Consideriamo ora un’altra stagione comunitaria, più fugace e meno metodica di quella dei kibbutzim. Per citare il titolo di un testo di Hans Magnus Erzensberger sul ruolo del movimento anarchico nella guerra civile spagnola, parliamo de “la breve estate dell’anarchia”. Si cercherà dunque di considerare due brevi momenti estivi, in Ucraina ed in Spagna ma, prima di tutto, credo giovi introdurre un personaggio-chiave del pensiero anarchico, ispiratore finanche delle brevi stagioni antistatuali cui si è appena accennato ed un suo amico.
Parliamo di Michail Aleksandrovič Bakunin (1814-1876), figura funambolica, teorico della rivoluzione sociale come espressione di una “distruttività ricostruttrice”.
La rivoluzione bakuniniana avrebbe dovuto essere caotica, spietata, sanguinaria.
Il popolo “con le budella dell’ultimo papa avrebbe strangolato l’ultimo re” (per citare il verso virulento di una canzone anarchica) e dalle macerie fumanti dei palazzi del potere, delle fabbriche e delle chiese, la vita collettiva avrebbe dovuto riprendere su piccola scala.
La ricostruzione, dopo l’apocalisse proletaria, avrebbe visto tante, diverse comunità autogestite, confederarsi liberamente tra di loro.
In ciascuna si sarebbe sperimentata una socialità altra, completamente rinnovata e, insieme, avrebbero dato vita alla “terra promessa” dell’anarchia.
L’indole battagliera non impediva a Bakunin di avere diversi amici, anche di un certo tenore.
Celebre e documentata la sua amicizia con Giuseppe Mazzini.
Storico l’abbraccio con Garibaldi, presidente al congresso della Pace di Ginevra, nel settembre 1867, dopo che con passo lento e pesante l’agitatore russo salì gli scalini del palco, vestito in maniera trascurata, e qua e là si gridava: Bakunin!
Ma l’amico cui credo meriti soprattutto accennare è Pierre Joseph Proudhon (1809-1865), tipografo, una delle figure più significative del movimento operaio ottocentesco.
In una nota di Stato e anarchia, la celebre opera del grande agitatore russo, è riportato un aneddoto delizioso:
«Bakunin viveva allora con A. Reichel in un appartamento straordinariamente modesto sulla riva sinistra della Senna in Rue de Bourgogne. Proudhon vi si recava spesso per ascoltare il Beethoven di Reichel e l’Hegel di Bakunin. Ma le discussioni filosofiche duravano molto di più delle sinfonie. Ricordavano le famose notti intere passate da Bakunin a discutere con Khomiakov in casa di Čaadaev o dalla signora Yelagina sempre su Hegel. Nel 1847 Karl Vogt, che viveva pure in Rue de Bourgogne e veniva sempre a trovare Reichel e Bakunin, una sera stanco di ascoltare quelle infinite controversie sulla “fenomenologia” se ne andò a dormire. L’indomani mattina tornò a prendere Reichel perché dovevano recarsi insieme al Jardin des plantes. Stupito dalle voci provenienti dalla stanza di Bakunin data l’ora mattutina ne aprì la porta. Proudhon e Bakunin erano seduti nella stessa posizione della sera prima davanti al camino spento e stavano finendo con qualche breve parola la discussione».
Proudhon è stato un illustre teorico del decentramento.
Riteneva che lo stato dovesse dissolversi nei comuni e nelle circoscrizioni regionali.
La dimensione comunitaria, facilmente gestibile “dal basso” in maniera orizzontale ed autonoma, avrebbe dunque acquisito, nella società teorizzata da Proudhon, un ruolo centrale nella vita collettiva mentre più comunità autogestite potevano dare vita ad un “federalismo pluralista”.
Il viatico che Proudhon proponeva per approdare ad una società decentrata, partiva da una “rivoluzione economica”: un appropriamento diretto dei mezzi di produzione da parte delle masse lavoratrici.
Queste, attraverso le loro organizzazioni professionali, avrebbero dovuto sviluppare una vita sociale ed economica indipendente dalla dimensione politico-statuale, imparando a gestire e praticare «rapporti liberi e diretti senza alcuna mediazione istituzionale [arrivando ad assolvere] […] i compiti precedentemente svolti dalla società politica, al fine di rendere quest’ultima del tutto superflua» .
Ne emerge il ritratto di un teorico più mite dell’indemoniato amico Bakunin, passato alla storia più come agitatore e visionario del principio di libertà che come teorico di una società futuribile.
Né Bakunin né Proudhon vissero abbastanza per vedere alcuni frutti maturi del loro pensiero. Questi avrebbero preso corpo nelle prime decadi del ‘900.
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