Alcuni lettori abituali di viverealtrimenti sapranno che, da oltre 5 anni, vivo la maggiorparte del mio tempo in India. Soprattutto a Varanasi.
Ieri alle 18.40 ero a casa. Da fuori giungevano suoni e rumori usuali della città, spesse volte in festa, per un motivo o per l’altro, ragion per cui la musica, trasmessa senza risparmio di decibel, non si lascia quasi mai desiderare.
Sento un rumore sordo, di esplosione. Anche i mortaretti sono spesso di casa a Varanasi, soprattutto nei periodi, come questo, in cui si celebrano molti matrimoni. L’intensità del rumore, tuttavia, un po’ mi insospettisce, troppo forte per essere un mortaretto ma continuo a sedere alla mia scrivania e a lavorare con il mio laptop. Poco dopo squilla il cellulare. E’ Smriti yoga teacher, con la quale siamo reduci da uno splendido Europe Tour di cui ho parlato su questo blog. “E’ esplosa una bomba”, mi dice, “qui ad Assi Ghat” (quartiere con alta incidenza di stranieri, frequentato a suo tempo anche da Tiziano Terzani), “vicino alla Pizzeria”. Non è la prima volta che accade un fatto del genere. Varanasi è spesso “targeted” ed è stata oggetto di almeno tre attentati da quando ci vivo io. I cinema, i supermercati, persino le università sono strettamente sorvegliati. Si viene regolarmente perquisiti all’ingresso. Del resto, è una città-simbolo dell’induismo con il forte valore simbolico che ne consegue. La cosa singolare è che qui la gente è capace di convivere quasi con ogni genere di disagio, dunque anche con l’eventualità di una bomba che esploda in un luogo affollato.
Ci raccomandiamo reciprocamente, con Smriti, di non uscire di casa. Io telefono ad un mio amico che lavora di fronte alla pizzeria. Sono preoccupato per lui che tuttavia, rispondendo prontamente alla mia chiamata, mi tranquillizza dicendomi: non è esplosa qui ma a Dasashvameda Ghat, nel corso della cerimonia serale dell’arati.
Non posso non pensare che, amando particolarmente questa cerimonia, stavo vagheggiando, proprio in questi giorni, di andare ad assistervi.
Fuori della mia casa, tuttavia, continua la musica, continua la festa, se non avessi sentito quel suono sordo e se Smriti non mi avesse chiamato non avrei mai pensato che è appena esplosa una bomba in città. Poco dopo mi telefona mio padre. La notizia è già rimbalzata in Italia e lui, facendo zapping, ha visto immagini che non hanno potuto non allarmarlo avendo un figlio a Varanasi. Lo tranquillizzo prontamente.
Oggi, il giorno dopo l’attentato, ho comprato i due principali quotidiani indiani: The Hindu ed il Times of India. L’attentato è, naturalmente, in prima pagina ma soltanto lì. Non ci sono strascichi nelle pagine seguenti, considerazioni, commenti. Nell’articolo di prima ci si limita stringatamente a riportare i fatti, a scrivere chi ha rivendicato l’azione, i Mujahideen indiani, riconducendola al verdetto di Ayodhya di un paio di mesi fa che ha ripartito equamente tra hindu e musulmani l’area dove sorgeva la Babri Masjid, la moschea costruita sul presunto luogo di nascita di Rama (incarnazione di Vishnu) che non ha potuto non creare gravi dissidi interreligiosi.
In strada non ho notato maggiore agitazione, la vita scorre nello stesso modo, con le stesse lacune e lo stesso distacco di fondo, oggi come ieri. Si fa davvero fatica ad intuire che sia successo qualcosa di tanto grave.
Quanta sociologia si potrebbe fare riguardo ad una reazione così misurata? Merita menzione che un’alta percentuale della popolazione di Varanasi è di religione musulmana ma non sembra proprio esserci traccia di importanti ritorsioni. Del resto, a memoria mia non ce ne sono mai state, malgrado anche gli attentati precedenti fossero di matrice jihadista.
Mi viene da pensare che noi italiani potremmo avere qualcosa da imparare da tutto ciò, in particolare a livello giornalistico. Quante pagine vengono sciupate, sui nostri giornali, per questioni sulla cui reale importanza ci sarebbe davvero da discutere. Ricordo che a cavallo tra ottobre e novembre di quest’anno, in Italia per qualche settimana, sui giornali imperversava lo scandalo Ruby. Pagine e pagine per darne tutti i dettagli e ricordo, cosa che mi scandalizzò, che del lusinghiero riconoscimento della qualità del made in Italy offerto a Giorgio Napolitano in visita all’expo di Shanghai si parlava, sul Corriere della Sera, solo in tredicesima pagina.
Vogliamo poi lamentarci del disfattismo che imperversa nel nostro paese?
Sono le 20.30 a Varanasi, circa 26 ore dopo l’attentato. Arrivano da fuori gli scampanellii della cerimonia serale (puja) dell’ashram vicino al mio appartamento, accompagnati dalle note dell’armonium e da canti devozionali. L’attentato di ieri è stato come inghiottito nel fluire placido del quotidiano di questa città (la città vivente più antica al mondo). E’ stato già relegato in un passato vicino e tuttavia remoto cui, come tale, non è consentito di intralciare la densità del presente.
Si fa strada in me la riflessione che sia probabilmente anche in ragione di quest’attitudine diffusa che l’India si è oramai candidata, pur avendo sempre dato più spazio al tempo sacro che a quello profano, a fare la storia.
Di converso, a noi c’è davvero rischio che rimangano solo i pollai.
Un saluto da una Varanasi insanguinata e tuttavia sostanzialmente imperturbabile nei suoi rituali inesorabili, nei suoi tanti odori e colori, nella sua intensa vitalità millenaria.
Imperturbabile come sempre...