TRANSUMANZA

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lunedì 22 febbraio 2010

Veganismo si, veganismo no!

Continuiamo il nostro percorso a ritroso nelle diverse scuole di alimentazione alternativa, in buona parte di matrice vegetariana. Dopo aver considerato i liquidariani, i fruttariani ed i crudisti, citando dal mio testo Vegetariani come, dove, perchè, consideriamo, oggi, alcuni aspetti del veganismo. Probabilmente molti dei lettori sapranno che i vegani (o vegetaliani) sono quei vegetariani radicali che rifiutano di assumere qualunque cibo di origine animale, anche nel caso non ne fosse prevista la soppressione fisica. I vegani, dunque, oltre ad astenersi da qualunque cibo carneo (includendo nella categoria anche pesci, crostacei, salumi eccetera), si astengono anche da latte, uova e derivati e miele.

Il Veganismo fa discutere più del vegetarismo.
Diversi tra i nutrizionisti “onnivori” che ho interpellato sono morbidi sulla dieta vegetariana, arrivando anche a prescriverla se reputano che le circostanze lo richiedano. Tendono invece a irrigidirsi sul veganismo, considerandolo un regime alimentare povero di proteine, vitamine e sali minerali.
Negli ambienti vegetariani, invece, il Veganismo è generalmente visto come l’obiettivo finale da raggiungere. Una sorta di apice etico-salutistico.
Analizzeremo due punti di vista. Quello di Piergiorgio Lucarini, membro per un lungo periodo del comitato scientifico dell'AVI (Associazione Vegetariana Italiana) e quello del più conosciuto Nico Valerio, scrittore scientifico e studioso di alimentazione, autore di diversi saggi sul cibo.
Valerio, ne L’alimentazione naturale non trascura un dato antropologico interessante:

sulla terra sono vissuti popoli e tribù che per brevi o lunghi periodi sono stati del tutto vegetaliani
[…]
Il Professor A. Brauchle cita, al riguardo, il resoconto sugli abitanti delle Isole Marianne, scoperte nel 1620 dagli spagnoli. Erano “vegetaliani” puri e si nutrivano soltanto di frutti e radici allo stato naturale, non conoscendo il fuoco. Eppure erano forti e in grado di trasportare sulle spalle fino a 250 chili. Le malattie erano assenti e la durata media della loro vita era nettamente superiore a quella europea di allora.


Riporta anche un’osservazione di Darwin su alcuni minatori cileni che vivevano di verdure e legumi: erano i lavoratori più forti che avesse mai conosciuto.
Valerio, vegetariano, sottolinea comunque che il regime veganiano debba essere oculato. E Lucarini si associa.
Sia Valerio che Lucarini sostengono che, nel caso dei vegan, la complementazione proteica vada seguita in modo rigoroso.
È molto importante, cioè, associare gli alimenti in maniera da esaltare al massimo il loro apporto nutritivo, specialmente di proteine.
In particolare vanno opportunamente accostati i cereali ai legumi e non vanno dimenticati i semi oleosi (mandorle, noci, nocciole).
I piatti abituali dei vegan dovrebbero essere, ad esempio, riso -integrale- e lenticchie o pasta -integrale- e ceci.
Massima attenzione, poi, per i bambini.
Un bambino molto piccolo, nel caso del Veganismo, tende ad essere più esposto di un adulto perché il suo apparato digerente è più delicato (per non parlare del suo sistema immunitario e delle sue necessità di crescita).
Si trova quindi in difficoltà ad assumere molti semi oleosi o a mangiare quotidianamente abbondanti razioni di fiocchi d’avena crudi (facendo, per esempio, colazione con il muesli) che potrebbero garantire l’apporto corretto di vitamina B12.
Lucarini, pur essendo un “aspirante vegan”, mi ha detto di non essere d’accordo sul fatto che bambini piccoli possano essere vegan assoluti. A suo parere avrebbero bisogno quantomeno del formaggio.
Il Veganismo degli adulti è invece ritenuto dallo stesso Lucarini “una cosa ottima da ogni punto di vista”. Come medico sostiene inoltre che “per curare patologie importanti -gastriche, intestinali, epatiche, circolatorie- essere vegani, fino a sei mesi, può essere una cosa intelligentissima e molto valida”.
Riguardo le carenze di calcio ritiene che possano essere per lo più legate ad un eccesso di zuccheri (che demineralizzano le ossa) e ad uno scarso movimento.
Non ad una dieta vegan equilibrata, in cui devono essere comunque adeguatamente presenti cereali integrali e legumi. Ad essi, scrive Valerio, è anche bene aggiungere germe di grano, germogli, alghe, semi di girasole e soia fermentata.
Da un punto di vista gastronomico, scrive sempre Valerio, il latte ed i suoi derivati possono essere sostituiti con latte di soia e mandorle, seitan e Toufu.
Da un punto di vista etico il rigore dei vegan, negli ambienti vegetariani, se da un lato è visto con particolare ammirazione, dall’altro viene considerato un purismo di cui si può anche fare a meno. A questo proposito viene citato Gandhi, come molti sapranno rigorosamente vegetariano e tuttavia padrone di una capretta di cui beveva il latte.
I vegan sono contrari ad ogni forma di sfruttamento animale. Ai loro occhi, dunque, lo stesso beneamato Gandhi, che ogni volta per poco non ci stramazzava con i feroci digiuni cui si sottoponeva, avrebbe derubato quella povera bestia del suo prezioso nettare.
In risposta a questo trovo ragionevoli le argomentazioni di quei vegetariani che sostengono che la gallina allevata nell’aia o la capretta sul fazzoletto di terra cui si prendono le uova o il latte non vengono in realtà barbaramente sfruttate. Vengono allevate, cioè nutrite, curate. In cambio loro forniscono prodotti che non ne richiedono la soppressione fisica. Più che di univoco sfruttamento si può parlare, in questi casi, di mutualismo, di do ut des.
Va però anche detto che i metodi odierni per ottenere il latte e le uova non sono quelli dei contadini di ieri.
La produzione industriale di latte e uova non prevede difatti, tra le sue priorità, il rispetto degli animali fornitori.
Nel caso del latte, poi, la produzione è sincronizzata con quella della carne.
Il vitellino cui sarebbe destinato presumo non venga venduto ai bambini come animale da compagnia e, difatti, i giainisti tendono oggi al veganismo proprio perché la produzione intensiva di latte e uova è fonte di sofferenza per gli animali tanto quanto quella della carne, cui del resto generalmente si accompagna.
Voglio invece sfatare un mito tutto specifico dei vegan secondo cui il miele viene ottenuto tramite un furto ai danni delle api.
Poteva essere vero quando le api non erano domestiche e ci si avventurava a rubare i favi sugli alberi. Oggi non è più così. Lo dico per esperienza, avendo fatto io stesso una minima gavetta come apicoltore.
Il rapporto che si instaura con le api “da allevamento” è lo stesso che si instaura con la gallina o la capretta di famiglia. È una forma di mutualismo.
L’apicoltore, durante l’anno, segue le api, le cura (i parassiti delle api, la Varroa e la Peste americana fanno strage negli alveari) e, alla bisogna, le rifornisce di miele.
Giunta la stagione della raccolta (da Maggio-Giugno a Settembre) si appropria solo del surplus del miele prodotto, di quello cioè raccolto nel melario, la sezione superiore dell’arnia.
I laboriosi insetti non vengono dunque privati del nettare della sopravvivenza, raccolto invece all’interno dell’arnia. Del surplus non saprebbero veramente cosa farsene, dato che non sono stati ancora contagiati dall’umana logica del profitto.
Chi fa l’apicoltore da anni può tranquillamente visitare i propri alveari senza la maschera protettiva, i guanti e la tuta.
Le api, difatti, lo riconosceranno e non lo attaccheranno.
Esistono del resto numerosi casi di apicoltori che si esibiscono con centinaia di api sul viso e sul corpo, spesso ripresi in servizi televisivi e fotografici.
Esse non nutrono risentimento alcuno per coloro che le allevano, ovvero le nutrono e le curano quando le circostanze lo richiedono.
In conclusione Lucarini ha fatto cenno, nel corso della mia intervista, ai “pericoli psicologici” di scelte particolarmente rigorose, da un punto di vista etico, come quella del Veganismo.
Ritiene, difatti, che tali scelte possano presentare, a volte, delle “derive assolutistiche”.
Il classico atteggiamento di chi pensa di avere la verità tutta dalla sua parte.
In questo caso possono insorgere pericoli di chiusura nei confronti degli altri, autismo, antisocialità.
Alcuni Vegan, poi, corrono anche il rischio di disfarsi le unghie a furia di grattarsi.
Ritengono non sia giusto uccidere neanche le zanzare.