un pasto semplicissimo, fatto di riso e verdure bollite, e consumato nella mensa del Bal Asharm, Camilla e Lorenzo ci portano in barca sull'altra riva del Gange, quella deserta, quella considerata impura. Qui siamo costretti a immergerci nel Gange a causa di una secca che blocca la barca lontano dalla riva. E sulla riva troviamo teschi, ossa, i resti delle cremazioni più povere. Sulla riva impura tutto costa meno. Alcuni cani selvatici si aggirano minacciosi e famelici. Le scimmie stanno nella vegetazione.
È qui che Babaji sogna, con i suoi collaboratori del Bal Ashram, di costruire un vero e proprio ecoparco. Poco distante stanno costruendo un ponte che unirà le due sponde del Gange, i prezzi stanno già lievitando e - dice Lorenzo - «la cementificazione di questa riva avverrà in pochi anni». L'urbanizzazione, stando alla crescita di una città che cresce a ritmi esponenziali, sarà velocissima. «Abbiamo fretta», racconta ancora Lorenzo. «Abbiamo bisogno di 20 acri, ne abbiamo acquistato solo un terzo e servono fondi per acquistare il resto. Presto arriverà il cosiddetto sviluppo e spazzerà via tutto».
Tornati al Bal Ashram, Babaji racconta che in India «sviluppo vuol dire plastica ovunque, tappeti di automobili, inquinamento insostenibile. Varanasi - racconta Babaji seduto nel giardino dell'ashram - è una città santa, è luogo di pellegrinaggio da tutto il mondo. Anticamente chiamata Anandavan, foresta di beatitudine, oggi non ha un singolo parco ed è difficile trovare alberi. L'ambiente è terribilmente inquinato. La mia idea è di creare un modello educativo basato sulle pratiche ambientali, sulle energie rinnovabili, il riciclaggio dei rifiuti. Dobbiamo educare le persone a essere meno avide e possiamo solo partire dai bambini. L'ecoparco potrà essere un luogo dove le persone, da tutto il mondo, potranno trovare ispirazione».
La stanza dove all'ashram si medita e si pratica yoga va sempre tenuta chiusa. Le scimmie tentano continuamente di entrare. La giornata è finita e, dopo i compiti, la musica e le attività ricreative, i quattordici bambini che dormono qui, si ritrovano di nuovo tutti insieme, con Babaji, Camilla, Lorenzo e tutto il personale che vive e lavora, spesso volontariamente, all'asharm. «Adesso, per un'ora», dice Camilla, «condivideremo con i bambini la giornata. Per noi è il momento più bello e più prezioso».
Raffaele Palumbo
12 febbraio 2009
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giovedì 12 febbraio 2009
Villavillacolle, il B&B anticrisi.
E’ giunto il momento di ridare fiato alla sezione “storie di un’altra vita” di questo blog-magazine. Di seguito la presentazione di un progetto interessante, soprattutto per la concretezza, l’immediatezza che lo caratterizza. Personalmente non sono un gran sostenitore della cosiddetta “decrescita felice” e credo non sia saggio coltivare utopie “metamonetarie”. Forse, in futuro, l’economia monetaria verrà superata nell’ambito di un più generale trasformazione del modello di convivenza sociale. Oggi, tuttavia, pensare che si possano risolvere molti problemi attraverso l’autoproduzione, l’autosussistenza, il baratto e simili (come stanno tentando di fare, ad esempio, il Popolo degli elfi; per maggiori informazioni al riguardo segnalo il post Una breve storia del popolo degli elfi e la presentazione di questa esperienza comunitaria su viverealtrimenti.com) porta, a mio modo di vedere, in un vicolo cieco. Tuttavia, fuor di ideologia, dunque fuor di fissazione ed esaltazione, esperimenti come questo di Villavillavicolle credo siano meritevoli di attenzione e, per usare un termine tremendamente di mercato: di pubblicità.
Decrescita felice, economia del dono, sistemi monetari locali e alternativi. Il modello neoliberista scricchiola ed in tanti stiamo sperimentando forme diverse sperando che l’economia del Pil ci saluti quanto prima.
E’così che nasce Villavillacolle, il primo B&B anticrisi!
Un B&B con una B in più, bed, breakfast e… baratto. A Villavillacolle, per passare una settimana di vacanza o un week-end di relax i soldi, infatti, non servono, preferiamo barattare.
Noi vi offriamo la possibilità di pernottare in una camera romantica, nel centro storico di un borgo medievale, a due passi da un mare cristallino. Con una ricca colazione biologica.
E voi cosa vorreste scambiare?
Beh,un passo alla volta, prima presentiamoci.
Siamo Ilaria, Alfredo ed Elia. Abitiamo in Sardegna, in un paese medievale, pieno di casette di tutti i colori, affacciate sul fiume più pulito dell’isola, a due passi da spiagge, calette e un mare che continua a meritarsi le “5 vele” di Legambiente. Stiamo parlando di Bosa, classificata appunto come una delle dieci località turistiche più belle d’Italia.
Qui, a Villavillacolle, la nostra piccola casa a torre del 1600, costruita ai piedi del Castello dei Malaspina, svolgiamo il nostro lavoro di scultori ceramisti mentre Elia va a scuola. I nostri anni di esperienza nel campo dell’alimentazione e ristorazione biologica, dell’accoglienza turistica e del vivere al di fuori della rat-race, vi garantiscono di trovare un’atmosfera accogliente e rilassante,con una dispensa ed una cucina biologica di qualità.
A Bosa vi aspettano escursioni in mare o sull’unico fiume sardo navigabile o sui monti dove continuano a nidificare i soli avvoltoi d’Italia, i grifoni. E la vita di quest’antico paese, dove i ritmi sono ancora a giusta misura, le tradizioni sempre vive, la gente accogliente e ospitale.
Pensate un po’… una vacanza,una pausa rigenerante, una sosta in questo scenario fuori dal comune è alla portata di tutti, senza la social card dei nostri governanti cialtroni e in barba alla crisi finanziaria.
Basta, appunto,condividere,scambiare, barattare…
Marmellate bio in cambio di un week-end? Perché no?
Producete qualcosa di biologico? Parliamone!
Siete appassionati di favole e cartoni animati in dvd? Bene!
Magari siete dei geni dell’informatica o degli elettricisti o degli idraulici talentuosi? Ce ne è sempre bisogno!
Nel nostro sito abbiamo inserito una lista delle cose che ci interessano maggiormente e delle indicazioni pratiche per facilitarvi le cose, ma non preoccupatevi se non doveste ritrovarvi in quelle righe. Siamo convinti che ognuno abbia idee, talenti e possibilità da condividere e se proprio vi manca l’ispirazione scriveteci che conoscerci e raccontarci è la prima forma di condivisione.
avillavillacolle.blogspot.com
Decrescita felice, economia del dono, sistemi monetari locali e alternativi. Il modello neoliberista scricchiola ed in tanti stiamo sperimentando forme diverse sperando che l’economia del Pil ci saluti quanto prima.
E’così che nasce Villavillacolle, il primo B&B anticrisi!
Un B&B con una B in più, bed, breakfast e… baratto. A Villavillacolle, per passare una settimana di vacanza o un week-end di relax i soldi, infatti, non servono, preferiamo barattare.
Noi vi offriamo la possibilità di pernottare in una camera romantica, nel centro storico di un borgo medievale, a due passi da un mare cristallino. Con una ricca colazione biologica.
E voi cosa vorreste scambiare?
Beh,un passo alla volta, prima presentiamoci.
Siamo Ilaria, Alfredo ed Elia. Abitiamo in Sardegna, in un paese medievale, pieno di casette di tutti i colori, affacciate sul fiume più pulito dell’isola, a due passi da spiagge, calette e un mare che continua a meritarsi le “5 vele” di Legambiente. Stiamo parlando di Bosa, classificata appunto come una delle dieci località turistiche più belle d’Italia.
Qui, a Villavillacolle, la nostra piccola casa a torre del 1600, costruita ai piedi del Castello dei Malaspina, svolgiamo il nostro lavoro di scultori ceramisti mentre Elia va a scuola. I nostri anni di esperienza nel campo dell’alimentazione e ristorazione biologica, dell’accoglienza turistica e del vivere al di fuori della rat-race, vi garantiscono di trovare un’atmosfera accogliente e rilassante,con una dispensa ed una cucina biologica di qualità.
A Bosa vi aspettano escursioni in mare o sull’unico fiume sardo navigabile o sui monti dove continuano a nidificare i soli avvoltoi d’Italia, i grifoni. E la vita di quest’antico paese, dove i ritmi sono ancora a giusta misura, le tradizioni sempre vive, la gente accogliente e ospitale.
Pensate un po’… una vacanza,una pausa rigenerante, una sosta in questo scenario fuori dal comune è alla portata di tutti, senza la social card dei nostri governanti cialtroni e in barba alla crisi finanziaria.
Basta, appunto,condividere,scambiare, barattare…
Marmellate bio in cambio di un week-end? Perché no?
Producete qualcosa di biologico? Parliamone!
Siete appassionati di favole e cartoni animati in dvd? Bene!
Magari siete dei geni dell’informatica o degli elettricisti o degli idraulici talentuosi? Ce ne è sempre bisogno!
Nel nostro sito abbiamo inserito una lista delle cose che ci interessano maggiormente e delle indicazioni pratiche per facilitarvi le cose, ma non preoccupatevi se non doveste ritrovarvi in quelle righe. Siamo convinti che ognuno abbia idee, talenti e possibilità da condividere e se proprio vi manca l’ispirazione scriveteci che conoscerci e raccontarci è la prima forma di condivisione.
avillavillacolle.blogspot.com
martedì 10 febbraio 2009
La comunità dellasettimana: La comune di Bagnaia.
La Comune di Bagnaia nasce nel 1979, con l’idea di sperimentare nel quotidiano la condivisione delle risorse umane ed economiche e una vita di gruppo che preveda la comprensione, il rispetto reciproco, la collaborazione, equità dei diritti e dei doveri. La proprietà è collettiva ed indivisa. Riportando fedelmente quanto loro hanno scritto di se stessi (altrimenti si arrabbiano) "dal 2001 abbiamo costituito un’associazione Onlus come riconoscimento legale della nostra comune. Il gruppo, al momento attuale (2006), è composto da venti persone da 5 a 65 anni.
Ci riuniamo ogni settimana e prendiamo le decisioni con il metodo del consenso. Condividiamo momenti di confronto e non mancano certo occasioni di festa e allegria. Ogni partecipante sceglie il proprio lavoro, che può essere collocato sia all’interno (artigianale o agricolo) sia all’esterno, a seconda dei propri desideri e delle proprie competenze. La struttura abitativa e aziendale è situata ai margini di un piccolo borgo in collina, a 12 km da Siena, per cui abbiamo la possibilità sia di godere della quiete della campagna che di partecipare alla vita del paese e della città. Siamo impegnati in attività di vario tipo: sociali, politiche, ambientali, pacifiste e promuoviamo iniziative artistiche e culturali. L’abitazione è un antico fabbricato rurale in parte ristrutturato per le particolari esigenze della comune. Ogni membro ha la sua camera, mentre gli altri spazi sono collettivi. L’azienda agricola è gestita legalmente dalla Cooperativa La Comune di Bagnaia che dal 1990 si impegna a seguire la normativa e le tecniche dell’agricoltura biologica. Comprende 50 ettari di bosco ceduo, da cui si ricava legna da ardere e 30 ettari di coltivato a olivi, vigneto, cereali, orto e foraggi. Si allevano mucche da latte e vitelli, maiali, animali da cortile e api. Molti prodotti vengono direttamente consumati dalla comune, i restanti vengono venduti a vicini e amici. Facciamo parte di varie associazioni, fra cui: RIVE (Rete Italiana dei Villaggi Ecologici); GEN-Europa (Global Ecovillage Network); AIAB (Associazione Italiana Agricoltura Biologica); WWOOF (Willing Workers On Organic Farms). Ospitiamo persone interessate alla vita comunitaria o all'agricoltura biologica, in cambio di aiuto nei lavori. Chi desidera farci visita, per una migliore conoscenza, sarà benvenuto.
I componenti della Comune di Bagnaia si ispirano ai seguenti principi e orientamenti:
1) Tutte le risorse de “La Comune di Bagnaia” sono a disposizione dei membri. Al momento dell’ammissione il socio potrà conferire tutti i suoi beni alla Comune, mentre avrà il diritto di usufruire di tutti i servizi.
2) La Comune rifiuta qualsiasi forma di autoritarismo, mentre ricerca la partecipazione costante dei membri. L’Assemblea è quindi l’unico organo deliberativo.
3) Negli impegni e responsabilità domestiche e lavorative “La Comune di Bagnaia” cerca di raggiungere la parità tra uomo e donna.
4) Riconoscendo come la nostra epoca sia sempre più identificabile come l’epoca del consumismo e dell’uso irrazionale delle risorse, “La Comune di Bagnaia” si organizza secondo una linea di sviluppo antagonista a questa tendenza, affermando che:
a) l’organizzazione collettiva permette una migliore e più razionale utilizzazione delle risorse;
b) verranno praticate forme di agricoltura che si integrino il più possibile con l’ambiente;
c) l’attività agricola verrà diversificata per tendere sempre più all’autosufficienza;
d) verrà evitato l’acquisto di beni ritenuti superflui o di lusso.
5) Restituendo all’agricoltura il suo vero valore come attività primaria dell’uomo, “La Comune di Bagnaia” si impegna a tutelarla, sostenerla e svilupparla.
6) È riconosciuto a ogni membro il diritto di scegliere l’attività lavorativa in cui si senta più realizzato, compatibilmente con le esigenze economiche generali.
7) Ogni membro deve essere responsabilmente partecipe della vita domestica, contribuendo ai servizi e alle attività produttive del gruppo, dando secondo le proprie capacità.
8) La vita in comune è intesa anche come momento di ricerca di forme nuove di relazioni, al di là della famiglia mononucleare, per quanto riguarda i rapporti affettivi, quelli economici e le responsabilità da parte di tutti i membri nei confronti dei figli.
9) “La Comune di Bagnaia” è aperta ad un numero illimitato di soci; essa ricerca tutte le occasioni possibili di incontro e confronto ed è perciò disponibile a varie forme di ospitalità.
10) I rapporti tra le persone si intendono basati sul rispetto, la tolleranza, la solidarietà, l’affetto, l’amicizia e la sincerità.
11) A tutti i membri è richiesta la partecipazione a momenti della vita quotidiana della Comune, sebbene siano accettate forme di convivenza non totale".
La Comune di Bagnaia
Via Bagnaia 37, 53018, Ancaiano, Sovicille (Siena)
Tel. 0577.311014-0577.311051
E-mail: lacomune.bagnaia@libero.it
Ci riuniamo ogni settimana e prendiamo le decisioni con il metodo del consenso. Condividiamo momenti di confronto e non mancano certo occasioni di festa e allegria. Ogni partecipante sceglie il proprio lavoro, che può essere collocato sia all’interno (artigianale o agricolo) sia all’esterno, a seconda dei propri desideri e delle proprie competenze. La struttura abitativa e aziendale è situata ai margini di un piccolo borgo in collina, a 12 km da Siena, per cui abbiamo la possibilità sia di godere della quiete della campagna che di partecipare alla vita del paese e della città. Siamo impegnati in attività di vario tipo: sociali, politiche, ambientali, pacifiste e promuoviamo iniziative artistiche e culturali. L’abitazione è un antico fabbricato rurale in parte ristrutturato per le particolari esigenze della comune. Ogni membro ha la sua camera, mentre gli altri spazi sono collettivi. L’azienda agricola è gestita legalmente dalla Cooperativa La Comune di Bagnaia che dal 1990 si impegna a seguire la normativa e le tecniche dell’agricoltura biologica. Comprende 50 ettari di bosco ceduo, da cui si ricava legna da ardere e 30 ettari di coltivato a olivi, vigneto, cereali, orto e foraggi. Si allevano mucche da latte e vitelli, maiali, animali da cortile e api. Molti prodotti vengono direttamente consumati dalla comune, i restanti vengono venduti a vicini e amici. Facciamo parte di varie associazioni, fra cui: RIVE (Rete Italiana dei Villaggi Ecologici); GEN-Europa (Global Ecovillage Network); AIAB (Associazione Italiana Agricoltura Biologica); WWOOF (Willing Workers On Organic Farms). Ospitiamo persone interessate alla vita comunitaria o all'agricoltura biologica, in cambio di aiuto nei lavori. Chi desidera farci visita, per una migliore conoscenza, sarà benvenuto.
I componenti della Comune di Bagnaia si ispirano ai seguenti principi e orientamenti:
1) Tutte le risorse de “La Comune di Bagnaia” sono a disposizione dei membri. Al momento dell’ammissione il socio potrà conferire tutti i suoi beni alla Comune, mentre avrà il diritto di usufruire di tutti i servizi.
2) La Comune rifiuta qualsiasi forma di autoritarismo, mentre ricerca la partecipazione costante dei membri. L’Assemblea è quindi l’unico organo deliberativo.
3) Negli impegni e responsabilità domestiche e lavorative “La Comune di Bagnaia” cerca di raggiungere la parità tra uomo e donna.
4) Riconoscendo come la nostra epoca sia sempre più identificabile come l’epoca del consumismo e dell’uso irrazionale delle risorse, “La Comune di Bagnaia” si organizza secondo una linea di sviluppo antagonista a questa tendenza, affermando che:
a) l’organizzazione collettiva permette una migliore e più razionale utilizzazione delle risorse;
b) verranno praticate forme di agricoltura che si integrino il più possibile con l’ambiente;
c) l’attività agricola verrà diversificata per tendere sempre più all’autosufficienza;
d) verrà evitato l’acquisto di beni ritenuti superflui o di lusso.
5) Restituendo all’agricoltura il suo vero valore come attività primaria dell’uomo, “La Comune di Bagnaia” si impegna a tutelarla, sostenerla e svilupparla.
6) È riconosciuto a ogni membro il diritto di scegliere l’attività lavorativa in cui si senta più realizzato, compatibilmente con le esigenze economiche generali.
7) Ogni membro deve essere responsabilmente partecipe della vita domestica, contribuendo ai servizi e alle attività produttive del gruppo, dando secondo le proprie capacità.
8) La vita in comune è intesa anche come momento di ricerca di forme nuove di relazioni, al di là della famiglia mononucleare, per quanto riguarda i rapporti affettivi, quelli economici e le responsabilità da parte di tutti i membri nei confronti dei figli.
9) “La Comune di Bagnaia” è aperta ad un numero illimitato di soci; essa ricerca tutte le occasioni possibili di incontro e confronto ed è perciò disponibile a varie forme di ospitalità.
10) I rapporti tra le persone si intendono basati sul rispetto, la tolleranza, la solidarietà, l’affetto, l’amicizia e la sincerità.
11) A tutti i membri è richiesta la partecipazione a momenti della vita quotidiana della Comune, sebbene siano accettate forme di convivenza non totale".
La Comune di Bagnaia
Via Bagnaia 37, 53018, Ancaiano, Sovicille (Siena)
Tel. 0577.311014-0577.311051
E-mail: lacomune.bagnaia@libero.it
venerdì 6 febbraio 2009
Ananda Insubria: business etici per una prospera vita comunitaria.
Seeing not with experience but out of emptiness, is the awareness wherein no agitation is possible as there is the absolute absence of choice or classification into pleasant and unpleasant.
This is meditation!
Vedere non con gli occhi dell’esperienza ma sulla base di un acquisito vuoto mentale. E’ pura consapevolezza in cui nessuna agitazione può avere luogo, perché è assolutamente assente la scelta o classificazione tra piacevole e spiacevole. Questa è meditazione!
[Brano ripreso dal santuario di Lahiri Mahasaya -maestro di Sri Yukteswar, maestro di Paramahansa Yogananda- a Benares]
Ho conosciuto Triveni Lucchetti, presidente dell’associazione Ananda Insubria, nel corso di una fugace visita ad Ananda Assisi, in luglio. Nel bel refettorio di Ananda, immersi nel rumore familiare dei mestieri domestici post-prandiali, le ho fatto alcune domande su una nuova esperienza comunitaria — basata sul vivere semplice e pensare elevato — cui l’associazione sta dando molta energia. Credo ne sia venuta fuori una bella conversazione, nella misura in cui sono stati tracciati lineamenti interessanti per le comunità di domani: prospere ed organizzate per dar lavoro ai propri membri, soprattutto attraverso business etici.
Allora Triveni, vuoi spendere due parole di autopresentazione?
Certamente: Triveni è il nome spirituale che mi ha dato Swami Kriyananda 3 anni fa. Frequento Ananda Assisi da circa 15 anni. Sono venuta la prima volta nel ’94 e poi sono sempre venuta, costantemente. Avevo letto Autobiografia di uno yogi ed Ananda è diventata un buono strumento di evoluzione ed un buon punto di riferimento per diversi insegnamenti, soprattutto il Kriya-yoga. Ho preso l’iniziazione al Kriya-yoga da Kriyananda e poi ho sposato la causa delle comunità. Dunque, al di la’ del percorso spirituale, al di là del Kriya-yoga che comunque è lo strumento principe con il quale ho intenzione di arrivare alla realizzazione del sè come discepola di Yogananda e di tutta la linea dei maestri di questa tradizione, ho sposato la causa delle comunità perchè già da bambina sognavo i villaggi e di vivere insieme agli amici. Io abitavo a Lugano fino a due anni fa, ho creato lì un gruppo di meditazione e poi, essendo la città geograficamente vicina a Bellinzona e Locarno, oltre a Como, Milano, Varese, si è creata, circa 4 anni fa, una bella energia di avvicinamento dei gruppi di meditazione presenti sul territorio, in seguito alla quale ho pensato di creare l’Associazione Ananda Insubria. La nostra è difatti la regio insubrica dei romani, zona di laghi con un microclima molto particolare. Attualmente ci sono una settantina di associati e l’obiettivo dell’associazione è sostenere la nascita di un’altra comunità Ananda in grado anche di supportare la comunità storica. L’idea era di creare dei business etici che potessero andare a sostenere economicamente la comunità nascente, dando lavoro ai membri oltre a dare un messaggio che oggi è, direi, più che necessario. C’è difatti questo pregiudizio per cui se si è etici per forza non bisogna avere successo ed essere dei poveracci. Kriyananda ha dunque scritto un corso per corrispondenza: Il successo materiale attraverso i principi dello yoga in cui si addentra negli insegnamenti dello yoga per farli compenetrare con le dinamiche lavorative e del business. Sostiene che il vero successo (eticamente sostenibile) è un successo espansivo e non e’ per pochi. Si ha nel momento in cui si crea prosperità per un’azienda ma anche per chi ci lavora; in una parola: tutti debbono prosperare! Swami ha dato dunque molta enfasi al fatto di creare business. Noi abbiamo dunque creato, al nord, la cooperativa AnandaEcoEnergy (www.anandaecoenergy.com)a scopo mutualistico. Tutti i soci sono discepoli di Yogananda, siamo tutti sincronizzati sullo stesso sentiero spirituale e scopo della cooperativa è sviluppare il discorso delle energie alternative, in particolare pannelli fotovoltaici. Il nostro fornitore e’ Stefano Leoperdi e la sua azienda –Renergies Italia- e’ un’azienda leader, nel nostro paese, nella produzione di “pannelli etici”. Dunque c’e’ un aspetto di messaggio di salvaguardia del pianeta ma il messaggio piu’ importante e’ quello di creare un business etico in virtù del quale principi come cooperazione, solidarietà, rispetto dell’altro, il far risaltare le qualità, le risorse del team invece che creare competizione all’interno dello stesso siano un grande presupposto di successo. A questo va unito un lavoro per far sì che il rapporto con la clientela diventi uno scambio di stato di coscienza ed il cliente si accorga che c’e’ qualcosa di più, nel momento in cui subito si imposta un rapporto di grande stima e di grande rispetto. Abbiamo già dei riscontri in questo senso, dato che diversi clienti chiamano anche dopo pur non avendo bisogno di niente. Questo ci interessa: trasmettere, attraverso una bella modalità di lavoro, una coscienza più alta. In più: fare l’esperienza di condividere oltre agli aspetti spirituali, l’aspetto del lavoro come servizio all’altro e come strumento di crescita personale, valorizzando al posto della logica della competizione quella dell’apprezzamento, del riconoscimento, vedendosi come “un’unità” che lavora in una direzione comune.
Da un punto di vista comunitario come vi state organizzando?
Da un punto di vista comunitario l’idea che vorremmo realizzare, al nord, e’ di una comunita’ che possa autosostenersi grazie ad un business. Dunque le persone dovrebbero poter lavorare all’interno della cooperativa così come ce ne saranno altre che andranno a lavorare fuori pur vivendo all’interno della comunità. Vorremmo creare un sistema misto, diversamente da Ananda Assisi che è più un ashram per cui le persone offrono insegnamenti, vivono all’interno come in una famiglia. Noi per ora abbiamo preso una grande villa in affitto, ci andremo a vivere in 4 o 5 ad ottobre [considerato che l’intervista è stata realizzata a luglio, l’esperimento è già in atto] e diventerà un centro spirituale. Il week-end daremo l’opportunita’ a tutto il resto di Ananda Insubria di frequentarlo come primo passo nella direzione di una comunità allargato e cercando di diventare un altro punto di luce in piu’, creando anche al nord l’opportunità di vedere un altro modello possibile di vita, più comunitario, basato su valori diversi da quelli ordinariamente proposti.
Come vi regolate da un punto di vista decisionale?
A livello decisionale…Swami parla di Dharmocrazia. Se vuoi sapere di piu’ al riguardo ti consiglio di leggere Un luogo chiamato Ananda, un capitolo in particolare (si intitola “i primi tempi”) dove lui spiega come ha iniziato. Yogananda diceva: le regole uccidono lo spirito! Troppe regole non fanno bene all’anima dunque Swami adotta più il creativo buon senso e non un principio di democrazia ma di Dharmocrazia, chiedendosi non tanto quel che vuole la maggioranza ma quello che è giusto per il bene di tutti (dharma, qui, come “giusta azione”). In virtù di questo esiste, in ogni comunità Ananda, una guida spirituale che cerca di capire cosa è giusto ed estende questa decisione ad un gruppo di membri che conoscono la vita comunitaria ed hanno più esperienza ed anzianità. In genere, quando Swami Kriyananda fonda una nuova comunità, è lui a scegliere delle persone che facciano poi da spartiacque: Per ora sono io a smuovere le acque ad Ananda Insubria, mio marito è presidente della cooperativa per cui ci siamo assunti noi la responsabilità, l’entusiasmo e l’energia di guidare…ovviamente con tutto il sostegno delle guide di Ananda Assisi, con la benedizione di Swami che ha convalidato questa iniziativa. La mia guida è lui per quanto, poi, ogni comunità Ananda sia autogestita, pur in presenza di linee-guida comuni.
Al momento siamo circa 5-6 persone che hanno fatto una scelta di condivisione residenziale ed altre 60-65 gravitano attorno con l’obiettivo di aggregarsi, magari in altri stabili. L’obiettivo finale sarebbe quello di acquistare un luogo in cui creare la comunità allargata.
Vi faccio i miei migliori auguri, di pace e prosperità.
Grazie, altrettanto!
Società Cooperativa AnandaEcoEnergy
via Cesare Battisti 30/2 22020 Faloppio CO
tel. 0039347 3136168
Fax 0039031 987040
info@anandaecoenergy.com
www.anandaecoenergy.com
This is meditation!
Vedere non con gli occhi dell’esperienza ma sulla base di un acquisito vuoto mentale. E’ pura consapevolezza in cui nessuna agitazione può avere luogo, perché è assolutamente assente la scelta o classificazione tra piacevole e spiacevole. Questa è meditazione!
[Brano ripreso dal santuario di Lahiri Mahasaya -maestro di Sri Yukteswar, maestro di Paramahansa Yogananda- a Benares]
Ho conosciuto Triveni Lucchetti, presidente dell’associazione Ananda Insubria, nel corso di una fugace visita ad Ananda Assisi, in luglio. Nel bel refettorio di Ananda, immersi nel rumore familiare dei mestieri domestici post-prandiali, le ho fatto alcune domande su una nuova esperienza comunitaria — basata sul vivere semplice e pensare elevato — cui l’associazione sta dando molta energia. Credo ne sia venuta fuori una bella conversazione, nella misura in cui sono stati tracciati lineamenti interessanti per le comunità di domani: prospere ed organizzate per dar lavoro ai propri membri, soprattutto attraverso business etici.
Allora Triveni, vuoi spendere due parole di autopresentazione?
Certamente: Triveni è il nome spirituale che mi ha dato Swami Kriyananda 3 anni fa. Frequento Ananda Assisi da circa 15 anni. Sono venuta la prima volta nel ’94 e poi sono sempre venuta, costantemente. Avevo letto Autobiografia di uno yogi ed Ananda è diventata un buono strumento di evoluzione ed un buon punto di riferimento per diversi insegnamenti, soprattutto il Kriya-yoga. Ho preso l’iniziazione al Kriya-yoga da Kriyananda e poi ho sposato la causa delle comunità. Dunque, al di la’ del percorso spirituale, al di là del Kriya-yoga che comunque è lo strumento principe con il quale ho intenzione di arrivare alla realizzazione del sè come discepola di Yogananda e di tutta la linea dei maestri di questa tradizione, ho sposato la causa delle comunità perchè già da bambina sognavo i villaggi e di vivere insieme agli amici. Io abitavo a Lugano fino a due anni fa, ho creato lì un gruppo di meditazione e poi, essendo la città geograficamente vicina a Bellinzona e Locarno, oltre a Como, Milano, Varese, si è creata, circa 4 anni fa, una bella energia di avvicinamento dei gruppi di meditazione presenti sul territorio, in seguito alla quale ho pensato di creare l’Associazione Ananda Insubria. La nostra è difatti la regio insubrica dei romani, zona di laghi con un microclima molto particolare. Attualmente ci sono una settantina di associati e l’obiettivo dell’associazione è sostenere la nascita di un’altra comunità Ananda in grado anche di supportare la comunità storica. L’idea era di creare dei business etici che potessero andare a sostenere economicamente la comunità nascente, dando lavoro ai membri oltre a dare un messaggio che oggi è, direi, più che necessario. C’è difatti questo pregiudizio per cui se si è etici per forza non bisogna avere successo ed essere dei poveracci. Kriyananda ha dunque scritto un corso per corrispondenza: Il successo materiale attraverso i principi dello yoga in cui si addentra negli insegnamenti dello yoga per farli compenetrare con le dinamiche lavorative e del business. Sostiene che il vero successo (eticamente sostenibile) è un successo espansivo e non e’ per pochi. Si ha nel momento in cui si crea prosperità per un’azienda ma anche per chi ci lavora; in una parola: tutti debbono prosperare! Swami ha dato dunque molta enfasi al fatto di creare business. Noi abbiamo dunque creato, al nord, la cooperativa AnandaEcoEnergy (www.anandaecoenergy.com)a scopo mutualistico. Tutti i soci sono discepoli di Yogananda, siamo tutti sincronizzati sullo stesso sentiero spirituale e scopo della cooperativa è sviluppare il discorso delle energie alternative, in particolare pannelli fotovoltaici. Il nostro fornitore e’ Stefano Leoperdi e la sua azienda –Renergies Italia- e’ un’azienda leader, nel nostro paese, nella produzione di “pannelli etici”. Dunque c’e’ un aspetto di messaggio di salvaguardia del pianeta ma il messaggio piu’ importante e’ quello di creare un business etico in virtù del quale principi come cooperazione, solidarietà, rispetto dell’altro, il far risaltare le qualità, le risorse del team invece che creare competizione all’interno dello stesso siano un grande presupposto di successo. A questo va unito un lavoro per far sì che il rapporto con la clientela diventi uno scambio di stato di coscienza ed il cliente si accorga che c’e’ qualcosa di più, nel momento in cui subito si imposta un rapporto di grande stima e di grande rispetto. Abbiamo già dei riscontri in questo senso, dato che diversi clienti chiamano anche dopo pur non avendo bisogno di niente. Questo ci interessa: trasmettere, attraverso una bella modalità di lavoro, una coscienza più alta. In più: fare l’esperienza di condividere oltre agli aspetti spirituali, l’aspetto del lavoro come servizio all’altro e come strumento di crescita personale, valorizzando al posto della logica della competizione quella dell’apprezzamento, del riconoscimento, vedendosi come “un’unità” che lavora in una direzione comune.
Da un punto di vista comunitario come vi state organizzando?
Da un punto di vista comunitario l’idea che vorremmo realizzare, al nord, e’ di una comunita’ che possa autosostenersi grazie ad un business. Dunque le persone dovrebbero poter lavorare all’interno della cooperativa così come ce ne saranno altre che andranno a lavorare fuori pur vivendo all’interno della comunità. Vorremmo creare un sistema misto, diversamente da Ananda Assisi che è più un ashram per cui le persone offrono insegnamenti, vivono all’interno come in una famiglia. Noi per ora abbiamo preso una grande villa in affitto, ci andremo a vivere in 4 o 5 ad ottobre [considerato che l’intervista è stata realizzata a luglio, l’esperimento è già in atto] e diventerà un centro spirituale. Il week-end daremo l’opportunita’ a tutto il resto di Ananda Insubria di frequentarlo come primo passo nella direzione di una comunità allargato e cercando di diventare un altro punto di luce in piu’, creando anche al nord l’opportunità di vedere un altro modello possibile di vita, più comunitario, basato su valori diversi da quelli ordinariamente proposti.
Come vi regolate da un punto di vista decisionale?
A livello decisionale…Swami parla di Dharmocrazia. Se vuoi sapere di piu’ al riguardo ti consiglio di leggere Un luogo chiamato Ananda, un capitolo in particolare (si intitola “i primi tempi”) dove lui spiega come ha iniziato. Yogananda diceva: le regole uccidono lo spirito! Troppe regole non fanno bene all’anima dunque Swami adotta più il creativo buon senso e non un principio di democrazia ma di Dharmocrazia, chiedendosi non tanto quel che vuole la maggioranza ma quello che è giusto per il bene di tutti (dharma, qui, come “giusta azione”). In virtù di questo esiste, in ogni comunità Ananda, una guida spirituale che cerca di capire cosa è giusto ed estende questa decisione ad un gruppo di membri che conoscono la vita comunitaria ed hanno più esperienza ed anzianità. In genere, quando Swami Kriyananda fonda una nuova comunità, è lui a scegliere delle persone che facciano poi da spartiacque: Per ora sono io a smuovere le acque ad Ananda Insubria, mio marito è presidente della cooperativa per cui ci siamo assunti noi la responsabilità, l’entusiasmo e l’energia di guidare…ovviamente con tutto il sostegno delle guide di Ananda Assisi, con la benedizione di Swami che ha convalidato questa iniziativa. La mia guida è lui per quanto, poi, ogni comunità Ananda sia autogestita, pur in presenza di linee-guida comuni.
Al momento siamo circa 5-6 persone che hanno fatto una scelta di condivisione residenziale ed altre 60-65 gravitano attorno con l’obiettivo di aggregarsi, magari in altri stabili. L’obiettivo finale sarebbe quello di acquistare un luogo in cui creare la comunità allargata.
Vi faccio i miei migliori auguri, di pace e prosperità.
Grazie, altrettanto!
Società Cooperativa AnandaEcoEnergy
via Cesare Battisti 30/2 22020 Faloppio CO
tel. 0039347 3136168
Fax 0039031 987040
info@anandaecoenergy.com
www.anandaecoenergy.com
mercoledì 4 febbraio 2009
La comunità della settimana: Il Villaggio Verde.
Il Villaggio Verde è un’esperienza comunitaria quasi ventennale. Viene fondato, nel 1988, da Bernardino Del Boca (1919-2001), rampollo di una famiglia nobile originaria di Boca, nell’alto novarese, precocemente iniziato alla teosofia.
Del Boca diviene presto un grande conoscitore del sud-est asiatico, dove vive per lunghi periodi di tempo a partire dalla metà degli anni ‘40, sperimentando, tra l’altro, stati di realtà “non ordinaria”.
Dal ’47 sostiene di essere contattato da entità di una realtà parallela: gli zoit.
Nello stesso anno viene iniziato nel tempio di Han, dedicato a Shiva da un antico monarca di Giava, su un’isola vulcanica dell’arcipelago di Lingja, poco distante da Sumatra.
Si tratta di un’iniziazione alla Strada Alta che sancisce il suo completo servizio alla causa dell’Età dell’Acquario ovvero della spiritualizzazione dell’umanità.
Due anni dopo Del Boca torna in Italia dove inizia a congetturare, anche su ispirazione degli zoit, di creare un “villaggio verde”.
Il progetto ha un’incubazione lunghissima e solo nel 1981 Del Boca -che nel frattempo ha fondato la Casa Editrice L’Età dell’Acquario e l’omonima rivista bimestrale- inaugura la Cooperativa Villaggio Verde.
Questa si stanzia su circa 10 ettari di terreno (di cui 3 coltivabili e la maggior parte boschivi) a San Germano di Cavallirio, vicino Boca.
Negli intenti del fondatore, il Villaggio Verde vuole essere un centro sperimentale ed un “laboratorio vivente” per l’evoluzione della coscienza della Nuova Era, ispirato a valori teosofico-acquariani, un vettore di ricerca di un’armonia ad ampio raggio (con sé stessi, con i propri simili e con la natura), della maggiore autosufficienza possibile e di una dimensione di vita sostenibile.
Da un punto di vista architettonico vengono accolte le idee un po’ stravaganti di Giorgio Grati che si coagulano nel progetto, parzialmente realizzato, di una città circolare attorno ad un laghetto centrale, un unico edificio, di due piani, suddiviso in sedici moduli che ospiteranno altrettanti nuclei famigliari, tutti con una propria economia privata.
Con l’avvio dell’esperienza comunitaria vengono offerti seminari, corsi permanenti ed estemporanei, conferenze su terapie alternative, yoga, astrologia, storia delle utopie, educazione alla Nuova Era, tarocchi, alimentazione e, a sabati alterni, le conferenze di Del Boca -ispirate al concetto teosofico ed antidogmatico per cui nessuna religione è superiore alla verità- catalizzano un numero crescente di “simpatizzanti”.
In poco tempo il Villaggio Verde inizia ad ospitare anche gli incontri del Forum Spirituale dell’ONU per la pace e diviene il terreno di coltura di un’utopia che identifica nella creazione di un unico parlamento mondiale la maggiore garanzia di realizzazione di un pacifismo planetario; ipotesi su cui si era soffermato il maestro indiano Osho Rajneesh.
Oggi, al Villaggio Verde, si respira un’aria esplicitamente individualista.
In genere almeno un membro di ciascun nucleo famigliare lavora all’esterno della comunità.
Le entrate non vengono collettivizzate e ciascun residente è libero di partecipare o meno alle attività comuni.
Le decisioni vengono prese a maggioranza pur in presenza di una costante ricerca del consenso unanime.
Gli abitanti sono soci di una cooperativa che detiene la proprietà indivisa degli appartamenti, degli edifici comuni e dei terreni.
Gli abitanti e circa 250 simpatizzanti sono riuniti nella Associazione di Promozione Sociale “Amici del Villaggio Verde”, che svolge diverse attività, tra cui la produzione di ortaggi e frutta biologici, la gestione di una mensa e di una foresteria. Alcuni soci gestiscono un laboratorio per il piccolo artigianato del legno e della ceramica, altri si occupano di organizzare escursioni a piedi e a cavallo nella vicina Riserva Naturale delle Baragge, attività di educazione ambientale per i bambini delle scuole dei paesi vicini oltre a corsi, seminari e conferenze.
Il posto è aperto tutto l’anno ai visitatori, che possono essere anche ospitati in cambio di lavoro secondo il modello del WWOOF.
Il Villaggio Verde
Localita’ San Germano, 28010 Cavallirio (NO)
Tel. & Fax: 0163/80447
E-mail info@villaggioverde.org
Sito internet www.villaggioverde.org.
Del Boca diviene presto un grande conoscitore del sud-est asiatico, dove vive per lunghi periodi di tempo a partire dalla metà degli anni ‘40, sperimentando, tra l’altro, stati di realtà “non ordinaria”.
Dal ’47 sostiene di essere contattato da entità di una realtà parallela: gli zoit.
Nello stesso anno viene iniziato nel tempio di Han, dedicato a Shiva da un antico monarca di Giava, su un’isola vulcanica dell’arcipelago di Lingja, poco distante da Sumatra.
Si tratta di un’iniziazione alla Strada Alta che sancisce il suo completo servizio alla causa dell’Età dell’Acquario ovvero della spiritualizzazione dell’umanità.
Due anni dopo Del Boca torna in Italia dove inizia a congetturare, anche su ispirazione degli zoit, di creare un “villaggio verde”.
Il progetto ha un’incubazione lunghissima e solo nel 1981 Del Boca -che nel frattempo ha fondato la Casa Editrice L’Età dell’Acquario e l’omonima rivista bimestrale- inaugura la Cooperativa Villaggio Verde.
Questa si stanzia su circa 10 ettari di terreno (di cui 3 coltivabili e la maggior parte boschivi) a San Germano di Cavallirio, vicino Boca.
Negli intenti del fondatore, il Villaggio Verde vuole essere un centro sperimentale ed un “laboratorio vivente” per l’evoluzione della coscienza della Nuova Era, ispirato a valori teosofico-acquariani, un vettore di ricerca di un’armonia ad ampio raggio (con sé stessi, con i propri simili e con la natura), della maggiore autosufficienza possibile e di una dimensione di vita sostenibile.
Da un punto di vista architettonico vengono accolte le idee un po’ stravaganti di Giorgio Grati che si coagulano nel progetto, parzialmente realizzato, di una città circolare attorno ad un laghetto centrale, un unico edificio, di due piani, suddiviso in sedici moduli che ospiteranno altrettanti nuclei famigliari, tutti con una propria economia privata.
Con l’avvio dell’esperienza comunitaria vengono offerti seminari, corsi permanenti ed estemporanei, conferenze su terapie alternative, yoga, astrologia, storia delle utopie, educazione alla Nuova Era, tarocchi, alimentazione e, a sabati alterni, le conferenze di Del Boca -ispirate al concetto teosofico ed antidogmatico per cui nessuna religione è superiore alla verità- catalizzano un numero crescente di “simpatizzanti”.
In poco tempo il Villaggio Verde inizia ad ospitare anche gli incontri del Forum Spirituale dell’ONU per la pace e diviene il terreno di coltura di un’utopia che identifica nella creazione di un unico parlamento mondiale la maggiore garanzia di realizzazione di un pacifismo planetario; ipotesi su cui si era soffermato il maestro indiano Osho Rajneesh.
Oggi, al Villaggio Verde, si respira un’aria esplicitamente individualista.
In genere almeno un membro di ciascun nucleo famigliare lavora all’esterno della comunità.
Le entrate non vengono collettivizzate e ciascun residente è libero di partecipare o meno alle attività comuni.
Le decisioni vengono prese a maggioranza pur in presenza di una costante ricerca del consenso unanime.
Gli abitanti sono soci di una cooperativa che detiene la proprietà indivisa degli appartamenti, degli edifici comuni e dei terreni.
Gli abitanti e circa 250 simpatizzanti sono riuniti nella Associazione di Promozione Sociale “Amici del Villaggio Verde”, che svolge diverse attività, tra cui la produzione di ortaggi e frutta biologici, la gestione di una mensa e di una foresteria. Alcuni soci gestiscono un laboratorio per il piccolo artigianato del legno e della ceramica, altri si occupano di organizzare escursioni a piedi e a cavallo nella vicina Riserva Naturale delle Baragge, attività di educazione ambientale per i bambini delle scuole dei paesi vicini oltre a corsi, seminari e conferenze.
Il posto è aperto tutto l’anno ai visitatori, che possono essere anche ospitati in cambio di lavoro secondo il modello del WWOOF.
Il Villaggio Verde
Localita’ San Germano, 28010 Cavallirio (NO)
Tel. & Fax: 0163/80447
E-mail info@villaggioverde.org
Sito internet www.villaggioverde.org.
lunedì 2 febbraio 2009
Festività in onore della dea Sarasvati.
Sarà una coincidenza ma è stata inaugurata, la settimana scorsa a Varanasi, la sezione "conoscenza" di questo blog-magazine mentre erano in cantiere le celebrazioni in onore di Sarasvati: dea hindu della conoscenza.
Queste sono, rumorosissimamente (in stile peculariamente indiano), terminate questa notte. Riporto dunque la "circolare informatica" degli amici Padma e Srinivas di italiaindiana onlus che, citando un antico scritto, sottolineano le origini suggestivamente arcaiche delle giornate in onore di Sarasvati. Per "conoscenza" (è doppiamente il caso di dirlo) riporto anche, a chiusura del post, la voce "Sarasvati" di Wikipedia.
Padma e Srinivas:
Cari amici, vi invitiamo a leggere questo scritto non per voler convertire nessuno all'induismo, essendo questa una delle tante celebrazioni hindu ma solo per ricordarci da dove veniamo e dove dovremo inevitabilmente andare. Questo appartiene all'antica cultura dell'uomo, quella che era tutt'uno con la Natura.
Gli hindu hanno ricevuto il compito, il dovere, l'intuizione, l'onore, di mantenerla viva.
Hindu non è una religione. HI come himalaya Everest, la più alta vetta del mondo, DU è l'oceano nella sua massima profondità.
Quando la vita raggiunge la massima altezza e la massima profondità questa è HINDU.
YA KUNDENDUT SAR HAR DHAVALA
YA SUBRAVASTHA VRITA
YA VIRA VARADAND MANDIT KARA
YA SVETA PADMASANA
YA BRAHMA CHUT SHANKAR PRAVIDI VIR
DEVAI SADA VANDITA
SA MA PATU SARASVATI BHAGAVATI
NIH SEDYA HAM JADYA PAHA
Oh voi che portate una collana di fiori di loto bianco
che indossate un bianco sari
che nelle mani avete la vina (strumento musicale)
che siete seduta su di un cigno bianco
voi che gli dei Brahma Vishnu e Shiva pregano
affinchè la conoscenza scenda sugli umani
poichè senza di quesla la vita è solo sofferenza
oh voi che avete questa forma chiamata Sarasvati
io, senza nulla trattenere, sono interamente a voi devota.
VASANT PANCHAMI
Oggi quinto giorno di luna crescente (panchami) del mese di mag in tutta l'India si celebra
Sarasvati dea della Conoscenza.
Quando nasce la Conoscenza, tutta la sofferenza della vita e dell'anno appena trascorso,
scompare, poichè il fine ultimo della Conoscenza è la ricerca della Felicità .
Oggi, due mesi prima dell'arrivo della Primavera (Vasant), si prega e si inizia a festeggiare
per la sua prossima venuta, la luce è ritornata, che la Natura mandi tutto il nettare nei fiori,
i venti si intiepidiscano e la Terra lentamente si ricopra di fiori e di profumi,
nell'umano si risveglino i desideri dell'amore.
Anang, Kama Deva, Eros, Dioniso
è lui la divinità della Primavera.
Oggi è la chiamata, preghiamo la dea della Conoscenza
che nelle sue mani tiene tutte le arti, la musica, la bellezza,
la felicità, che inviti la Primavera a venire.
italiaindianaonlus (www.italiaindiana.org)
Voce Sarasvati di Wikipedia
Sarasvatī (sanscrito "colei che scorre") è la prima delle tre grandi dee dell'induismo, insieme a Lakshmi e Durga, e la consorte (o shakti) di Shri Brahmā, il creatore
Origine e contesto nell'induismo
Sarasvatī è venerata sin dall'epoca vedica come dea della conoscenza e delle arti, come letteratura, musica, pittura e poesia, ma anche della verità, del perdono, delle guarigioni e delle nascite; è spesso menzionata nel Rig Veda e nei Purana come divinità fluviale.
Nei Vedānta viene invece citata come energia femminile e aspetto (shakti) di Brahman, in particolare come personificazione della sua conoscenza; come nei testi più antichi, è venerata anche come dea delle arti. I fedeli che seguono l'insegnamento dei Vedānta credono che solo attraverso l'acquisizione della conoscenza è possibile intraprendere il cammino che porta al moksha, liberazione dal Saṃsāra, e quindi solo pregando Sarasvatī di concedere la vera conoscenza è possibile raggiungere l'illuminazione necessaria per il moksha.
Il fiume Sarasvatī
Gli inni del Rig Veda dedicati a Sarasvatī la citano come un possente fiume dalle acque creatrici, purificanti e nutrienti; la teoria più accreditata a riguardo è che questo antico fiume fosse costituito dal vecchio percorso dell'attuale fiume Yamuna, che scorreva per un tratto parallelamente al fiume Indo sul letto dell'attuale fiume Ghaggar-Hakra, per andare a sfociare nel Rann di Kutch, che all'epoca era parte integrante del Mar Arabico.
Lungo il corso del Sarasvatī sarebbero quindi nate e sviluppate le civiltà Harappan e Saraswati-Sindhu; le più antiche tracce di scrittura note in India sono state proprio trovate nelle rovine delle città che costeggiavano l'antica via fluviale. È stato ipotizzato che proprio il ruolo svolto dal fiume nello sviluppo della lingua scritta abbia ispirato l'associazione della dea come personificazione della conoscenza e delle arti della comunicazione.
Tra il XX e il XVII secolo a.C., il fiume cambiò il suo corso a causa dell'attività sismica sul suo percorso, e lo Yamuna divenne un affluente del Gange, mentre alcuni suoi affluenti confluirono nell'Indo, riducendo notevolmente la portata d'acqua del fiume; seguendo lo spostamento del fiume, gran parte della popolazione che abitava le sue rive si spostò nella valle del Gange. I testi vedici più tardi parlano del fiume che sparisce al Vinasana (letteralmente, "la sparizione"), e confluisce nel Gange come fiume invisibile; secondo alcune interpretazioni la moderna sacralità del Gange gli deriva anche dalla presenza in esso delle acque dell'antico fiume Sarasvatī, donatore di vita.
Epoca Post-Vedica
Come divinità fluviale Sarasvatī è sempre stata associata alla fertilità e alla prosperità, ma anche alla purezza e alla creatività. Nell'epoca post-vedica, avendo perso il suo status di divinità fluviale, il suo nome "colei che scorre" fu applicato al pensiero e alla parola, associandola alle arti letterarie e figurative; divenne Madre Divina e consorte di Brahmā il Creatore, elevando ulteriormente la sua simbologia, come personificazione di creatività e conoscenza, venerata non solo per la conoscenza del mondo, ma anche e soprattutto per quella del divino, chiave di volta del moksha.
Il Sarasvatī Stuti dichiara che la dea è l'unica ad essere venerata da tutti i tre elementi della trimurti, Brahmā, Viṣṇu, e Śiva, così come da tutti i deva, gli asura, i gandharva e i naga.
Raffigurazione
Rappresentazione birmana e buddhista di Sarasvatī, in abiti bamar, seduta su un hamsa, mentre regge il Tipitaka accanto a un fiume.
Sarasvatī è spesso rappresentata come una bella donna vestita di bianco, spesso seduta su un loto o sul suo veicolo (vaahan), un cigno; è associata al bianco in quanto colore della purezza della vera conoscenza, ma occasionalmente anche al giallo, colore dei fiori di senape, che fioriscono nel periodo delle sue festività. Non è generalmente adornata da gioielli e preziosi come Lakshmi, ed anzi è spesso in abiti austeri.
Spesso ha quattro braccia che rappresentano la mente, l'intelletto, la coscienza e l'ego, i quattro aspetti della persona coinvolti nell'apprendimento. Le mani in questi casi reggono:
• I Veda, che rappresentano l'universale, divina, eterna e vera conoscenza.
• Un mala di perle bianche, che rappresentano il potere della meditazione e della spiritualità.
• Un'ampolla di acqua sacra, che rappresenta la forza creatrice e purificatrice.
• Una vina, che rappresenta le arti.
Il suo veicolo, un cigno bianco, simboleggia il discernimento tra bene e male e tra l'eterno e l'effimero: si dice che se gli si offre una mistura di acqua e latte egli riesca a bere solo il latte.
È spesso rappresentata accanto a un fiume, in relazione alle sue origini di divinità fluviale ed al suo stesso nome; anche il cigno potrebbe essere collegato alle sue origini.
Talvolta è seduta su un pavone, che rappresenta l'arroganza e la vanità; sedendo su di esso dimostra si essere superiore a queste qualità, e simboleggia il distacco dalle apparenze esteriori.
Festività
La festa principale in onore di Sarasvatī cade durante il Navaratri; in particolare nel Sud dell'India, il Sarasvatī Puja è una cerimonia molto sentita; gli ultimi tre giorni del Navaratri, a partire dal Mahalaya Amavasya (il giorno di luna nuova) sono dedicati alla dea; nel nono giorno di Navaratri (Mahanavami), tutti i libri e gli strumenti musicali sono raccolti vicino le statue della dea all'alba e venerati con preghiere speciali, e non è permesso studiare né praticare le arti, perché la dea lasci la sua benedizione sui libri e sugli strumenti. Il puja si conclude nel decimo giorno di Navaratri (Vijaya Dashami) e la dea è nuovamente venerata prima che si proceda a portar via libri e strumenti; è tradizione che questo giorno sia speso studiando e praticando le arti, ed esso è noto come Vidya-aarambham (inizio della conoscenza).
Durante il Basant Panchmi, che cade alla fine di gennaio o all'inizio di febbraio, le si rivolgono preghiere e puja, specialmente da parte di artisti, scienziati, dottori e avvocati.
A Pushkar, nel Rajasthan, c'è un tempio a lei dedicato su una montagna più alta di quella del tempio di Brahmā.
Sarasvatī al di fuori dell'induismo
Come già per Tara, anche il culto di Sarasvatī fu assorbito nel pantheon buddhista e in particolare nel Sutra della Luce Dorata, che ha una sezione a lei dedicata; attraverso le prime traduzioni in cinese si diffuse in Cina, dove oggi è per lo più scomparso, e da qui in Giappone dove la dea è tuttora venerata col nome Benzaiten.
Tra gli altri nomi con cui è nota citiamo:
• Arya
• Bharati: "Colei che irradia conoscenza e saggezza"
• Brāhmī o Brāhmani: "Sposa di Brahmā"
• Hamsavahini: "Colei che cavalca un cigno (hamsa)"
• Shāradā
• Shonapunya
• Vagishvari: "Dea della parola"
• Vānī
• Vinidra: "Colei che è sempre sveglia"
La dakini del buddhismo tibetano Yeshey Tsogyel è talvolta considerata manifestazione di Sarasvatī.
Sarasvatī è venerata in Myanmar come Thuyathati, ed è rappresentata come una vergine seduta su uno hintha (hamsa); è molto venerata nel buddhismo burmese, soprattutto prima di prove ed esami.
Altri significati(o varianti del nome)
• "Sarasvati" è tuttora un nome di donna diffuso in India.
• Esistono altri fiumi col nome di Sarasvati; uno di loro scorre tuttora in India dall'estremità occidentale dei monti Aravalli all'estremità orientale del Rann di Kutch.
Queste sono, rumorosissimamente (in stile peculariamente indiano), terminate questa notte. Riporto dunque la "circolare informatica" degli amici Padma e Srinivas di italiaindiana onlus che, citando un antico scritto, sottolineano le origini suggestivamente arcaiche delle giornate in onore di Sarasvati. Per "conoscenza" (è doppiamente il caso di dirlo) riporto anche, a chiusura del post, la voce "Sarasvati" di Wikipedia.
Padma e Srinivas:
Cari amici, vi invitiamo a leggere questo scritto non per voler convertire nessuno all'induismo, essendo questa una delle tante celebrazioni hindu ma solo per ricordarci da dove veniamo e dove dovremo inevitabilmente andare. Questo appartiene all'antica cultura dell'uomo, quella che era tutt'uno con la Natura.
Gli hindu hanno ricevuto il compito, il dovere, l'intuizione, l'onore, di mantenerla viva.
Hindu non è una religione. HI come himalaya Everest, la più alta vetta del mondo, DU è l'oceano nella sua massima profondità.
Quando la vita raggiunge la massima altezza e la massima profondità questa è HINDU.
YA KUNDENDUT SAR HAR DHAVALA
YA SUBRAVASTHA VRITA
YA VIRA VARADAND MANDIT KARA
YA SVETA PADMASANA
YA BRAHMA CHUT SHANKAR PRAVIDI VIR
DEVAI SADA VANDITA
SA MA PATU SARASVATI BHAGAVATI
NIH SEDYA HAM JADYA PAHA
Oh voi che portate una collana di fiori di loto bianco
che indossate un bianco sari
che nelle mani avete la vina (strumento musicale)
che siete seduta su di un cigno bianco
voi che gli dei Brahma Vishnu e Shiva pregano
affinchè la conoscenza scenda sugli umani
poichè senza di quesla la vita è solo sofferenza
oh voi che avete questa forma chiamata Sarasvati
io, senza nulla trattenere, sono interamente a voi devota.
VASANT PANCHAMI
Oggi quinto giorno di luna crescente (panchami) del mese di mag in tutta l'India si celebra
Sarasvati dea della Conoscenza.
Quando nasce la Conoscenza, tutta la sofferenza della vita e dell'anno appena trascorso,
scompare, poichè il fine ultimo della Conoscenza è la ricerca della Felicità .
Oggi, due mesi prima dell'arrivo della Primavera (Vasant), si prega e si inizia a festeggiare
per la sua prossima venuta, la luce è ritornata, che la Natura mandi tutto il nettare nei fiori,
i venti si intiepidiscano e la Terra lentamente si ricopra di fiori e di profumi,
nell'umano si risveglino i desideri dell'amore.
Anang, Kama Deva, Eros, Dioniso
è lui la divinità della Primavera.
Oggi è la chiamata, preghiamo la dea della Conoscenza
che nelle sue mani tiene tutte le arti, la musica, la bellezza,
la felicità, che inviti la Primavera a venire.
italiaindianaonlus (www.italiaindiana.org)
Voce Sarasvati di Wikipedia
Sarasvatī (sanscrito "colei che scorre") è la prima delle tre grandi dee dell'induismo, insieme a Lakshmi e Durga, e la consorte (o shakti) di Shri Brahmā, il creatore
Origine e contesto nell'induismo
Sarasvatī è venerata sin dall'epoca vedica come dea della conoscenza e delle arti, come letteratura, musica, pittura e poesia, ma anche della verità, del perdono, delle guarigioni e delle nascite; è spesso menzionata nel Rig Veda e nei Purana come divinità fluviale.
Nei Vedānta viene invece citata come energia femminile e aspetto (shakti) di Brahman, in particolare come personificazione della sua conoscenza; come nei testi più antichi, è venerata anche come dea delle arti. I fedeli che seguono l'insegnamento dei Vedānta credono che solo attraverso l'acquisizione della conoscenza è possibile intraprendere il cammino che porta al moksha, liberazione dal Saṃsāra, e quindi solo pregando Sarasvatī di concedere la vera conoscenza è possibile raggiungere l'illuminazione necessaria per il moksha.
Il fiume Sarasvatī
Gli inni del Rig Veda dedicati a Sarasvatī la citano come un possente fiume dalle acque creatrici, purificanti e nutrienti; la teoria più accreditata a riguardo è che questo antico fiume fosse costituito dal vecchio percorso dell'attuale fiume Yamuna, che scorreva per un tratto parallelamente al fiume Indo sul letto dell'attuale fiume Ghaggar-Hakra, per andare a sfociare nel Rann di Kutch, che all'epoca era parte integrante del Mar Arabico.
Lungo il corso del Sarasvatī sarebbero quindi nate e sviluppate le civiltà Harappan e Saraswati-Sindhu; le più antiche tracce di scrittura note in India sono state proprio trovate nelle rovine delle città che costeggiavano l'antica via fluviale. È stato ipotizzato che proprio il ruolo svolto dal fiume nello sviluppo della lingua scritta abbia ispirato l'associazione della dea come personificazione della conoscenza e delle arti della comunicazione.
Tra il XX e il XVII secolo a.C., il fiume cambiò il suo corso a causa dell'attività sismica sul suo percorso, e lo Yamuna divenne un affluente del Gange, mentre alcuni suoi affluenti confluirono nell'Indo, riducendo notevolmente la portata d'acqua del fiume; seguendo lo spostamento del fiume, gran parte della popolazione che abitava le sue rive si spostò nella valle del Gange. I testi vedici più tardi parlano del fiume che sparisce al Vinasana (letteralmente, "la sparizione"), e confluisce nel Gange come fiume invisibile; secondo alcune interpretazioni la moderna sacralità del Gange gli deriva anche dalla presenza in esso delle acque dell'antico fiume Sarasvatī, donatore di vita.
Epoca Post-Vedica
Come divinità fluviale Sarasvatī è sempre stata associata alla fertilità e alla prosperità, ma anche alla purezza e alla creatività. Nell'epoca post-vedica, avendo perso il suo status di divinità fluviale, il suo nome "colei che scorre" fu applicato al pensiero e alla parola, associandola alle arti letterarie e figurative; divenne Madre Divina e consorte di Brahmā il Creatore, elevando ulteriormente la sua simbologia, come personificazione di creatività e conoscenza, venerata non solo per la conoscenza del mondo, ma anche e soprattutto per quella del divino, chiave di volta del moksha.
Il Sarasvatī Stuti dichiara che la dea è l'unica ad essere venerata da tutti i tre elementi della trimurti, Brahmā, Viṣṇu, e Śiva, così come da tutti i deva, gli asura, i gandharva e i naga.
Raffigurazione
Rappresentazione birmana e buddhista di Sarasvatī, in abiti bamar, seduta su un hamsa, mentre regge il Tipitaka accanto a un fiume.
Sarasvatī è spesso rappresentata come una bella donna vestita di bianco, spesso seduta su un loto o sul suo veicolo (vaahan), un cigno; è associata al bianco in quanto colore della purezza della vera conoscenza, ma occasionalmente anche al giallo, colore dei fiori di senape, che fioriscono nel periodo delle sue festività. Non è generalmente adornata da gioielli e preziosi come Lakshmi, ed anzi è spesso in abiti austeri.
Spesso ha quattro braccia che rappresentano la mente, l'intelletto, la coscienza e l'ego, i quattro aspetti della persona coinvolti nell'apprendimento. Le mani in questi casi reggono:
• I Veda, che rappresentano l'universale, divina, eterna e vera conoscenza.
• Un mala di perle bianche, che rappresentano il potere della meditazione e della spiritualità.
• Un'ampolla di acqua sacra, che rappresenta la forza creatrice e purificatrice.
• Una vina, che rappresenta le arti.
Il suo veicolo, un cigno bianco, simboleggia il discernimento tra bene e male e tra l'eterno e l'effimero: si dice che se gli si offre una mistura di acqua e latte egli riesca a bere solo il latte.
È spesso rappresentata accanto a un fiume, in relazione alle sue origini di divinità fluviale ed al suo stesso nome; anche il cigno potrebbe essere collegato alle sue origini.
Talvolta è seduta su un pavone, che rappresenta l'arroganza e la vanità; sedendo su di esso dimostra si essere superiore a queste qualità, e simboleggia il distacco dalle apparenze esteriori.
Festività
La festa principale in onore di Sarasvatī cade durante il Navaratri; in particolare nel Sud dell'India, il Sarasvatī Puja è una cerimonia molto sentita; gli ultimi tre giorni del Navaratri, a partire dal Mahalaya Amavasya (il giorno di luna nuova) sono dedicati alla dea; nel nono giorno di Navaratri (Mahanavami), tutti i libri e gli strumenti musicali sono raccolti vicino le statue della dea all'alba e venerati con preghiere speciali, e non è permesso studiare né praticare le arti, perché la dea lasci la sua benedizione sui libri e sugli strumenti. Il puja si conclude nel decimo giorno di Navaratri (Vijaya Dashami) e la dea è nuovamente venerata prima che si proceda a portar via libri e strumenti; è tradizione che questo giorno sia speso studiando e praticando le arti, ed esso è noto come Vidya-aarambham (inizio della conoscenza).
Durante il Basant Panchmi, che cade alla fine di gennaio o all'inizio di febbraio, le si rivolgono preghiere e puja, specialmente da parte di artisti, scienziati, dottori e avvocati.
A Pushkar, nel Rajasthan, c'è un tempio a lei dedicato su una montagna più alta di quella del tempio di Brahmā.
Sarasvatī al di fuori dell'induismo
Come già per Tara, anche il culto di Sarasvatī fu assorbito nel pantheon buddhista e in particolare nel Sutra della Luce Dorata, che ha una sezione a lei dedicata; attraverso le prime traduzioni in cinese si diffuse in Cina, dove oggi è per lo più scomparso, e da qui in Giappone dove la dea è tuttora venerata col nome Benzaiten.
Tra gli altri nomi con cui è nota citiamo:
• Arya
• Bharati: "Colei che irradia conoscenza e saggezza"
• Brāhmī o Brāhmani: "Sposa di Brahmā"
• Hamsavahini: "Colei che cavalca un cigno (hamsa)"
• Shāradā
• Shonapunya
• Vagishvari: "Dea della parola"
• Vānī
• Vinidra: "Colei che è sempre sveglia"
La dakini del buddhismo tibetano Yeshey Tsogyel è talvolta considerata manifestazione di Sarasvatī.
Sarasvatī è venerata in Myanmar come Thuyathati, ed è rappresentata come una vergine seduta su uno hintha (hamsa); è molto venerata nel buddhismo burmese, soprattutto prima di prove ed esami.
Altri significati(o varianti del nome)
• "Sarasvati" è tuttora un nome di donna diffuso in India.
• Esistono altri fiumi col nome di Sarasvati; uno di loro scorre tuttora in India dall'estremità occidentale dei monti Aravalli all'estremità orientale del Rann di Kutch.
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