TRANSUMANZA

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mercoledì 13 gennaio 2010

Un breve excursus su "i fruttariani".

Dopo aver parlato di Jasmuheen e del liquidarismo, risaliamo lungo la cordata degli stili alimentary radical-alternativi. Citando ancora dal mio "Vegetariani come, dove, perché", parliamo oggi di fruttarismo:

Il fruttarismo viene generalmente visto con non poco scetticismo.
Esperti di alimentazione del calibro di Nico Valerio ritengono che nutrirsi di soli frutti possa essere un’ottima cosa…ma sempre e solo per un periodo circoscritto di tempo.
Si parla di giorni, tutt’al più di settimane; può essere sicuramente, a detta di Valerio ed altri esperti di alimentazione, un ottimo modo per disintossicarsi.
Vivere di sola frutta viene però considerato, generalmente, quasi blasfemo. Comunque non tutti la pensano allo stesso modo.
Ho intervistato Giorgio Fabretti, sociologo fruttariano presidente della Fruit, l’unica associazione fruttariana italiana (con sede a Roma, in via Nicola Salvi 68, non mi risulta abbia un sito internet).
Ha fatto una disamina del fenomeno eccellente.
Argomentando quanto mi ha detto nel corso dell’intervista, l’humus culturale in cui il tenero virgulto del fruttarismo ha avuto modo, defilatamente, di protendersi verso il sole è la riscoperta del vivere naturale tra ‘800 e ‘900.
La subcultura fruttariana nasce all’inizio del XX°secolo come anche in un certo senso i movimenti quasi contemporanei del futurismo e poi del decò. In un periodo in cui, tra l’altro, la frutta compare come elemento ricorrente nella decorazione.
Negli anni ’30 conosce un minimo sviluppo come forma di “dandismo” o di “post-dannunzianesimo”, riscontrando un discreto successo presso “personaggi un po’ alla Sgarbi”.
Da un punto di vista scientifico la genesi del fruttarismo si sostanzia dei progressi dell’antropologia fisica che evidenziano il tendenziale frugivorismo della “scimmia nuda”.
Diamo ora la parola allo stesso Fabretti:

Da una scoperta antropologico-psicologica la base del fruttarismo diventa una pratica di tipo salutistico-borghese e quindi un fatto anche estetico. Siamo intorno al 1920 e cominciamo in Francia e subito dopo in Germania ad avere i primi autori non fruttariani, né crudisti ma che cominciano oramai a parlare qui e là, nei loro manuali, di modo di alimentarsi fruttariano. In particolare abbiamo un autore che parla di crudismo in Francia e di un autore che parla di vivere a contatto con la natura, quindi del fruttarismo come parte del naturismo, in Germania. Questo porta alla pratica del fruttarismo nientemeno che nella gioventù nazista. Abbiamo i primi gruppi che fanno vita all’aria aperta, nudi, si bagnano nei laghi e si nutrono di frutta. Abbiamo poi l’intervallo della guerra. La pausa del rock’n’roll, del consumismo anni 50 e con gli anni 60 nasce finalmente il movimento, minuscolo, in nuce, del fruttarismo all’interno del movimento più generale, utopico, hippy degli anni ’60. Quindi noi abbiamo prime comuni che parlano di nutrirsi in maniera naturale a base di frutta in California, Australia e successivamente Inghilterra. Nel mondo anglosassone. Il fruttarismo rinasce come “ismo”, quindi come movimento ideologico, nel mondo anglosassone, come derivato quasi contemporaneo dei Beatles […] e in un certo senso vuole essere un elemento di contrasto, di moderazione, del consumismo materiale, perché fruttarismo significa “contenere gli abusi materiali” e in un certo senso è parallelo anche alla riscoperta dello Zen, quindi l’essenzialità, la riscoperta del gusto come togliere, piuttosto che aggiungere, quindi i sapori naturali piuttosto che i condimenti. Una sorta di ambientalismo del gusto. Come l’ambientalismo architettonico che nasce negli anni ’30 (in Italia con Piacentini, Libera, eccetera) così il fruttarismo vuole in un certo senso riscoprire in maniera classica il gusto, cioè il gusto di un determinato cibo non in quanto tale, ma in quanto appartenente ad una architettura e ad un contesto naturali. Quindi la potenza del gusto nell’arancio, si riferisce alla natura siciliana, ai campi mediterranei, al sole. Diviene una sorta di simbolo dell’ambiente da cui proviene e quindi deve essere apprezzato per questo suo valore di riferimento, che è intrinseco ma che fa riferimento, per il processo dell’agricoltura e della crescita biologica del frutto all’ambiente di provenienza. [Possiamo dunque dire che il fruttarismo nasca definitivamente] negli anni ’30 e in un certo senso dà i suoi frutti più tardi ma in una maniera parallela allo sviluppo della mentalità moderna e post-moderna. Infatti il vero boom sia del fruttarismo che del vegetarismo si ha in epoca post-moderna, quasi come una citazione, recupero di valori che si riscoprono ma non tanto più di valori naturali. Di valori culturali, valori storici.

Il Fruttarismo dunque, per come ci viene abilmente presentato da Fabretti, cresce in buona parte sull’onda di un’ispirazione estetica.
Tuttavia, come è facile intuire, il fenomeno non può essere ricondotto al solo fattore estetico.
La cultura fruttariana è la più purista in assoluto (al di là di alcune sparute minoranze che sembra abbiano radicalmente trasceso il bisogno stesso di alimentarsi e che analizzeremo tra breve).
I fruttariani, difatti, non solo sono rigorosamente animalisti, ambientalisti e salutisti. Sono più generalmente “biofili”, amanti di tutto ciò che vive.
Nutrirsi di soli frutti non comporta, difatti, la soppressione neanche di organismi vegetali.
In questo senso direi quasi che rasentino il misticismo.
Per i fruttariani è centrale il concetto di dono della pianta all’uomo.
Essi si nutrono di frutti. Non di frutta. Il concetto di frutta viene difatti generalmente associato alla frutta dolce che pende dall’albero e, da un punto di vista fruttariano, è piuttosto riduttivo.
Con il termine “frutti”, invece, i fruttariani intendono tutte quelle formazioni vegetali che vengono naturalmente donate dalla pianta senza morire:

Questo è il motivo per cui i fruttariani non consumano cappuccina, lattuga, perché si ottiene tagliando, decapitando la pianta. Consumano frutti ma anche chicchi di grano che sono disseminati dalla spiga, che ha un suo ciclo annuale e quindi come funzione finale ha quello della inseminazione del terreno. Se noi aiutiamo la spiga, attraverso l’intelligenza umana, a portarne uno a successo abbiamo diritto a trattenerne gli altri 39 che possono essere consumati.


I fruttariani si nutrono dunque oltre che, ovviamente, di frutta nel senso classico del termine, anche di semi (cereali), legumi, alghe e svariati tipi di ortaggi considerati “frutta vera e propria”: peperoni, pomodori, melanzane, zucchine, zucche.
Sulla patata dibattono.
Essa, difatti, non è un frutto ma una radice. Essendo però una radice-seme, in quanto destinata alla riproduzione della pianta, i fruttariani più moderati la considerano un frutto della radice e dunque se ne cibano a cuor leggero.
Le peperonate e le parmigiane (seppur un po’ riviste) non sono comunque prelibatezze accessibili ai seguaci del fruttarismo.
Essi difatti, come è stato già accennato, tendono piuttosto rigorosamente al crudismo.
Quelli tra loro che non sono ancora riusciti a superare il condizionamento della cottura cuociono a vapore.
Per il resto viene utilizzata la tecnica dell’ammollo di cui abbiamo già parlato nel capitolo sul crudismo.
Nelle case dei fruttariani è sempre presente un particolare macinino.
I legumi e i chicchi di grano, orzo, farro, miglio vengono così frantumati e mangiati come farina, magari amalgamati in un po’ d’acqua.
Fabretti mi ha anche parlato di un macinino con la commutazione a schiacciamento, un arnese che invece di macinare schiaccia i semi dei cereali in maniera da rendere il processo di ammollo molto più rapido.
Nel giro di venti minuti è già possibile mangiarli.
Un piatto forte dei fruttariani è il porridge, composto di fiocchi d’avena e pezzi di frutta. Anche qui, però, non si può pensare al classico porridge.
Essi, difatti, non usano il latte, fondamentale nell’amalgare gli altri ingredienti ma l’acqua. Lungi da loro, poi, utilizzare lo zucchero e tantomeno il miele, che si ottiene derubando le povere api.
Sul fronte della cottura un’eccezione si fa talvolta per il pane, che deve essere, però, rigorosamente azimo.
Generalmente lo fanno in casa. Macinano i chicchi di grano e fanno delle cialde simili al pane sardo, anche conosciuto come “carta da musica” che poi inseriscono in fornetti elettrici. Mai in quelli a micro-onde.
Per quanto riguarda peperoni, patate, zucchine e melanzane, che pur volendoli considerare frutti sfido chiunque a mangiarli allo stato naturale, vengono frullati, omogeneizzati e sottoposti ad un rapido processo di ossidazione.
In altre parole la polpa ottenuta con il frullatore viene lasciata, per alcuni minuti, a contatto con l’ossigeno dell’aria.
Questo equivarrebbe ad una blandissima cottura, dimezza i valori vitaminici ma rende commestibili frutti immangiabili senza qualche trattamento.
Le stravaganze, comunque, non sono ancora finite.
Dichiara il Fabretti:

Noi non usiamo olio, vino, sale perché il fruttarismo ha un’altra connotazione. Il fruttarismo nasce come rifiuto del processed food, del cibo lavorato, “processato” quindi nella concezione originaria del fruttarismo anglosassone degli anni ’60-’70 nasce come pilastro del fruttarismo l’idea di rifiutare il cibo non naturale e questo arriva a tracciare dei limiti, dei confini per cui la fermentazione viene esclusa dalla gran parte dei fruttariani. Siamo praticamente astemi e non prendiamo neanche caffè e tè perché queste sostanze sono ritenute eccitanti, nervine e ottenute attraverso una lavorazione, una conservazione che è troppo prolungata. Il sale non si usa perché esiste un sapore dei cibi che non ha bisogno di sale. Lo consigliamo a chi nel periodo di transizione lo ritenga opportuno. Non c’è una particolare controindicazione riguardo il sale, però deve essere sale biologico.

Vediamo ora come si può diventare fruttariani.
Ci vogliono almeno un paio di anni, durante i quali bisogna seguire un iter di decondizionamento da diversi cibi.
A detta di Fabretti la cosa più semplice è liberarsi dalle proteine animali.
Basta assumere mezzo uovo crudo a settimana per un periodo di circa sei mesi.
Disintossicarsi dal pane e dai farinacei in generale sembra invece sia proprio difficile:

nessuno c’è riuscito in meno di due anni. Per alcune persone è impossibile. La disintossicazione avviene a salti. Ci sono le giornate fruttariane o i week-end fruttariani in cui la persona che cerca di disintossicarsi dal grano, dalla farina, per tre giorni non mangia farina. Poi non ce la fa più perché perde il sonno addirittura, perché è abituata a dose di melatonina massiccia e non è in grado di chiudere occhio la notte. La gente non sa quanto è drogata di farina e non sa quanto possa essere difficile liberarsi da questa dipendenza quanto lo è per un alcolizzato liberarsi dall’alcool o per un eroinomane svezzarsi dall’eroina. Forse è anche più difficile e se non si dice questo il fruttarismo resta solo un bel pensiero e non diventa mai pratica.

L’ultimo salto è la “disintossicazione dal cotto”.
A fronte di tutto ciò…

gli effetti secondari sono blandi. Mentre gli effetti secondari della cattiva alimentazione sono i tumori, l’occlusione delle vene, la morte, gli effetti secondari dell’alimentazione fruttariana sono alcune blande carenze da ferro, alcune blande carenze da B 12, diarree, leggere diarre, leggere irritazioni intestinali. Sono disturbi a cui si provvede senza medicine, semplicemente mangiando, per dire, mezzo uovo a settimana scompaiono tutti i sintomi negativi. Oltre i sei mesi di pratica possono subentrare dei fastidi, generalmente dopo uno o due anni e subentrano in maniera così leggera che appena uno ha dei fastidi sapendolo prima, essendosi informati, nel momento in cui si avvicina al fruttarismo, può fare tranquillamente marcia indietro, anzi direi quasi che questi disturbi sono il segno che si è disintossicato, che finalmente la dieta ha avuto una durata prolungata tale da produrre i suoi effetti.