Sono in India dalla fine del 2009. Dall’ultimo giorno, per la precisione, il 31 dicembre. Abbiamo raggiunto Trichy, in Tamil Nadu, dall’aereoporto di Colombo.
Può dunque essere tempo di brevi bilanci. Sono stato in Sri Lanka quasi tre mesi (contro le due settimane previste), sotto l’ombrello di Sarvodaya. Le impressioni sul paese le ho parzialmente riportate in due post precedenti (Sri Lanka: brevi note di viaggio parte I e II).
Incontrando di nuovo l’India a viso aperto posso fare qualche considerazione in più. Come ho accennato, lo Sri Lanka è molto bello da un punto di vista naturale, può essere considerato un piccolo paradiso tropicale. È anche sufficientemente organizzato. Ha senz’altro minori problemi sanitari rispetto all’India, anche in virtù di un maggior rispetto dell’igiene. Potremmo quasi definire Colombo una città più occidentale di Delhi, con maggiori opportunità di shopping, maggiore varietà di ristoranti, buoni bar, qualche locale notturno. Ha anche una buona spiaggia, ben organizzata all’altezza del quartiere Mount Lavinia. Il mare è sorprendentemente pulito per essere a ridosso di una capitale. Il cibo è di buona qualità, è possibile comprare pesce molto fresco nel mercato centrale di Colombo, nei mercati rionali o da venditori itineranti (meno nei supermercati). I servizi sono discreti, ci si muove bene autobus mentre i tuk tuk sono piuttosto cari ed i guidatori, talora, un po’ “sfregiati”. Insomma: c’è più di una ragione per stare discretamente. Le condizioni di vita della gente, tuttavia, non sono invidiabili. La rupia sri lankese, come accennavo, è praticamente carta straccia e l’inflazione divora letteralmente i magri salari. Basti pensare che lo stipendio medio di un professore è di circa 20000 rupie e che un pollo allo spiedo ne costa 550. La frustrazione è alta sotto il cielo, tropicale, dell’isola. I soldi non bastano letteralmente mai e l’economia sta ancora rantolando a seguito dell’enorme salasso rappresentato dal conflitto etnico, concluso da appena qualche mese.
Incontrai una volta un giovane ingegnere sul treno per Galle, importante città nel sud del paese. Era stato in visita in Europa ed in America. Ricordava un’abitudine diffusa, degli americani, a sorridere. «Qui invece non si può permettere di sorridere nessuno», mi diceva, «fondamentalmente per ragioni economiche; faticano moltissimo quasi tutti ad arrivare a fine mese». In compenso, buoni ristoranti, buoni alberghi (non ne mancano nell’isola) in buone località turistiche hanno prezzi quasi occidentali. Lo Sri Lanka è difatti uno dei paesi asiatici più cari per i turisti, per quanto anche l’India stia gradualmente aumentando i suoi prezzi, restando, tuttavia, un paese ancora economico. È sorprendente la sproporzione tra il tenore di vita dello sri-lankese medio e l’onerosità di alcuni consumi (che sono dunque del tutto inaccessibili alla maggioranza della popolazione). La stessa onerosità non incoraggia certo il turismo nel paese, già penalizzato da una certa perifericità. Chi dovesse muovere dall’Europa o dall’America in Asia, può trovare conveniente, per l’alto tenore storico e culturale, visitare l’India che ha anche il vantaggio di essere ancora un paese economico. I più edonisti, coloro che dopo un anno di lavoro vogliono pensare solo a rilassarsi, possono avere un’ottima opzione nella Thailandia, un po’ più cara ma che sembra essere stata concepita apposta per il piacere psicofisico. Il periferico Sri Lanka, pur essendo un paese interessante, manca della forza storico-culturale dell’India (anche a fronte di una storia ed una cultura di tutto rispetto) e del magnetismo edonista della Thailandia, da cui, tra le altre cose, è possibile muoversi facilmente in altri paesi asiatici confinanti (Laos, Cambogia, Birmania, Vietnam, Malesia, Cina…è in una posizione davvero strategica!). Se a questo si aggiunge il carovita, comprendiamo bene le ragioni di quello che definisco un “turismo sparuto” nell’isola sud-asiatica.
L’economia, dunque il popolo, non possono che risentirne. È’, come dicevo, palpabile la frustrazione ed anche una certa, tendenziale, depressione nelle persone. Manca, del resto, il forte afflato, a tratti estatico quando non dionisiaco, verso il sacro che è possibile trovare in India e che rappresenta un insostituibile sostegno psicologico. Il buddismo theravada, religione dominante in un paese che ha un interessante fermento multireligioso, addita una sofferenza ed una salvezza integralmente umane, in una “dotta ignoranza di Dio”. Mi chiedo quanto possa l’essere umano, da solo, reggere i postumi di una terribile guerra civile (non è infrequente trovare mutilati, anche giovani, nel paese), una depressione economica, una situazione politica ancora difficile, una condizione di sostanziale isolamento nel momento in cui muoversi dal paese è quasi impossibile per molti sri lankesi. Al momento, difatti, non esiste alternativa a voli a prezzi esorbitanti per le tasche medie. Risultato: l’impressione netta di un sostanziale disincanto religioso pur nell’inflazione di simboli sacri.
Ricordo un incontro che ho fatto ad Unawatuna, una spiaggia poco distante da Galle (importante città nel sud del paese) considerata la migliore per la qualità del mare. Un uomo con meno di 40 anni che, prima che lo Tsunami devastasse buona parte del paese nel dicembre 2004, aveva un piccolo business imperniato su una barchetta con cui organizzava escursioni marittime senza grandi pretese. Aveva anche qualche maschera e boccaglio ed alcune paia di pinne. Lo Tsunami ha distrutto la sua casa, frantumato la sua barca sugli scogli. Lui stesso è stato scaraventato contro un albero perdendo quattro denti dell’arcata superiore. È stato fortunato per essere almeno riuscito, al contrario di molti altri, a sopravvivere. Ora non ha più fissa dimora, viene ospitato, per la notte, in alcuni ristoranti che gli concedono di restare al coperto dopo l’orario di chiusura. Ogni notte dorme in un ristorante diverso ed in nessuno è minimamente organizzato per cui si ritrova, ogni volta, a dormire in terra. Prende in affitto un catamarano scomodissimo con cui porta in mare qualche raro cliente. Quando eravamo al largo mi ha raccontato alcuni dettagli drammatici della sua storia. Ha iniziato a piangere. Io gli ho chiesto, quasi a mo’ di provocazione: non hai mai pensato di rivolgerti a qualche monastero buddista, di rimanere con loro qualche giorno, praticare la meditazione… Lui (buddista) mi ha risposto: i monaci non mi possono aiutare, hanno meno soldi di me. Cosa ci vado a fare in un monastero, non sono davvero nello spirito di meditare!
Non è l’unico personaggio profondamente disperato (e disperatamente disincantato) che ho incontrato nel paese. Direi piuttosto che si possa parlare di una disperazione diffusa. Sono anche abbastanza alti i tassi di alcoolismo per quanto, come accennavo in un post precedente, ci sono alcune restrizioni riguardo l’uso di alcolici, meno rigorose che in India ma ci sono. Tuttavia, si produce anche molto Arrak, distillando i fiori della palma da cocco, un liquore di 38 gradi di cui molti srilankesi abusano.
Ricordo ad Anuradhapura, cittadina che deve la sua celebrità all’albero, piantato da uomo, più antico del mondo. È’ un ficus religiosa generato da una talea di quello sotto cui Gautama Siddharta (il Buddha) ebbe, a Bodhgaya, nell’attuale stato indiano del Bihar, l’esperienza del “risveglio”. La talea venne portata ad Anuradhapura da Sangamitta, figlia dell’imperatore buddista Aśoka che seguì con particolare attenzione la conversione al buddismo degli abitanti dell’isola mandandovi anche il figlio maschio Mahinda. L’albero, oggi, ha oltre 2300 anni. Anuradhapura è stata la capitale del primo regno srilankese, a partire dal 380 A.C. ed ha avuto una sua età dell’oro. Ne rimangono splendide vestigia immerse nella foresta. L’abbinamento di storia, natura e cultura mi ha lasciato estasiato. Io che, romano di origine, ho convissuto per tanti anni con vestigia storiche inserite in un tessuto metropolitano, non ho potuto non apprezzare le tracce di una grande civiltà urbana inserite in maniera del tutto armoniosa in un contesto naturale: una foresta prospera ma non invasiva che si è riappropriata del proprio territorio senza, tuttavia, aggredire quanto rimane dell’antica città. Gli alberi crescono, difatti, entro le mura di antichi palazzi, le mucche pascolano a due passi da antiche, talvolta imponenti, pagode, buddha di pietra indugiano, meditativi, nella mezza posizione del loto, all’ombra di innumerevoli ficus religiosa (dal primo albero sono state prese, nel tempo, centinaia di talee) mentre lo spazio dintorno è splendidamente punteggiato dai soliti coccheti e banani.
Anuradhapura è uno dei posti più belli che abbia visitato in Asia. Tuttavia, anche qui il turismo si prestava ad essere definito “sparuto”.
Ho soggiornato all’hotel Shalini con circa 18 dollari a notte. Un buon hotel, con un buon ristorante, dove ho mangiato, tra l’altro, degli ottimi spaghetti alla bolognese. Non mancavano: aria condizionata, acqua calda (che, vi assicuro, è bene non darla mai per scontata in certe zone dell’Asia, in particolare in India dove mi è capitato di patirne la mancanza anche in alberghi di buon livello), televisione satellitare ed un internet-cafè. Tutto bene, dunque, se non ci fosse stato un ragazzo, parente probabilmente del proprietario, che ha tentato di invadere il mio spazio tutto il tempo. Mi assillava continuamente di domande, in genere stupide ed io potevo ignorarlo o rispondergli male ma lui non si ridimensionava. Un incontro decisamente fastidioso e, tuttavia, non così sorprendente in Sri Lanka. Probabilmente in ragione dell’isolamento, gli srilankesi tendono ad essere avidi di informazioni spicciole con gli occidentali. Sarebbe anche piacevole intavolare con loro qualche bella discussione se non avessero un set di domande standard da cui difficilmente vanno oltre. “Di dove sei?”, “cosa fai?”, “sei sposato?”, “ti piace lo Sri Lanka?”. Non hanno generalmente altri argomenti e non sono in grado di elaborare un discorso in alcun modo a partire da questo interrogatorio. Chiaro che ci sono diverse eccezioni, come il giovane ingegnere che ho incontrato sul treno ma sono, ahimè, proprio eccezioni! Dopo qualche giorno diventa davvero snervante e quel che è peggio che non c’è verso di far capire loro che non hai voglia di farti interrogare perché stai prendendo il sole, stai mangiando, stai leggendo, stai pensando, stai per conto tuo. Loro non hanno il minimo rispetto per le esigenze altrui, sono ossessionati dal loro set di domande standard e devono assillarti fin tanto che non ti sei prestato al loro gioco. Sulla Lonely Planet segnalano questo genere di problemi e consigliano il ricorso all’ironia. Può essere una soluzione, qualche volta, io stesso ci ho fatto ricorso. Va tuttavia anche detto che un altro grande problema antropologico, nell’isola, è la quasi totale mancanza di senso dell’umorismo per cui la stessa ironia non viene capita.
Al confronto degli srilankesi gli indiani, notoriamente invadenti (si dice che abbiano una concezione del tempo molto diversa da quella occidentale, verissimo e ne ho fatto cenno in alcuni post precedenti ma la cosa a volte più drammatica è la diversa concezione che hanno dello spazio, per cui trovano del tutto naturale starti appiccicati, tossirti addosso, piazzartisi sui piedi, eccetera) sono maestri di discrezione. Si tira davvero il fiato quando si rimette piede in India. L’India, poi, si discuteva con Gabriele, conosciuto in Sri Lanka nel quartier generale di Sarvodaya ed autore del post , si fa perdonare tutto.
In Sri Lanka l’invadenza, l’indiscrezione ha tutta la pesante disarmonia di un fenomeno che si presterebbe quasi ad essere definito patologico. Una sorta di morbosità paranoica diffusa. Va considerato, naturalmente, che lo Sri Lanka non ha il cosmopolitismo millenario dell’India, dove convivono con gli stranieri, con molti stranieri, da tempi immemori, sconta una limitatezza territoriale e, ripeto, un isolamento che possono contribuire a spiegare il fenomeno.
Ad Anuradhapura ho conosciuto un ragazzo musulmano (di cui preferisco non dare il nome, per rispetto della sua privacy) che ha lavorato in Italia per cinque anni. Se la cava dunque piuttosto bene con la nostra lingua. Mi ha portato a bere in un locale e ci siamo visti anche la sera successiva. Mi aveva parlato di una cena a casa sua con la moglie giapponese poi la serata ha preso tutt’altra piega, la moglie in realtà era partita e lui mi ha portato, nuovamente, a bere Arrak. A me non dispiace bere, tenendomi nei giusti ranghi e dunque non ho protestato. Dopo un po’, tuttavia, era chiaro che si sarebbe degenerato. Ero in compagnia di un lavandino e, di volta in volta, si aggregavano altre figure: un suo zio, un suo amico di infanzia, un altro suo amico, tutti ugualmente assatanati di alcool. Nelle strade, di notte, nelle due notti che vi ho vissuto almeno, si aggiravano solo uomini e molti stavano facendo la spola da un locale all’altro per bere. Dopo una certa ora, intorno alle 10.00, era il coprifuoco. Il coprifuoco srilankese è un fenomeno abbastanza conosciuto, dovuto in buona parte alla guerra civile ha anche ragioni più “spicciole”, legate all’alto numero di furti notturni e, per le donne, al serio rischio di stupri. Il coprifuoco non mi ha fatto non ripensare, con una certa nostalgia, ad alcune mie semplici serate a Varanasi dove non faccio altro che uscire in strada, magari per andare a mangiare del pollo nel quartiere musulmano o andare a bere una birra in un bar dall’altro capo della città. Varanasi vive almeno fino alle 11.00, in maniera semplice e, tuttavia, coinvolgente e vitale. Anche a Varanasi la strada è quasi solo degli uomini, la notte ma vi bivaccano a loro agio, bevendo un tè, chiacchierando, facendo compere anche al buio (le botteghe chiudono, in genere, dopo le 10.00).
A Moratuwa, cittadina poco distante da Colombo dove si trova il quartier generale di Sarvodaya e dove sono stato la maggior parte del tempo, i cani erano i padroni della notte, dopo le 9.00.
Ad Anuradhapura ho avuto un incontro spiacevole anche nel corso della mia lunga visita, in bicicletta, alle rovine. Un ragazzo che mi ha letteralmente inseguito in motocicletta per vendermi una statuina in marmo di Buddha. Per dare la sequenza completa dei fatti, stavo chiacchierando con il mio conoscente musulmano, in italiano. Lui incombeva con le sue cianfrusaglie. Più volte gli ho detto che non ero interessato alla sua merce ma lui fingeva di non capire e rispondeva: ok sir, dopo, aspetto qui. Finita la chiacchierata, prendo la bici per continuare la mia visita. Gli dico per l’ennesima volta, in maniera amichevole: mi dispiace ma non mi interessa la tua merce, cerca qualcun altro, non insistere, per favore! Parto con la bicicletta e dopo poco me lo ritrovo alle calcagna in motocicletta: solo 1000 rupie, sir, solo 1000 rupie, troppo? Con un fare concitato, fuori controllo. Io fermo la bicicletta e gli urlo, questa volta: non mi interessa la tua merce, lasciami in pace! Vattene! Lui si allontana ma non manca di girarsi due volte e guardarmi inviperito.
Mi sono dilungato in questi aneddoti per dare conto delle difficoltà antropologiche del paese. Un paese, ripeto, molto bello, con una storia interessante, con buone opportunità anche per praticare la meditazione buddista in centri specializzati (ce ne sono diversi nella zona di Kandy, il mio amico Ajahn Chanda Palo, abate nel monastero buddista Santacittarama in provincia di Rieti, mi ha segnalato il centro Nilambe) ed altre virtù ma che ha, negli uomini (mi dispiace dirlo) il suo grande tallone d’Achille. Quello che ho riscontrato io, del resto, lo hanno riscontrato diverse altre persone e ne viene fatto cenno, ripeto, anche nelle guide turistiche (pur con una certa prudenza, devono pur “venderlo” lo Sri Lanka). E le donne? Belle, tenere, sensuali, con capelli molto lunghi e profumate di sapone. Le donne, come spesso accade, sono l’elemento di riscatto. Le ho trovate generalmente timide e piuttosto bloccate, di difficile accessibilità, anche con le intenzioni più innocenti.
Sono partito dallo Sri Lanka con la netta impressione di aver vissuto in un paese piuttosto problematico. Credo tuttavia che mi abbia lasciato un suo segno, molto grazie all’esperienza che ho fatto con Sarvodaya. Credo mi abbia in qualche modo fortificato e dato degli insegnamenti attraverso la sua durezza sensuale. Posso dunque consigliarne una visita di un paio di settimane, soprattutto a coloro che dovessero trovarsi in India. Ci sono diversi voli, anche piuttosto economici, da molte città indiane. La stessa Varanasi, in alcuni periodi dell’anno, ha voli diretti su Colombo. Siate pronti a farvi valere in maniera ferma ma, possibilmente, composta. Una buona occasione per esercitare una forma di Satyagraha, di imperturbabilità nelle avversità. Forte di quella, vi potrete senz’altro godere il turgore tropicale della foresta, il mare impetuoso (che richiede grande cautela) e imprevedibile, il profumo di sapone delle donne pudiche e, la sera, un paio di bicchieri di Arrak. Io lo bevevo sempre con ghiaccio e Coca Cola.