Eccoci nuovamente alle prese con la mia esperienza, nel marzo 2010, al Kumbha Mela con Jasmuheen, presto disponibile in una nuova pubblicazione della Viverealtrimenti (per la prima parte cliccare qui, per la seconda qui, per la terza qui).
Haridwar 10/3/2010
L’indomani siamo, a nostra volta, riuniti sotto un grande tendone, nel nostro campo.
Jasmuheen ci espone le sue tesi sull’alimentazione pranica ma, soprattutto, è con noi per condividere la sua essenza, a livello “vibrazionale”.
I Kumbh Mela, del resto, come abbiamo già avuto modo di considerare, hanno esattamente questa finalità. Non sono posti dove si possono avere grandi insegnamenti sul piano intellettuale. La comunicazione avviene, soprattutto, ad un livello diverso. In un orrido linguaggio new age si scomoderebbe lo spazio del cuore. Io preferisco parlare di dimensione vibrazionale, cui ci si può anche avvicinare utilizzando il linguaggio della fisica quantistica. Capisco, difatti, che siamo disgustati dagli eccessi di raziocinio, in Occidente ma non credo sia una buona ragione per sconfinare nell’irrazionalismo (talora anche un po’ becero).
Jasmuheen accosta il prana, di cui si nutrirebbe da circa 10 anni, all’amore divino ed alla “pura coscienza”. Ci dice che noi viviamo in un flusso costante di amore divino, pur non essendone, evidentemente, consapevoli. In ottemperanza a quanto sosteneva Gesù, riportato nel Vangelo di Matteo e nel Vangelo di Luca: «chiedete e vi sarà dato», nel momento in cui si domanda, con fede sincera, di avere tutto quanto serve al proprio corpo senza dover necessariamente ricorrere al cibo, lo si può ottenere.
«Nel momento in cui si cessa di mangiare», ci dice Jasmuheen, «si vivono meno attaccamenti, meno rabbia, si è maggiormente altruisti, si ha una più accesa voglia di condividere. Sono tutti aspetti che in India sono più sviluppati che in Occidente» (si vede che non conosce bene il paese menzionato, altrimenti non credo sarebbe così ottimista).
«Quanto cerchiamo nel cibo possiamo trovarlo anche altrove, ad esempio nella musica; non a caso Shakespeare sosteneva che la musica fosse “il cibo di Dio”. Per riuscire a vivere di solo prana è necessario riprogrammare la mente riguardo quanto rappresenta il reale nutrimento».
Nel Kumbh Mela, effettivamente, potrebbe essere abbastanza semplice tentare, con i molti mantra, le molte campane ma anche, semplicemente, nutrendosi di meditazione, delle luci dell’alba sul Gange, della sacralità che il fiume, avendola immagazzinata nei millenni, restituisce.
Jasmuheen ci insegna ad utilizzare il nostro corpo come un pendolo. A chiedere a noi stessi se il nostro approvvigionamento pranico sia superiore al 50% osservando se il nostro corpo oscilli avanti o indietro. Non va omesso che ci si è precedentemente accordati con se stessi sul significato dell’oscillazione. Quando significa “sì” e quando significa “no”.
Jasmuheen ci tiene a sottolineare che dovremmo concepire di intraprendere il processo per giungere ad alimentarci direttamente di prana solo quando siamo sicuri che il nostro approvvigionamento è del 100% e che dunque siamo, potenzialmente, autonomi dal cibo. Chiaro che non si pretende, in questa sede, di argomentare quanto riportato dalla settimana al Kumbh Mela con Jasmuheen in maniera tradizionalmente scientifica. Non è questa la sede per considerare il fenomeno dell’alimentazione pranica scientificamente. In primo luogo perché non sono uno scienziato, in secondo luogo perché gli stessi scienziati possono difficilmente ricorrere a teorie specifiche o a sperimentazioni in laboratorio (ne sono state fatte in passato e non mancherò di parlarne al momento opportuno ma non sempre hanno avuto il successo sperato).
In altre parole, il fatto che Jasmuheen possa o meno nutrirsi di solo prana può avere due livelli di lettura. Il primo, il più grossolano, parte dalla considerazione del fatto che il fenomeno possa essere una “frode”.
Personalmente non ho sufficienti elementi razionali per escludere del tutto questa prima ipotesi (io non ho mai visto Jasmuheen mangiare nella settimana in cui ho partecipato al suo incontro ma non posso escludere che lo facesse di notte, per il semplice fatto che non dormivo nel suo stesso letto, non ero insieme a lei 24 ore su 24) ma, a livello empatico ed umano, non dubiterei della buona fede del personaggio.
Jasmuheen mi è sembrata genuinamente coinvolta nella sua esperienza e mi è sembrata una persona autentica, nella sua etericità.
Come mi avrebbe detto nel corso dell’intervista che le avrei fatto alcuni giorni dopo, lei lavorava come (cita intervista) e non erano certo i soldi a mancarle. Non si trovava certo nella situazione di dover prendere in giro il mondo per arricchirsi e poi, per fare una cosa del genere, credo francamente avrebbe dovuto avere un altro carattere, una spregiudicatezza che non mi sembra di aver colto nel suo essere.
Personalmente penso che quanto stia vivendo Jasmuheen ed altre persone che sono nel suo stesso percorso sia qualcosa di non ordinario, oggi difficilmente spiegabile con i parametri della scienza comune ma reale.
Credo in altre parole che Jasmuheen viva effettivamente senza il bisogno di mangiare, che questo abbia, come qualunque altra cosa, una spiegazione che, tuttavia, possa essere difficile, oggi, identificare con esattezza.
Ad ogni modo, ripeto, l’intento di questo libro non vuole né può permettersi di essere “scientifico”. È, più semplicemente, una testimonianza di cui ognuno può fare l’uso che ritiene più opportuno.